31 ottobre 2012

CONCORSO PER IL VIGORELLI. VALE PIÙ IL CASATO DEL PROGETTO


Perché il Concorso di Progettazione per la riqualificazione del Velodromo Vigorelli organizzato dall’Amministrazione Comunale milanese è fuffa? Proviamo a spiegarvelo. Il Comune di Milano ha bandito un Concorso Internazionale di Progettazione per la riqualificazione del “Velodromo Maspes-Vigorelli”, costo massimo di € 18 milioni. Il Concorso è di tipo ristretto. Si è infatti preferito un concorso di progettazione a un concorso di idee.

Ma ciò che si chiede è un’idea. Ad esempio, si chiede ai concorrenti un’opinione circa la conservazione o meno della pista, dico la conservazione della pista, dello storico anello. Dai partecipanti ci si aspetta quindi un indirizzo, capace di coniugare la memoria di ciò che il Vigorelli è stato e (forse) non può più essere, con l’individuazione di nuove funzioni: aree per eventi, bar, ristoranti, sale espositive/conferenze, negozi. Lo scopo, testuale è “di verificare la possibilità di realizzare una struttura sportiva integrata con funzioni diverse, in grado di contribuire alla sostenibilità economica dell’impianto.”

Insomma la piadina che finanzia un po’ di ciclismo come il bookstore e il coffe shop sostengono i musei, ovvero la bicicletta e la cultura che legittimano il registratore di cassa. Quasi un disperato tentativo di inventarsi qualcosa da regalare a CityLife, magari quel carattere urbano, quella milanesità che sembra mancare all’iniziativa immobiliare che sta prendendo forma. Insomma una occasione persa per organizzare bene, con fierezza, un concorso di idee, aperto a tutti, a tutte le opinioni, sia ai progetti che ritengono che un velodromo è un velodromo sia a chi, nel parquet della vecchia pista, prevede un bel dehors per un happyhours modaiolo.

Molte soluzioni non potranno essere valutate, perché una buona idea, espressa da un architetto privo di fatturato, di esperienze precedenti o di organico professionale non è data la dignità di essere conosciuta e valutata. Per gli organizzatori un’idea non è un’idea se è espressa senza soldi, senza capitale. Così, invece di un concorso di idee, il bando è diventato un: concorso di progettazione a procedura ristretta con procedura a due fasi, di cui una di preselezione. Questa scelta non è comprensibile.

La preselezione, ovvero la scelta di dieci progettisti tra tutte le proposte si articola nella valutazione di un elaborato e alla lettura dei curricula dei progettisti, completati da una raccolta di immagini di altri progetti da allegare che può aumentare la considerazione del combinato proposta+curriculum. Sottolineiamo che la raccolta richiesta non è di “progetti”, “disegni” ma di “immagini”, quindi rendering, fotografie, con un atteggiamento che ci pare assolutamente in linea con la deriva fenomenologica dell’architettura come immagine.

È chiaro che la giustificazione di questa procedura concorsuale è finalizzata all’individuazione di professionisti che possono rassicurare il committente circa la loro capacità tecnico – economica – organizzativa. Professionisti che hanno dato prova, che sono già stati scelti da altri enti appaltanti o da altri, più o meno, illuminati imprenditori. Ma forse, la vera ragione è quella di presidiare la scelta dei dieci selezionati, magari preferiti per loro spendibilità come testimonial in grado di rassicurare la città (intesa come luogo di costruzione del consenso) all’interno di un sistema di relazioni chiuso, provinciale che non produce più nessuna qualità.

Non è il progetto che conta in questo concorso ma il progettista. Renzo Piano, un nome che apre molte porte, nella sua luminosa carriera, ha progettato opere prestigiose. Non tutti i suoi progetti hanno, a nostro parere, la stessa qualità. Certo, tutti sono professionalmente impeccabili, ma mettere sullo stesso piano l’ampliamento della Morgan Library a New York con il Vulcano Buono che lo stesso ha realizzato a Nola vicino a Napoli è, prima di ogni altra cosa, fare un torto allo stesso Piano. Ecco possiamo dire che Milano ha bisogno per il Vigorelli di un progetto come l’ampliamento della libreria non il trash commerciale del cratere campano con i negozi.

Non sia mai, in Italia e a Milano, che a vincere un concorso importante sia uno sconosciuto, magari come quello (quella) che ha vinto l’ampliamento della Biblioteca di Gunnar Asplund a Stoccolma o il più recente concorso per il Museo del Bauhaus a Weimar, dove su un unico elaborato sono state selezionate le ventisette idee in grado di passare alla seconda fase, dove l’unica precondizione era la fotocopia della tessera di architetto.

Perché per il Vigorelli non si è adottata la stessa procedura? Chiunque, anche il più acerbo dei progettisti, l’autore dell’idea scelta da una Giuria confidente e autorevole che non ha bisogno di essere confortata dal curriculum del solito noto – è in grado e può avvalersi di strutture progettuali di supporto alla sua inesperienza, alla sua giovinezza e alla probabile scarsità di mezzi. È una procedura peraltro prevista dal codice degli appalti, che può essere richiesta anche prima della seconda fase del concorso ma che non può e non deve essere un motivo di pre-esclusione.

Il concorso è dichiarato in forma anonima. L’obbligo dell’invio dei curricula e delle immagini produce, in realtà, un palese svelamento dell’identità dei progettisti riportando la centralità del progettista, della sua fama, della sua griffe, della sua capacità di pre-legittimazione della proposta al di là dei contenuti effettivi della stessa. Sarà un esempio banale, ma un buon sommelier individua il vino che sta gustando senza la necessità di essere rassicurato dall’etichetta.

La Giuria, che verrà definita dopo la consegna degli elaborati, è la stessa sia per la pre-qualificazione che per la fase concorsuale. Anche questa scelta appare discutibile perché, nella pratica del fare, i criteri di preselezione anticipano inevitabilmente il giudizio finale, rendono noti i progettisti e ne pre-stabiliscono l’ordine di preferenza. La Giuria stessa, inoltre, può addirittura udire i concorrenti trasformando, nei fatti, il concorso in una sorta di incarico diretto a trattativa privata.

Al vincitore del concorso non è garantito l’affidamento dell’incarico di progettazione. Questo è quanto afferma il Bando. Nel caso invece che l’ente appaltante volesse procedere, il concorrente dovrà dimostrare, ancora una volta, di essere in possesso dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi, avvitandosi in una metastasi burocratica che non produce nulla se non contenziosi insostenibili per operatori e cittadini.

Alla fine, per il progetto scelto (in questo caso per il progettista preferito dalla giuria), che scaturisce dallo sforzo di centinaia e centinaia di progettisti e collaboratori, quali sono i partecipanti al concorso nel loro insieme, nulla è certo. Non è certo l’incarico professionale, non è certa la realizzazione dell’opera. Può succedere, nel nostro caso siamo sicuri che succederà, vista la serietà di Sindaco e Assessori, ma non è certo. Questa incertezza non è più accettabile.

Dopo la revisione del PGT, dove, su iniziativa radicale, è stata faticosamente inserita una norma che prevede premialità volumetriche per i privati che vorranno affidare i loro incarichi di progettazione organizzando concorsi di architettura, norma che deve trovare applicazione fattiva nel regolamento edilizio in corso di revisione, ci aspettavamo dalla Giunta, al suo debutto con un’opera di architettura così significativa per la nostra città, più coraggio e un atteggiamento dissonante rispetto alle pratiche usuali che hanno fatto delle opere pubbliche del nostro paese una occasione di spreco e mai di sviluppo.

Il concorso del Vigorelli deve essere rettificato per tornare a essere un concorso a due fasi in forma aperta e anonima lasciando alla seconda fase o, alla proclamazione del vincitore, la verifica dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi e/o di un eventuale procedura di avvalimento.

 

Francesco Spadaro

 



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