31 ottobre 2012

AUTONOMIE AMMINISTRATIVE E BUROCRAZIA: RICOMINCIARE DA ZERO


Le proposte di riordino delle strutture di governo risalgono alla metà del secolo scorso. Iniziano con la lunga marcia per istituire le Regioni, previste dalla nostra Costituzione, attuate negli anni ’70 e, oggi, prese di mira dal ritorno della logica di ricentralizzare la gestione delle risorse. Riprendono, con più frequenza, negli ultimi decenni per riequilibrare i bilanci pubblici e per arginare i costi della politica e gli sprechi di denaro pubblico. Gli esiti sono un susseguirsi di continue modifiche e di interventi di riforma troppo frequenti e troppo spesso parziali che in molti casi accentuano le sovrapposizioni e la concorrenza di competenze non sempre virtuosa tra chi ha responsabilità di scelte politiche e chi, viceversa, ha competenze e responsabilità di identificare le alternative tecniche.

Nel merito, si deve ricordare che di riorganizzazione delle autonomie locali, tra cui l’istituzione delle aree metropolitane, si inizia a parlare più di vent’anni fa con la legge n. 92/1990, che se ne riparla nel 2001 con la riforma del Titolo V della Costituzione, e che il tema viene ripreso, oggi, in un contesto di più emergenze, dettate dagli eccessi dei costi della politica, dalla proposta di accorpare e di commissariare le province e dall’accavallarsi delle scadenze delle primarie e di più scadenze elettorali.

Contestualmente, negli stessi decenni, sono istituite con spese rilevanti molte province, molte delle quali oggi sono già da cancellare, e sono istituiti anche nuovi comuni; è deliberata una legislazione, con oneri di spesa, a favore dei piccoli comuni senza obbligo di ricorrere all’istituto dell’Unione dei Comuni e di verificarne gli esiti in termini di efficienza economica e di efficacia di governo; viceversa, sono soppresse e accorpate le comunità montane, alcune con ragione, altre nella totale indifferenza delle barriere altimetriche e dei problemi di accessibilità; mentre, nei grandi comuni capoluogo di regione le zone di decentramento incontrano non poche difficoltà di dialogo per costruire scelte condivise con il proprio livello di governo centrale, e in alcuni comuni capoluogo di provincia sono soppresse le stesse rappresentanze di quartiere.

L’esito è una legislazione che anche se ha subito cancellazioni e tagli – si ricordi il falò appiccato a un numero imprecisato di norme dal Ministro per la semplificazione legislativa Roberto Calderoli -, rimane farraginosa e controversa. Anche in questo caso gli annunci si sprecano, prevalgono le azioni manifesto e lo scopo di semplificazione non viene raggiunto. Manca ogni correlazione con il riordino delle competenze istituzionali e con la congruità tra i diversi passaggi dei percorsi decisionali, per evitare le discrasie dovute a soppressioni e aggiunte non ponderate.

Alcuni esempi: la confusione indotta dalle troppo delibere delle giunte regionali che introducono nuovi uffici e nuove competenze spesso non verificati con i contenuti della legislazione di primo livello delle stesse regioni; le difficoltà di controllare il bilancio laddove da un lato, si dice che si vuole risparmiare nella spesa pubblica e dall’altro, mentre si salvaguardano indistintamente tutte le competenze dei comuni più piccoli, si permette la proliferazione di sportelli unici e di più società di gestione di servizi e di investimento in opere pubbliche, il mantenimento della ripartizione dicasteriale delle risorse assegnate ai diversi assessorati e l’aumento delle società (oggi sono ben 84) di riscossione dei tributi in nome e per conto degli stessi enti locali. Per non parlare di altre procedure come quella del caso di un padre che per avere l’autorizzazione di poter disporre di un lascito a favore di figli minori ha dovuto farsi preventivamente autorizzare. Viceversa, la giustizia è inesorabile nei confronti dei più deboli come dimostra l’effetto “Adro” con la decisione adottata da molti comuni di sospendere la mensa per gli alunni delle famiglie morose.

Serve un nemico e questo è individuato nell’inefficienza della burocrazia amministrativa, indistintamente attribuita, oltre che all’invadenza della politica, a una non meglio specificata incompetenza del personale amministrativo e tecnico, cui peraltro i continui cambiamenti lasciano poco tempo per condurre sperimentazioni compiute e per verificarne gli esiti. È ben lontano il tempo in cui alla burocrazia veniva riconosciuto un ruolo centrale nella gestione dei processi decisionali e nella ricerca di soluzioni eque nelle grandi e piccole vertenze tra i cittadini da cui potevano trarre indicazioni anche gli amministratori per evitare la stessa burocratizzazione del pensiero politico.

Un’occasione per provare a ragionare con rinnovata passione sul riordino delle strutture amministrative può essere la scadenza dell’istituzione dell’area metropolitana, in cui si auspica che la distinzione tra funzioni e competenze metropolitane da un lato e quelle dei municipi dall’altro dovrà informare il significato delle scelte superando, pur confrontandosi con la logica dei confini amministrativi e dei pesi, il ben noto disegno della ciambella con il comune capoluogo al centro e la corona di gruppi di comuni satelliti all’intorno.

Maria Cristina Treu

 



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