31 ottobre 2012

CASA: OLTRE A WORD BISOGNA USARE EXCEL


Negli ultimi numeri di ArcipelagoMilano molti articoli, facendo leva sulla coscienza civile e ambientale di tutti noi, hanno richiamato l’attenzione sull’ormai insostenibile consumo di suolo. Con argomentazioni ineccepibili Di Simine, Vascelli Vallara e altri, hanno dimostrato come salvaguardare il territorio, il suolo, l’ambiente, significhi difendere un bene comune e il nostro futuro.

Marco Romano, da parte sua, con delle splendide lezioni di storia, cerca di avvallare la tesi che solo la proprietà immobiliare dia il diritto di cittadinanza a tutti noi e che quindi costruire, costruire, costruire e possedere, possedere, possedere sia un processo inevitabile. Una tesi a mio parere fuorviante e anacronistica a cui però non possiamo continuare a rispondere solo con delle belle parole, sperando in una nuova cultura ambientale degli italiani.

Dobbiamo chiudere Word e aprire Excel, rispondere anche con i numeri e non solo con le parole. Perché c’è un nodo gordiano che lega gli italiani alla casa. Un nodo che ci fa credere che l’acquisto della casa sia l’unico investimento sicuro perseguibile, l’unico aiuto da dare ai propri figli, l’unico strumento di sicurezza per il futuro. Un nodo che ha reso ogni italiano vorace consumatore di suolo, affamato di mq quadri di prime, seconde, terze case, sviluppando un mercato drogato i cui valori di scambio sono ormai esponenzialmente dilatati rispetto a quelli d’uso.

Un nodo che oggi, grazie alla crisi immobiliare, si è leggermente allentato ma non a sufficienza e che fa dire ancora a molti: “Ma come, per cinquant’ anni, anzi per mille e più anni ogni italiano ha fatto il suo affare, comprando e rivendendo case, e adesso, belli belli, quattro verdi e due urbanisti pentiti ci vengono a dire che la festa e finita? Ma sono matti?” No, non siamo matti, caro Romano, siamo solamente seri e sappiamo che la storia è cambiata.

E allora parliamo di numeri, di interessi, di soldi. Non degli interessi degli speculatori ma dei cittadini, di quelli necessari ad arrivare a fine mese e a fare la spesa, a istruire i propri figli, a garantire un futuro possibilmente migliore al nostro paese. Degli interessi quei cittadini che hanno consumato, spesso inconsciamente, milioni di mq di suolo convinti da immobiliaristi e banche a investire i loro risparmi presenti e futuri per acquisire il semplice diritto ad abitare, distogliendo le loro risorse da tutte quelle attività che ne avrebbero migliorato la qualità di cittadinanza.

La riduzione del consumo di suolo passa necessariamente da una rivoluzione culturale che spezzi questo nodo gordiano dicendo una volta per tutte che comprare una casa non è un investimento, ma, al limite, un risparmio forzoso. Ai nostri figli non serve una casa di proprietà, serve che gli si paghi la retta scolastica e universitaria e che li si aiuti investendo nella loro creatività, accompagnandoli nelle loro attività, permettendogli anche di sbagliare senza il rischio di non potersi risollevare.

Ma comprare una casa non è un investimento – inteso come un’operazione che, in caso di riuscita, porterà un certo guadagno – perché la casa, come tutti i beni di consumo non può essere, se non in rari casi, lo strumento di crescita economica di una famiglia. Qualcuno forse ha fatto un affare ma i più si sono indebitati fino al collo per venti, trenta e anche quarant’anni distogliendo risorse dalla propria attività, dalla propria formazione, dalla propria crescita culturale e professionale.

Un vero aumento del capitale deve essere infatti valutato al netto dell’inflazione, delle spese di mantenimento e ristrutturazione e degli interessi versati per l’eventuale mutuo. E nella stragrande maggioranza dei casi se al supposto “capitale guadagnato” si sottraggono tali variabili, esso finisce per ammontare a zero o addirittura essere negativo. Il guadagno è solo apparente ed è dato dal non tenere in conto le variabili appena elencate, e soprattutto non dipende dall’investitore ma dall’andamento di un mercato su cui non si ha nessun potere di incidere, come si potrebbe invece fare investendo nella propria attività e formazione.

Gli eventuali guadagni sono per lo più casuali perché la famiglia che si compra la casa in cerca di sicurezza non lo fa con criteri specificamente speculativi (inteso in senso economico), ma sulla base di criteri di utilità e preferenza personale. Un investitore sceglie invece l’immobile esattamente in base a calcoli e previsioni economiche, basandosi sulla propria abilità ed esperienza personale. E infatti, per molti e purtroppo, il futuro, che pensavamo di esserci garantiti con quattro mura, è arrivato e con lui una crisi economica che è soprattutto immobiliare.

E allora? Allora, oltre a sensibilizzare le coscienze dei cittadini si potrebbe o dovrebbe:

1. Trasferire le aspettative di investimento dalla casa ai settori realmente produttivi destinando i proventi della tassazione immobiliare alla riduzione dei balzelli e dei costi che attanagliano qualsiasi attività imprenditoriale (energia, Iva, tasse e tassette di qualsiasi forma e sostanza), nella convinzione di ridare sviluppo a settori che, a differenza dell’edilizia, siano innovativi e anche esportabili.

2. Incentivare realmente l’affitto, attraverso la detassazione, favorendo la grande proprietà immobiliare che, grazie a delle economie di scala, potrà offrire sul mercato abitazioni ad affitti calmierati ma anche garantendo i proprietari rispetto alle situazioni di morosità e insolvenza degli inquilini, come si sta facendo in Spagna.

3. Soprassedere dal regalare aumenti volumetrici agli immobiliaristi a fronte della cessione di appartamenti in finto Housing sociale o edilizia convenzionata, (non quello vero di cui ha parlato Maurizio Spada) che, oltre a rappresentare un ulteriore cementificazione, generano costi aggiuntivi che ricadranno sugli acquirenti finali delle unità a libero mercato. E se proprio fosse necessario reperire dell’edilizia sociale perché non dare la possibilità agli stessi immobiliaristi di acquistare e cedere per tale scopo parte delle migliaia di appartamenti sfitti e inutilizzati?

4. Premiare la demolizione e ricostruzione degli edifici obsoleti, non la semplice e onerosa ristrutturazione, a favore di nuovi e sostenibili immobili, sviluppati magari verticalmente così da riequilibrare il rapporto di impermeabilizzazione del suolo, rendere meno energivore le abitazioni, riqualificare i tessuti edificati?

Milano, e probabilmente tutta l’Italia, non ha bisogno di un mq e di un mc in più. Ha bisogno di ridistribuire quanto è già costruito. Ma per fare questo dobbiamo essere convinti, intimamente e personalmente, che un tetto è necessario ma non sufficiente a garantirci un futuro sereno. La crisi che stiamo attraversando ci può dare una mano a creare nuove prospettive. Ormai, loro malgrado, in molti si rendono conto che per comprare il pane il mattone non serve.

Andrea Bonessa

 



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