24 ottobre 2012

cinema


SISTER

di Ursula Meier [L’enfant d’en haut, Francia/Svizzera, 2012, 100′]

con: Kacey Mottet Klein, Léa Seydoux, Martin Compston, Gillian Anderson

 

Abita «giù alle case popolari» Simon (Kacey Mottet Klein), e tutti i giorni sale sulle piste da sci per rubare giacche a vento, guanti e cappellini firmati; lo fa «per comprare le cose», confida lui. Giù, abita con la sorella Louise (Léa Seydoux, sguardo incantevole) cercando di arrabattarsi per avere di che sopravvivere.

Ursula Meier in Sister [L’enfant d’en haut, Francia/Svizzera, 2012, 100′] disegna due mondi separati: uno sopra, ricco e luminoso, in una stazione sciistica frequentata da turisti; l’altro sotto, tra il grigiore delle case popolari. A rendere comunicanti i due mondi c’è la funivia, che Simon prende quotidianamente per passare da giù a su. Simon risale facilmente, in poco tempo, i due mondi non sono poi così lontani ma – forse – la funivia è un’immagine significativa per rendere la distanza e l’incomunicabilità tra i due luoghi il cui dialogo è, appunto, appeso a un filo.

Meier rappresenta le piste da sci come una specie di parco divertimenti dove Simon si muove quasi avulso, estraneo. Lui proviene da un margine della società (dal basso) e “sgambetta” in quest’altro margine (quello alto) come fosse protagonista di una storia in cui non crede.

Ad aspettarlo giù, c’è la sorella maggiore Louise: irresponsabile e abituata a vivere di ciò che Simon riesce a rubare nei ricchi chalet. È uno sguardo freddo il suo, spesso indifferente alle premure del piccolo. La regista osserva quel rapporto disagiato senza scivolare nel patetico e, inizialmente, non si inserisce nell’intimità dei due ragazzi.

Ma Simon e Louise partecipano a una menzogna: un segreto che conservano tra loro. Almeno fino a quando Ursula Meier e i cosceneggiatori Antoine Jaccoud e Gilles Taurand scelgono di schiaffeggiare lo spettatore rivelandolo, e portando la telecamera all’obbligo di inquadrare i visi e i gesti dei due giovani alla ricerca di una tenerezza indispensabile.

Alla fine, Simon e Louise si incrociano: in pochi secondi Ursula Meier riesce nuovamente a trovare un’immagine semplice ma efficace; i mondi dei protagonisti sembrano inconciliabili ma lo sguardo si incontra, si tocca, noi in sala abbiamo una speranza ma siamo consapevoli che anche quel rapporto viaggia appeso a un filo.

Paolo Schipani

Partita il 9 ottobre la rassegna cinematografica Beltrad’Essai, organizzata al cinema Beltrade (via Oxilia, 10), durerà fino a martedì 11 dicembre. Qui l’agenda con gli appuntamenti!

 

 

KILLER JOE

di William Friedkin [U.S.A., 2011, 103′]

con Matthew McConaughey, Emile Hirsch, Thomas Haden Church, Gina Gershon, Juno Temple.

 

William Friedkin, regista di Killer Joe, non si perde in preamboli. Non esita a introdurre istantaneamente lo spettatore nella disperazione di una notte di pioggia torrenziale in cui Chris (Emile Hirsch), un giovane spacciatore, è all’ossessiva ricerca di una soluzione per sanare i suoi debiti. La soluzione è un piano diabolico e inumano che prevede di uccidere la propria madre per spartire con il padre l’eredità di cui beneficerebbe la piccola Dottie (Juno Temple).

La ragazzina, fragile e anacronistica, appare come una cenerentola circondata da meschinità e squallore. In mancanza di soldi è l’unica caparra che padre e figlio possono proporre allo spietato e diabolico Killer Joe (Matthew McConaughey) per portare a termine il lavoro. Il poliziotto che arrotonda con uccisioni a pagamento ha evidenti fattezze mefistofeliche. Tenta, accusa e distrugge tutti coloro che gli si avvicinano.

William Friedkin, che quarant’anni fa ha messo in scena L’Esorcista, si muove su un terreno conosciuto. Tuttavia, non di sola carne è fatto satana in Killer Joe. Il regista insiste a indirizzare lo sguardo dello spettatore su apparecchi televisivi che ipnotizzano i protagonisti continuando a trasmettere immagini vacue e atroci. Friedkin, negli anni ’70, ha contribuito a rivoluzionare il genere poliziesco con Il braccio violento della legge, spezzando quella netta divisione che fino ad allora separava la giustizia dal crimine.

Con Killer Joe si misura con qualcosa di ancor più violento e sanguinoso. La regressione dell’uomo appare da subito evidente, le figure maschili sono spacciatori e assassini, le donne ridotte a ruoli primitivi di vergine, madre e prostituta.

Nel culmine di questa degenerazione morale, l’immacolata e salvifica Dottie interviene impersonificando un giudice universale che condanna l’accidia del padre, la lussuria della matrigna e l’abominevole avidità del fratello. Cosa ne farà del meravigliato e attonito Killer Joe possiamo solo immaginarlo.

Marco Santarpia

In sala a Milano: UCI Cinemas Bicocca, UCI Cinemas Certosa, Arlecchino.

 

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Schipani e Marco Santarpia

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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