24 ottobre 2012

ANCORA A PROPOSITO DI CITTÀ METROPOLITANE


Pochi anni fa, mano al Titolo V, qualcuno ha deciso che le città metropolitane in Italia sono dieci, numero perfetto. In questi giorni, a sessant’anni dalla Costituzione (“La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”), si è stabilito che le città metropolitane corrispondono esattamente alle rispettive Province, gli enti ereditati nell’Ottocento dal centralismo napoleonico, disegnati in prevalenza con il criterio di contenere spazi raggiungibili dai capoluoghi in una giornata di cavallo. È un vero miracolo: le Province, disegnate due secoli fa, sembrano nate apposta per contenere la rete complessa dei flussi e delle relazioni dei moderni sistemi metropolitani. Incredibile! Appunto.

Il professor Martinotti, intervenuto sul tema nei numeri 32 e 33 di ArcipelagoMilano, ha scritto, e lasciato intendere, critiche sacrosante alla superficialità con cui la politica si appresta a varare il nuovo livello di governo del territorio. Le sue parole sarebbero state sottoscritte da Lucio Gambi e da Roberto Mainardi, due geografi che dal fronte di un’altra disciplina si distinsero come lui negli studi sui fenomeni urbani. Le loro lezioni, che ho seguito da studente negli anni Settanta alla Statale di Milano, erano panoramiche affascinanti e acute sugli spazi che attorno alle grandi città si trasformavano con impeto e senza controllo: i tentacoli di Milano verso l’alta pianura, le pendici del Vesuvio assediate da Napoli, la Valdarno contesa da Prato e Firenze, la conurbazione dello Stretto…

Negli anni dell’esplosione demografica delle città si indagava sul loro divenire metropoli e sull’estensione dell’influenza dei servizi e delle istituzioni in esse localizzate. L’eco di quelle ricerche non andò lontana, né arrivò alle stanze della politica. Come oggi, in cui si sta percorrendo la via più sbrigativa dell’equivalenza metropoli/provincia. Sull’argomento Milano tace, come le altre province salvate grazie al superamento delle soglie-catenaccio della dimensione e del numero degli abitanti.

Le soglie, per le quali già fioccano le deroghe, non sono troppo alte o troppo basse. Sono incongrue perché si riferiscono a territori disegnati quando in Italia le metropoli non esistevano. Dato che oggi nessuno mette in discussione confini decisi nel passato è come dire che Milano-metropoli, guarda il caso, coincide proprio con la provincia disegnata nell’Ottocento (mozzata però dei territori di Monza e di Lodi…). Nessuno osa sottolineare che gli spazi polarizzati da Milano arrivano fin quasi a Varese, a Como, a Lecco e a Bergamo e che città come Vigevano, Busto Arsizio o Saronno guardano Milano, piuttosto che i rispettivi capoluoghi di provincia. Milano-metropoli avrà poteri incerti sui comuni preesistenti e si svilupperà entro confini inspiegabili, indifferenti o d’impiccio alle sue funzioni e ai flussi del traffico quotidiano.

Sarà composta da 134 comuni, uno solo nelle vesti del gigante, tutti pronti a rivendicare la dignità del proprio campanile e a ribadirne l’intangibilità: sicuri del successo perché la materia è delicata e vicina al sentire, appunto, “comune”. Ed è scoraggiante pensare che in Italia occorse una dittatura per allargare il territorio di alcune città, inglobando piccoli comuni confinanti. Erano brutti tempi, ma nacque la Grande Roma e vennero “ampliate” Genova, Firenze e Napoli. Prima degli anni Venti Milano finiva alle porte di Baggio e di Affori (inglobate a Milano nel 1923 insieme ad altri nove comuni), ma non è fuori da ogni logica di pianificazione del territorio che oggi Milano termini ai confini di Cinisello o di Rozzano?

Milano conta almeno settecentomila city users, persone che entrano quotidianamente nella città per lavoro e che abitano altrove e circa 400.000 di loro provengono dalla provincia: sono una risorsa per l’economia privata, ma rappresentano un costo per l’Amministrazione della città, che deve erogare servizi per un numero di utenti superiore e che non può contare sui tributi finanziari dei non residenti.

Anche alcune grandi infrastrutture della città sono fuori Milano, come l’aeroporto di Linate, esteso su due comuni diversi (Peschiera Borromeo e Segrate), le linee della metropolitana che valicano oltre la decina di confini comunali, la Fiera di Milano che sta a Rho … . Riuscirà Milano-metropoli a mettere tutti d’accordo?

Come dice Martinotti è sbagliato “ragionare su modelli obsoleti di aggregazione a partire dal comune centrale (…)” perché, continua, il ruolo del sindaco è “tipicamente municipale, non regge una scala diversa (…)”.

Nel caso di Milano però c’è un vizio storico di scala: 180 km quadrati, la superficie del Comune, non possono contenere il cuore di una metropoli e non solo per invidia verso la capitale (il Comune di Roma si sviluppa su 1.300 kmq, sette volte tanto…).

 

Giovanni Silvera

 



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