21 novembre 2012

IL PROTETTORATO E LA CONQUISTA DEL PIRELLONE


La maledizione dei sindaci di Milano è quella di essere incatenati a Palazzo Marino. Protagonisti assoluti della politica cittadina spesso hanno indicato e tracciato un percorso utile per la politica nazionale; stimati e rispettati in città e nel partito di appartenenza, nessuno di loro tuttavia mai è riuscito a imporre una propria leadership al di fuori della cinta daziaria.

Caldara venne messo in minoranza nel proprio partito, Greppi veniva considerato un monumento, Cassinis e Ferrari neppure provarono a uscire, Bucalossi fu minoranza sia tra i socialisti che tra i repubblicani e finì nelle liste civiche con un patetico giovane Bossi, Aniasi e Tognoli pur ministri si scontrarono con la diffidenza di Craxi, Pillitteri e Borghini vennero indicati da fuori le mura ed erano Roma-dipendenti, Formentini non aveva la statura.

Oggi il quadro è diverso: Albertini forse va candidato in regione, sfida la Lega e si propone di ereditare il regno di Formigoni. Pisapia indica al centrosinistra il candidato a presidente, il programma, la lista, i supporter, gli spin doctor (forse sulle cravatte lascia libertà di scelta). Nel frattempo la Provincia da sempre un baluardo anti Palazzo Marino è sciolta anzi metropolizzata.

É un cambiamento epocale nel centro sinistra dove i partiti fino a oggi, pur con qualche arretramento avevano mantenuto il controllo delle scelte strategiche regionali, non a caso l’ultimo candidato a presidente era Penati, figlio del partito per antonomasia.

In questo senso che si tengano delle primarie o meno non è più fondamentale. Le primarie sono uno strumento; diverso dai congressi di partito tradizionali solo quando sono primarie di coalizione o riguardano un partito/coalizione e quindi quando da elezioni interne diventano consultazione aperta.

Nei paesi dove vengono (non sempre) utilizzate, dagli USA al Venezuela, dal Cile alla Francia vengono declinate in funzione del sistema elettorale. Non sono un progetto o un programma, ma l’ambito nel quale si misurano i diversi progetti; tant’è che nei paesi dove è forte il collante identitario dei partiti, in particolare a sinistra, non esistono.

Nel declino di leadership e credibilità dei partiti italiani le primarie hanno assunto un aspetto valoriale quasi fondativo e sono state uno strumento di sostegno ai partiti stessi cui portano nuova linfa anche se ne sovvertono alcuni capisaldi. Uno per tutti: il leader non è più il segretario ma il candidato alla carica più alta o l’eletto, in questo senso Milano è paradigmatica dove Pisapia non è iscritto ad alcun partito ma è naturalmente leader di un paio di essi.

In pratica con le primarie si ritorna alla tradizione del socialismo pre leninista e più ancora del liberalismo giolittiano quando il peso degli eletti era superiore al peso dei segretari e degli iscritti.

In quanto strumento le primarie non garantiscono automaticamente le scelte migliori, dipendono da regole talora bizantine, possono determinare facilmente brogli, ma indubbiamente consentono di superare le leadership per successione designata o per cooptazione che sono tanta parte della italica tradizione comunista come di quella conservatrice. Dove invece i partiti sono troppo deboli vedi Napoli o Palermo le primarie ne sanciscono la messa in liquidazione.

I partiti del centrosinistra lombardo appartengono alla categoria delle organizzazioni deboli e la cura delle primarie avrebbe potuto avere effetti ulteriormente debilitanti. Ecco allora spiegato l’entusiasmo verso la candidatura di Ambrosoli e verso il protettorato proposto da Pisapia. Dice Wikipedia: il protettorato è uno stato controllato (protetto) da uno stato più forte (protettore) il quale si riserva di rappresentarne integralmente la personalità nell’ambito del diritto internazionale mentre lascia una certa autonomia per le questioni interne.

Pd, Sel, Idv, Psi accettano il protettorato del sindaco che d’intesa con i candidati a leader nazionale (non a caso Pisapia non appoggia pubblicamente nessuno tra Bersani, Vendola Renzi, anche se quest’ultimo gli schifa un po’ e flirta con de Magistris) decide chi deve occuparsi delle elezioni e della politica lasciando una certa autonomia per le questioni minori dei consiglieri regionali e degli assessori.

Forse è per questo che Ambrosoli (presumo) su Facebook ha scritto parlando in terza persona: “ha accettato la candidatura come garante di una ampia coalizione del centro-sinistra per le prossime elezioni regionali“; in pochi si sono domandati cosa vuol dire garante, di solito un candidato guida, orienta, propone raramente garantisce. E ancora “io non ho un problema con i partiti o con il Pd. Ma ne sono oggettivamente lontano. Quindi ci ho ripensato e presento ora il “pacchetto Umberto Ambrosoli”: una squadra, un programma su cui vincolare i partiti e una autonomia alla ricerca della massima trasversalità possibile … . I partiti godono di una popolarità estremamente bassa e io dico purtroppo. Ma aggiungo che se la sono un po’ cercata: per l’assenza di controlli sull’attività dei propri adepti, per la mancanza di selezione della classe dirigente, per le nomine nei Cda di parenti, autisti e amici“. Ambrosoli dice che i gruppi dirigenti (si suppone quelli lombardi) dei partiti, sono modesti, inadeguati e un poco margniffoni.

Il gruppo dirigente del Pd pur essendo uscito vincitore dalle elezioni comunali e presumibilmente pronto a elegger un numero di consiglieri regionali e parlamentari come non mai nella storia della nostra regione, incassa e ringrazia, palesando uno straordinario complesso di inferiorità e accetta questa logica forse perchè si è convinto di non avere una classe dirigente di livello adeguato. Forse invece perchè quello lombardo è un partito contenitore; il più lontano, tra le regioni italiane, dalle tradizioni degli ex qualcosa il più ricco di nativi Pd, il più “americano”. Un partito riformatore più che riformista, che non aspira a guidare ma a favorire. Parafrasando Vigorelli si potrebbe dire: “sono renziani ma non sanno di esserlo”.

Ecco spiegato perchè gli avversari dell’unto dal sindaco sono figure minori o eccentriche, ancor più antipartito di Ambrosoli. Le primarie se ci saranno, diventano così una specie di gara d’allenamento: delle primariette.

Senza la retorica dell’arancionismo palingenetico prima maniera, si realizza alfine il partito del sindaco. È buffo che per rottamare una tradizione secolare della sinistra: quella dei partiti avanguardia ci sia voluto il primo sindaco che sia stato, almeno formalmente, comunista. Per gli elettori del centro sinistra ma in generale per i cittadini lombardi, tutto sommato, è un fatto positivo.

 

Walter Marossi

 



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