21 novembre 2012

teatro


 

EDIPO RE

da Sofocle

drammaturgia e regia Marco Isidori, scenario e costumi Daniela Dal Cin, con Marco Isidori, Lauretta Dal Cin, Maria Luisa Abate, Paolo Oricco, Stefano Re, Valentina Battistone, Virginia Mossi

produzione Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa, in coproduzione con Fondazione Teatro Stabile di Torino

 

Nel “teatro ulteriore” teorizzato da Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa quel che colpisce di più è l’aspetto visivo, e anche questo Edipo Re non fa eccezione. La scena è formata da un’enorme ziggurat mesoamericana sulla quale all’inizio dello spettacolo sono dipinti uomini in giacca e cravatta con chele di granchio al posto delle mani, che quasi subito vengono strappati via come affissioni pubblicitarie. Dai buchi lasciati vuoti dagli uomini-granchio esce il coro della città di Tebe. Ai lati, cartoni ritagliati raffigurano animali morti le cui carcasse sono state infilate nei pali. Colori psichedelici, graffiti a metà fra quelli rurali e quelli metropolitani, appariscenti costumi che – dall’Edipo-piumato alla Giocasta-alata – mescolano l’umano e l’animale, tutto il lavoro di Daniela Dal Cin balza all’occhio, colpisce e attira l’attenzione dello spettatore.

Anche gli attori, per la maggior parte del tempo, più che attori, sembrano la parte-animata dell’apparato scenografico. La parola è solo un appoggio per le immagini, e non le viene data la minima fiducia espressiva, dato che quasi sempre i significati espressi dalla drammaturgia sono doppiati dalle azioni sceniche degli attori o dall’impianto scenografico.

Il testo di Sofocle è solamente un pretesto per un’operazione estetico-performativa che probabilmente sarebbe stata uguale se i Marcido avessero messo in scena un Caligola di Camus o un Re Lear di Shakespeare; gli esempi sono casuali ma non del tutto, perché si tratta sempre di un imperatore e di un re, e va riconosciuto che l’enorme ziggurat – con Edipo che all’inizio è in cima e, scena dopo scena, scende fino ad arrivare a terra – richiama comunque una dinamica di “caduta del potere” che non sarebbe potuta essere utilizzata, ad esempio, con un Romeo e Giulietta. Ma non è detto, perché il teatro d’avanguardia del secolo scorso ci ha insegnato che, con una chiave interpretativa originale, si può giustificare tutto.

Uno spettacolo che ha il grande pregio di essere netto nella scelta stilistica, che accontenterà e soddisferà coloro ai quali piace un certo tipo di sperimentalismo, e che farà dire “basta” a chi non ci trova più niente di avanguardistico.

 

In scena

Al Teatro I fino al 26 novembre Hilda, di Maria NDiaye, regia di Renzo Martinelli.

 

 

questa rubrica è a cura di Emanuele Aldrovandi

rubriche@arcipelagomilano.org



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