24 ottobre 2012

RENZI, IL PD E IL COLORE DEI SOLDI


Sono bastati pochi giorni dalla cena milanese e “fatale” di Matteo Renzi per sentire la battuta del prodiano Arturo Parisi, un politico senza se e senza ma: “Se si citano le Cayman spunta Unipol”. Credo che oltre a lui molti stiano andando indietro con la memoria per scovare più o meno provate verità sulla debolezza delle nostre forze politiche di fronte e al fascino diretto dei soldi per uso personale, per il partito ma anche semplicemente di fronte all’indubbio potere che danno i soldi o ancora al fascino esercitato da chi i solidi li ha, sia che li mostri sia che più luteranamente non ne faccia sfoggio, per non suscitare l’invidia degli dei o anche solo quella del vicino di casa.

Se non si fermano in tempo ci sentiremo ancora ricordare i soldi del Cremlino al PC, quelli degli USA alla DC e al Partito Socialdemocratico di Saragat tra storia e intercettazioni recenti del tipo “abbiamo una banca”. Il denaro “sterco del diavolo” segue tutta la storia dal medioevo sino a noi e l’ultimo probabilmente a parlarne in questi termini – “merda del diavolo” – fu Bruno de Finetti, un grande matematico e statistico, amico di Fermi e di molti altri eccellenti, più noto forse di là dell’Atlantico che da noi, morto iscritto al Partito Radicale nel 1985 e che rischiò la galera per aver difeso l’obiezione di coscienza. Allora con questa “merda del diavolo” e col suo fascino ci tocca fare i conti. Quotidianamente. Soprattutto quando gli scandali o il feroce dibattito politico attraversano il nostro tempo.

Tra qualche giorno si potrà fare un’antologia di tutto quel che comparirà sulla stampa sulla vicenda Renzi – Bersani – Cayman ma per il momento vorrei segnalare un bell’articolo di Nadia Urbinati sulla Repubblica di sabato scorso dal titolo “Quando i soldi entrano in politica”. Prendendo spunto dalla vicenda della famosa cena la Urbinati va al nocciolo del problema scrivendo: “Come e chi finanzia il candidato è dunque un problema che va posto subito, a livello normativo e non soltanto etico.”. Si scavalca giustamente in questo modo la pelosa questione delle frequentazioni che la saggezza popolare racchiudeva in due parole: “Dimmi con che vai e ti dirò chi sei”, vigorosamente contestato da Formigoni, per arrivare a dire che per combattere il “male” bisogna conoscerlo; si affrontano insieme due nodi: il comportamento di un candidato a qualunque forma di competizione politica partecipi e il comportamento “economico” di chi lo sostiene.

Che strada scegliere? Normare per legge quest’aspetto dell’attività di un candidato in occasione di una qualunque candidatura? Come si è fatto, più male che bene, per i partiti? I risultati non sono stati brillanti anche perché l’eventuale falsa dichiarazione del candidato in merito ai contributi ricevuti non è seriamente sanzionata. Imporre per legge a tutti coloro che versano contributi a partiti o candidati di dichiararlo in un apposito albo pubblico? Sanzionare chi non lo fa? Possibile ma non facile. Resta poi un grosso problema: cosa ne facciamo delle “altre utilità”. Come dichiararle da parte dei candidati? Come definirle? Il renzismo giovanilista affonda una delle sue radici nell’impossibilità di sciogliere questo nodo che potrebbe consentire all’elettore una valutazione a priori ma soprattutto a posteriori sull’indipendenza di un candidato e nel non poter conoscere i trascorsi di ognuno e dunque l’assioma: chi in politica c’è da meno tempo meno scheletri ha nell’armadio. Il qualunquismo dell’ovvio?

 

Luca Beltrami Gadola

 

PS. La cena era a porte chiuse, immaginiamo facilmente cosa possa aver detto Renzi. Ma chi ci racconterà che impressione ha fatto lui su questi finanzieri? Pensano di fidarsi di lui e lui di loro?



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti