21 novembre 2012

NON CAMBIO: VOTO RENZI


La presentazione dei candidati alle primarie del Centrosinistra – il 12 novembre, su SkyTg24 – mi ha fatto la stessa buona impressione che ha fatto a tutti i commentatori non prevenuti: come “spottone” pubblicitario è andata benissimo, l’aria di famiglia (di partito) c’era, e tutti e cinque sono stati bravi a miscelare concordanze e differenze, calcando sulle prime e attenuando le seconde. Un traguardo irraggiungibile per il Centrodestra di oggi, se mai farà delle primarie. Ma da questa buona impressione a un giudizio ottimistico sullo stato di salute del Centrosinistra il salto è lungo e di seguito spiego le ragioni per cui non me la sento di farlo. Che sono poi le stesse che spiegano il mio appoggio alla candidatura di Renzi.

Partiamo anzitutto dal fatto che le elezioni del 25 novembre possono essere elezioni primarie, ma possono anche non esserlo. Lo saranno se non passerà la riforma elettorale di tipo proporzionale in corso di discussione al Senato. In questo caso resteremmo col Porcellum, e una coalizione con una maggioranza alla Camera sufficiente a governare la si trova per forza, per l’operare del premio di maggioranza, anche se possono insorgere contrasti tra i risultati di Camera e Senato. La situazione è però oggi molto diversa che nel 2006 e nel 2008: nelle ultime due elezioni nazionali l’astensionismo è stato relativamente modesto, le due coalizioni erano imperniate su grossi partiti, e quella prevalente – oltre il 40% dei voti – aveva bisogno di un premio non scandaloso per raggiungere la maggioranza dei seggi. Oggi il premio sarebbe scandaloso: con un crollo del Centrodestra non compensato da una crescita corrispondente del Centrosinistra o di un’alleanza di Centro, con la probabile irruzione massiccia dei grillini, un’alleanza sinistra-centrosinistra come quella promossa da Bersani potrebbe anche prevalere – è un esempio – con il 30% dei voti.

Coll’astensionismo che ci troveremo – per carità di patria ipotizziamo che sia “solo” del 35% – l’alleanza di Bersani potrebbe dunque vincere le elezioni avendo ricevuto il consenso del 19,5% degli aventi diritto al voto [30% (100 – 35%)]. Anche per chi, come me, non ha obiezioni contro sistemi elettorali maggioritari, questo è un po’ troppo, specie tenendo conto che una coalizione Bersani-Vendola non è certo rappresentativa degli orientamenti politici di fondo degli italiani e che difficilmente riuscirebbe a governare. Eppure è solo in queste condizioni che le primarie del 25 novembre sarebbero vere primarie, cioè elezioni nelle quali verrebbe designato il candidato premier del Centrosinistra, e di conseguenza il premier effettivo, se poi il Centrosinistra vincesse.

Non sarebbero invece elezioni primarie se passasse una riforma elettorale proporzionale come quella in discussione (di altre e migliori non si è mai veramente discusso). In questo caso, nelle condizioni in cui ci troviamo, è impossibile che si formi una maggioranza parlamentare di centrosinistra-sinistra come quella su cui punta Bersani, anzi, che si formi una maggioranza coerente di qualsiasi tipo. E quindi è ben difficile che il candidato che vincerà le primarie del centrosinistra abbia la possibilità di essere designato come presidente del consiglio: ci si verrà a trovare in una situazione nella quale o si indicono nuove elezioni (com’è avvenuto in Grecia) o ci si accorda su un nuovo governo Monti, anche se tutti ora lo escludono.

Ma allora perché andiamo a votare il 25 novembre? A meno che non sia mantenuto il Porcellum, e sarebbe scandaloso se lo fosse, non si tratta di elezioni primarie. Non si tratta neppure di un congresso di partito in pillole, perché non è possibile una discussione seria e approfondita della linea politica da seguire in queste difficili circostanze: il segretario ha infatti anteposto alla convocazione delle primarie la decisione cruciale per definire questa linea, cioè l’alleanza con Vendola (e, potenzialmente, con l’estrema sinistra). E allora? Si tratta solo di una grossa operazione pubblicitaria?

No, non è solo questo, e non lo è proprio per la presenza di Renzi, per la forza che è riuscito a raccogliere e per la sfida che lancia alla linea politica di Bersani e alla sua leadership, cosa che gli altri candidati non sono in grado di fare, o perché estranei al partito, come Vendola, o perché troppo deboli. Insomma, non si tratta di un vero congresso, ma di qualcosa che gli assomiglia. Prendo il mio caso come esempio: io vado a votare per esprimere il mio dissenso dalla linea della segreteria Bersani, proprio come avevo fatto nel congresso del 2009, quando avevo sostenuto Franceschini (quantum mutatus ab illo!). E quando, al Lingotto, avevo sostenuto Veltroni. E vado a votare per motivazioni politiche, perché credo che Bersani mantenga il PD nella riserva indiana di quella vecchia alleanza catto-comunista dalla quale – per la continuità della sua dirigenza- non è mai completamente uscito: è questo l’usato sicuro? È questa la socialdemocrazia?

I grandi partiti socialdemocratici europei sono oggi più vicini alla linea un tempo sostenuta da Veltroni: sono partiti aperti al centro oltre che a sinistra, non aggrappati all’appoggio del sindacato, del pubblico impiego, dei vecchi insediamenti territoriali in via di estinzione; sono partiti che sostengono i valori del merito individuale oltre a quelli della solidarietà con i più svantaggiati, partiti il cui socialismo è uno sforzo continuo di avvicinarsi a quell’uguaglianza di opportunità che è mirabilmente espressa dal secondo comma dell’articolo 3 della nostra Costituzione. Insomma, sono partiti che declinano i valori della sinistra tenendo conto della situazione in cui si trova ad agire oggi e non di quella, assai più favorevole, in cui si trovò ad agire nel dopoguerra, in quella Golden Age della grande crescita economica che è durata fino ai primi anni ’80 del secolo scorso.

Per queste ragioni voto Renzi. Renzi lo conosco a malapena: ne ho solo ammirato il coraggio politico ai tempi delle primarie per il comune di Firenze, uno dei pochi giovani che non si rassegnava a una “normale” carriera politica sotto le ali protettive di qualche leader più vecchio, che rivelava lui stesso una stoffa di leader. Ma è l’unico nel cui programma ho sentito risuonare i valori di sinistra liberale in cui credo e che mi avevano indotto a sostenere il progetto di Partito Democratico quando gran parte della sinistra era contraria. Per carità, da Occhetto in poi ho scritto troppi programmi per credere che essi prefigurino una effettiva linea di governo. Letti però come rivelatori di orientamenti ideologici di fondo, essi conservano un loro potere di discrimine, e quello di Renzi mi convince di più degli altri. Anche se non si tratta di un vero congresso, anche se non sarà una vera primaria, un buon successo di Renzi nella competizione del 25 novembre sfida nei fatti la linea politica di Bersani e, soprattutto, introduce un po’ di discussione sui principi e un po’ di democrazia in un partito che dovrebbe esserne l’alfiere.

 

Michele Salvati

 



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