13 novembre 2012

BOOKCITY. SE IL LIBRO CONQUISTA ANCHE MILANO


Il protagonista del famoso monologo teatrale di Alessandro Baricco Novecento, in un certo momento, confidandosi all’amico di una vita, esclama «non si è mai spacciati se si ha una buona storia da raccontare e qualcuno disposto ad ascoltarla». Questo, in fondo, è il valore dei libri: raccontare storie, avventure, pensieri, idee, ed è suggestivo pensare che finché continueranno a esserci libri (e lettori) non saremo mai spacciati.

Con questo intento Milano si appresta a vivere la prima edizione del Book City Milano, nuova iniziativa nel panorama meneghino, in programma dal 16 al 18 novembre, con epicentro al Castello Sforzesco ma con anche una buona dose di incontri dislocati in giro per la città nelle librerie, biblioteche e associazioni. Una tre giorni di vera e propria cultura editoriale e libraria volta a interconnettere mondi, culture e tradizioni diverse tra loro avendo come punto di partenza, appunto, i libri.

Iniziativa organizzata con il concorso di pubblico e privato: da un lato l’Assessorato alla Cultura, dall’altro la Fondazione Corriere della Sera, importanti case editrici senza dimenticare il contributo del mondo della scuola e dell’università. Il Book City si presenta dunque quale nuovo tassello volto a riqualificare il panorama culturale e civile della città, come era stato la rassegna dello scorso maggio Piano City Milano capace di radunare migliaia di persone sul prato della Rotonda della Besana.

L’innovazione culturale nelle proposte, nel metodo e nelle scelte è di certo un merito che va riconosciuto all’assessore Boeri, consapevole che la città non può (e non deve) restare ferma. Anche perché, da un certo punto di vista, sarebbe contro la sua stessa natura. Così a consolidate ed eccellenti iniziative (si pensi al Milano Film Festival giunto ormai alla diciassettesima edizione), ecco che se ne aggiungono di nuove e una manifestazione editoriale non poteva mancare.

Il ruolo strategico di Milano nel mondo editoriale emerge infatti chiaro dai numeri: in città hanno sede oltre 500 case editrici (20% del dato nazionale), 300 librerie (tenendo presente che il 70% dei libri venduti in Italia sono di case editrici milanesi), oltre 300 edicole e 25 biblioteche comunali. Sotto la Madonnina c’è un commercio di libri che equivale a quello di alcune regioni del sud.

Inoltre, il Book City può considerarsi quale nuovo esempio di un corretto ruolo dell’amministrazione pubblica in un’ottica di sussidiarietà orizzontale. Laddove si riesce a fare rete, a unire competenze, passioni e specificità anche diverse, attraverso un sapiente ruolo di regia svolto dal Comune o dagli Assessorati ecco che le iniziative e le proposte nascono e si sviluppano assai facilmente.

Milano, infatti, amava ripetere anche Valerio Onida durante la campagna elettorale delle scorse primarie, è città incredibilmente ricca di associazioni, comitati, gruppi civici, fondazioni, cooperative. Ha un potenziale gigantesco in termini di densità, di eccellenze e di luoghi. Un territorio sostanzialmente piccolo racchiude in se un’intensità propositiva degna delle grandi metropoli e capitali europee.

Davanti a questo panorama la sfida per le istituzioni pubbliche è (anche) saper accendere la scintilla di questo associazionismo propositivo e coinvolgente. Si tratta, in una parola, di dare concretezza alle molte idee, di valorizzarle, di metterle nella condizione di svilupparsi. Dare luoghi e competenze, creare sinergie, processi virtuosi e innovativi.

Il Book City sarà tutto questo, ma non solo. Si presenta anche come antidoto alla crisi del libro, perché ai dati evidenziati prima bisogna aggiungerne un altro: tra maggio e settembre di quest’anno le librerie milanesi hanno registrato un calo del 30% nelle vendite. Ma, a pensarci bene, i libri e gli incontri di questa tre giorni possono anche consistere in una delle tante risposte positive alla depressione economica del nostro tempo. Questa, infatti, si combatte da tante visuali diverse ma complementari: da un lato c’è, di certo, il rigore economico, la spending rewiew, la necessità di aumentare gli sforzi e i sacrifici. Dall’altro però, ci sono anche manifestazioni di speranza, che significa capacità di diffondere sui territori strumenti in grado di allargare il nostro orizzonte di vita e pensiero.

Insomma, la crisi si combatte anche con le idee e in un’ottica di medio e lungo periodo lo sviluppo passa obbligatoriamente anche per la valorizzazione dei saperi e delle culture quali veri e propri strumenti in grado di guidare il cambiamento.

 

Martino Liva

 



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