22 ottobre 2012

DI NUOVO PICASSO A PALAZZO REALE


Nel 1953 stavo ultimando il liceo e alla prima mostra su Picasso a Milano mi sono avvicinato con incoscienza sostenuto da una cultura classica ma eclettica. La mia trasformazione intellettuale ha avuto inizio in quell’istante straordinario in cui ho iniziato a chiedermi il perché e il come di quanto è rappresentato in Guernica esposto nella sala delle Cariatidi semi distrutta dalla guerra recente. In quell’istante ho capito che quella enorme tela parlava in termini drammatici di una guerra, diversa da quella che avevo vissuto da bambino, ma devastante, denunciava dolore e morte con una protesta corale del cielo e della terra.

Avevo iniziato a capire che il mondo figurativo era cambiato e che avrei dovuto da quel momento leggere e interpretare quello che si vede, che a primo impatto non si capisce, ma nasce e si esercita sul movimento, sul tempo e su concetti comunicabili comunque non individuabili nel passato ma nel futuro.

Bene hanno fatto gli ordinatori a raccogliere e a esporre le immagini riguardanti l’allestimento del ’53 realizzato nello stesso luogo ma con principi e interpretazioni dell’opera e dello spazio molto diversi da quelli attuali. Nel vecchio allestimento gli spazi destinati all’esposizione si proiettavano verso la Piazzetta Reale e il Duomo, la luce naturale entrava dalle finestre per lavorare con le ombre delle sculture e dare allo spazio un colore impercettibile tanto da mettere in evidenza tracce di decori architettonici delle sale non ancora restaurate. A una serie di pennoni staccati dalle pareti era affidata la presentazione dei disegni e delle pitture mentre una serie di supporti lignei appoggiati a pavimento davano evidenza ai bronzi alcuni dei quali presenti anche oggi.

Ricordo con passione la grande capra di bronzo, con le sue grandi mammelle e il ventre teso, di cui mi ero invaghito e mi sarei volentieri trascinato a casa.

Italo Lupi, Ico Migliore, Mara Servetto responsabili del nuovo allestimento della mostra hanno agito come era naturale, in modo diverso. Innanzitutto sono stati eliminati gli affacci verso il Duomo e la Piazzetta Reale. Forse questa operazione di chiusura delle finestre rientra in decisioni che non hanno nulla a che fare con le scelte dei progettisti. Io credo che la chiusura delle finestre che caratterizzano uno spazio tolga allo spazio architettonico quelle valenze che lo rendono unico. In altre parole va sacrificato il plus valore che deriva dalle qualità intrinseche dello spazio: dimensioni e luce naturale. La facilità di orientamento consente al pubblico che guarda fuori dalle finestre di sapere sempre dove si trova rispetto alla città, e non è cosa da poco.

Mi si dirà che la chiusura delle finestre aumenta lo spazio espositivo, che si riducono i rischi della sicurezza, operazioni queste cui non ho mai creduto perché mi sono sempre parse prioritarie le peculiarità architettoniche dello spazio ospitante che possono comunque sempre essere garantite con accorgimenti semplici.

L’accesso alla sala delle Cariatidi è imponente. Una strada di pensieri di Picasso ci accompagna alla proiezione di Guernica e gli specchi e il soffitto ridipinto con discrezione fa immaginare che col tempo, sotterrata l’ascia degli esperti intransigenti, si possano ammirare anche le statue di gesso e le cornici delle specchiere. Ci vuole pazienza e costanza!

I progettisti hanno scelto il grigio scuro come colore dominante, come fondale continuo delle opere. Qualche volta ho l’impressione che la luce artificiale tenue non renda a pieno i colori e quel senso geniale del cambiamento che Picasso introduce in continuazione nelle sue ininterrotte sperimentazioni.

Mi sono chiesto, percorrendo questa esposizione che non ha sbavature e che denota tante attenzioni per lo spazio, quale sia l’opera che ha infiammato Italo Lupi, quale sia l’opera che si sarebbe portato via nel gioco che ho introdotto. Dico questo perché ogni opera è al posto che le spetta mentre quella che ci ha ferito con la freccia dell’amore generalmente sfugge a questa regola.

Comunque non potrà essere la capra che da sessanta mi appartiene!

 

Antonio Piva



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