21 novembre 2012

LUCI E OMBRE NELL’INTESA SULL’ERP A MILANO


Il 6 novembre è stato sottoscritto fra gli assessorati al Territorio, alla Casa, al Lavoro e le Organizzazioni Sindacali dei Lavoratori e degli Inquilini un importante accordo che sembra finalmente porre le basi per una prospettiva programmata di politiche abitative per la restante legislatura. Non si può che plaudere dunque alla sanzione ufficiale della trasversalità delle politiche abitative e della necessità del coordinamento fra i settori coinvolti, anche se, in proposito, è forse da lamentare l’assenza al tavolo dell’assessorato alle Politiche Sociali.

E molto positivo mi pare l’aver posto come assoluta priorità delle politiche abitative l’aumento dell’offerta abitativa a canone sociale, così da venire incontro in modo graduale e programmato all’enorme domanda accumulata: 23.000 famiglie in attesa, la metà di queste con un reddito ISEE erp inferiore a 7.000 euro.

Per fare questo occorrono due cose: realizzare nuovi alloggi e rendere pieno e razionale l’impiego di quelli esistenti. Dunque, servono risorse e l’amministrazione si impegna a destinare 20.000.000 di euro l’anno per nuovi interventi e una cifra da recuperare dai residui (5.000.000 per il 2012) per la riqualificazione dell’esistente.

Non poco, in anni di crisi: ma quanti anni ci vorranno per coprire anche solo la metà del fabbisogno arretrato se non si riusciranno a mobilitare altre risorse integrative? E inoltre, siamo sicuri che gli attuali gestori dell’Erp (Aler e Comune) siano in grado di assicurare il pieno utilizzo dell’esistente, recuperando lo sfitto, sanando l’abusivismo di necessità ed eliminando usi impropri e privilegi. Mi si permetta più di un dubbio. Se le premesse e gli obiettivi sono tutti buoni, dunque, alcune soluzioni previste lo sono assai meno.

Esse appaiono infatti improntate da una visione manichea e in qualche modo “corporativa” dell’edilizia pubblica, che appare un fortilizio da difendere da ogni contaminazione con altri soggetti e forme di intervento e, addirittura, da “segmenti di domanda con redditi diversi da quelli previsti per il canone sociale” (sic). Ora, a parte il fatto che il riferimento ai redditi dichiarati lascia nel nostro paese più di un dubbio in termini di equità sociale, si intende forse negare la positività, e dunque la replicabilità, ad esempio dell’intervento “Quattro Corti” a Stadera che ha introdotto settori sociali con redditi previsti per il canone “concordato” ma nella realtà molto vicini al “sociale” e che ha avuto riflessi positivi sull’intero quartiere per l’azione di accompagnamento sociale svolta dai nuovi soggetti gestori?

Mi rendo conto che questo ostracismo verso altre tipologie di canone può essere nato per contrastare la mistificazione di quella indistinta “area grigia”, con redditi fino a 40.000 e più euro, che viene indicata, in modo altrettanto manicheo, come il target esclusivo del nuovo “housing sociale”, ma non si può cadere nell’estremo opposto di non voler utilizzare il contributo di risorse e di socialità che il vero “privato sociale” ha dimostrato di saper offrire anche per migliorare la vita nei quartieri pubblici.

Separare e rinchiudere l’edilizia economica e popolare, con una gestione monolitica e priva di contaminazioni mi sembra sbagliato e rischia di perpetuare i difetti di ghettizzazione e di formazione di aree di privilegio che oggi la caratterizzano. Credo, al contrario, che si debba stimolare e gestire, accompagnandoli, processi di mobilità che ristabiliscano quelle condizioni di osmosi e comunicazione fra i sottomercati dell’affitto che sono indispensabili per perseguire un pieno ed equo utilizzo del patrimonio abitativo.

Con tutti i limiti che ho più volte rilevato, il bando “8 aree” di Milano ha avuto però il pregio di voler sperimentare l’affidamento a soggetti privati della gestione, oltre che di moderato e convenzionato, anche di quote di canone sociale. E mi pare significativo che l’accordo in questione tralasci di citare proprio questo fra gli interventi di politiche abitative in corso, accanto a Abitare a Milano 1 e 2 e ai Contratti di Quartiere II. Forse che i 55 alloggi a canone sociale attesi ad esempio dall’intervento di via Voltri sono meno sociali perché in gestione a privati?

Lo stesso approccio “difensivo” sembra emergere dai risultati attesi dalla quota obbligatoria di Erp (0,05 di canone sociale) che potrà derivare dalle aree di trasformazione e ristrutturazione del PGT, dato che traspare una chiara propensione a scegliere, in alternativa, la monetizzazione, così da poter realizzare autonomamente interventi Erp a marchio D.O.C.. È chiaro che il privato non aspetta altro e ringrazia, ma in tal modo non si rinuncia una volta per tutte almeno a tentare di far diventare anche l’Erp edilizia normale che sta insieme all’altra senza lo stigma dell’emarginazione?

Ma voglio chiudere con una sottolineatura positiva, anche se per ora si tratta solo un impegno: la costituzione entro l’anno, da parte degli assessorati Casa, Urbanistica e Servizi Sociali (anche quest’ultimo qui esplicitamente coinvolto), dell’Agenzia per la Casa, strumento fondamentale per una vera politica abitativa, capace di perseguire un migliore e più completo utilizzo dell’offerta in affitto e di realizzare quella mobilità virtuosa al suo interno che sola può condurre a risultati significativi. L’auspicio è non solo che si rispettino i tempi (cosa non facile, per la complessità della cosa) ma anche che non si trascuri, almeno in questo caso, il coinvolgimento di quel “privato sociale” già sperimentato che può essere decisivo per una efficace gestione di questi processi.

 

Sergio D’Agostini

 



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