13 aprile 2009

LA GIUSTIZIA A MILANO: MOLTE OMBRE E QUALCHE LUCE


Ogni giorno, quasi diecimila persone, per lo più semplici cittadini non operatori del settore, si mettono in fila dinanzi ai quattro ingressi del Palazzo di Giustizia di Milano e attendono pazientemente di poter accedere, attraverso impianti di controllo tipo aeroporto, spesso tarati in misura troppo sensibile, per cui suonano quasi sempre, costringendo gli addetti alla sicurezza a controlli complementari che fanno perdere a tutti tempo prezioso.

Una volta entrati e raggiunto con fatica il rispettivo obiettivo (i sette piani dell’edificio sono un vero labirinto, con indicazioni scarse e spesso superate), gli interessati sono costretti a ulteriori, lunghe attese per ottenere chi un certificato, chi di poter testimoniare, chi di ottenere giustizia in quanto parte lesa in un processo penale.

Per la comodità degli operatori, soprattutto dei magistrati, quasi tutti i processi penali vengono fissati alla stessa ora, le 9.00, ma in realtà, salvo lodevoli eccezioni, iniziano ben più tardi e si protraggono fino al primo pomeriggio.

Il primo adempimento di ogni organo giudicante è il rinvio di quei processi nei quali viene riscontrato qualche difetto di notifica, specie se a carico dell’imputato.

Difatti, se il processo venisse celebrato nonostante il difetto di notifica, ciò renderebbe nullo ogni atto giudiziario svolto, in quanto vi sarebbe violazione del diritto di difesa garantito dalla Costituzione.

Il numero di processi rinviati ogni giorno per questi motivi è rilevante.

La ragione è che gli ufficiali giudiziari, pagati poco e con molto ritardo dallo Stato, si occupano delle notifiche penali solo “in coda” alle notifiche civili, che invece vengono loro pagate dagli avvocati e dalle parti private in anticipo.

Oltretutto, che una notifica penale non sia andata a buon fine lo si apprende solamente la mattina del giorno fissato per il processo.

Questo comporta che le parti offese ed i testimoni, presenti a loro spese e dopo aver dovuto giustificare l’assenza dal lavoro, si sentono comunicare solo quella mattina che debbono andarsene e verranno richiamati qualche mese dopo, senza alcuna garanzia che quella sarà la volta buona.

Ogni volta che viene inaugurato l’anno giudiziario i giornali riportano ampi stralci della relazione del Procuratore generale presso la Corte d’Appello, contenente dati a dir poco deprimenti sulla durata dei processi, le carenze degli organici di giudici e personale dipendente, le omissioni dello Stato in materia di investimenti, attrezzature, strumentazione.

Sta di fatto che, dal punto di vista dell’utente, la giustizia a Milano appare funzionare male, con lentezza esasperante, nonostante l’impegno dei singoli magistrati e funzionari addetti agli sportelli non manchi ed il loro comportamento nei confronti dei cittadini sia quasi sempre corretto e collaborativo.

A questo panorama da diciannovesimo secolo fa tuttavia da contraltare qualche segnale positivo, per ora limitato agli addetti ai lavori, ma tale da far sperare che in un tempo ragionevole possa intervenire un deciso miglioramento della situazione, almeno nel settore civile (che è quello che riguarda la stragrande maggioranza degli utenti; il penale, come è ovvio, fa notizia, ma concerne la patologia, percentualmente comunque molto ridotta, dei casi).

La giustizia milanese è, infatti, fra le più avanzate d’Italia quanto ad informatizzazione.

Il settore più rilevante che ne sta già beneficiando è quello dei “decreti ingiuntivi”, cioè dei provvedimenti che privati e imprese possono richiedere contro i debitori che non pagano, pur avendo regolarmente ordinato e ricevuto la merce.

Da due anni questo settore è stato automatizzato, per cui i creditori possono godere del “procedimento telematico”, con grandi risparmi di tempo e di lavoro per tutti. Il tempo medio per ottenere un’ingiunzione “telematica” è di circa 25 giorni, contro gli oltre tre mesi necessari per un’ingiunzione “su carta”.

In questi giorni è anche entrato in vigore un sistema di avvisi da parte delle cancellerie agli avvocati, relativo a ogni provvedimento concernente i processi da loro gestiti, affidato completamente ai computers, tramite l’utilizzo della cosiddetta “firma digitale”, ottenibile con poca spesa e un procedimento burocratico semplice e bene organizzato dal Consiglio dell’Ordine.

Questo dimostra che l’inefficienza generale del sistema non è una disgrazia irrimediabile.

La tecnologia ormai ampiamente disponibile a costi molto ridotti rispetto a poco tempo fa consente a chi abbia voglia e capacità organizzative del tutto normali di migliorare molto il servizio-giustizia, nell’interesse degli utenti e in generale di tutti gli operatori del sistema.

La recente intervista rilasciata a questo giornale dal Presidente Pomodoro, nonché la sua storia personale di magistrato attento ed esperto in materia organizzativa, fanno bene sperare per un miglioramento della situazione.

Giuseppe Amoroso




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