16 ottobre 2012

REGIONE: COSA DOPO IL CELESTE


Avrei dovuto dedicare questo intervento alle primarie nazionali del centro sinistra, ma l’avvio della fase finale della Gotterdämmerung del Celeste impone un urgente ritorno a riprendere il filo di un discorso iniziato già mesi fa e riguardante la necessità di una rinascita civile e politica per la Lombardia. Un recente e affidabile sondaggio dice che l’elettore sceglierà avendo come elemento discriminante questi primi tre argomenti: per il 52% del campione l’affidabilità delle candidature, per il 35% per le scelte di tutela del lavoro e per il 26% per la speranza di taglio delle tasse (risposta multipla possibile).

Si tratta del miglior scenario potenziale possibile per una proposta innovativa del centrosinistra in Lombardia: l’esperienza della Giunta arancione di Milano ha il suo indiscusso punto di forza nell’affidabilità personale e nella capacità di mantenere la coalizione di governo anche in situazioni difficili; sul tema del lavoro il centrosinistra è considerato, nonostante le molte battute a vuoto e la insopportabile tendenza al conservatorismo in materia, più rassicurante; la novena del tagliamo le tasse collegata al tagliamo la spesa e anche i servizi, che pure effettua un incomprensibile richiamo ancora su buona parte del Pd, non è più avvertita come insopprimibile esigenza individuale da perseguire magari anche con un pizzico di evasione tollerata, ma è un problema di “sistema” e non il più importante.

Trasformare queste potenzialità in possibilità concrete di vittoria in Lombardia è possibile a condizione di sfruttare adeguatamente i propri punti di forza e focalizzando molto bene la proposta politica, evitando di correre dietro alle parole d’ordine della destra sostenendo che le scelte politiche di Formigoni e la Lega sono giuste ma l’applicazione è sbagliata e noi lo faremmo meglio, come il centro sinistra a trazione politica Penati in Regione Lombardia ha fatto fino a poco tempo fa.

Occorre quindi prima di tutto valorizzare in questa chiave l’esperienza “arancione” milanese, intendendo l’intero processo dalle primarie alla formazione della Giunta senza delegazioni e bilancini di partito. E quindi nessun dubbio e nessuna scusa su tempi e modi, le primarie per il candidato Presidente si dovranno fare e si faranno, dovranno avere la caratteristica di allargare il campo delle proposte politiche, evitando di dare seguito allo spettacolino buono per qualche articolo sul giornale da far vedere ai parenti e agli amici di candidature di “bandierina”. Candidature serie, che incarnino per propria storia personale e per arricchimento da realizzarsi in corso di campagna delle ipotesi politiche che possano essere ricomposte dopo il risultato e la scelta, attraverso la formazione di una coalizione e un programma elettorale che coinvolga e mobiliti l’elettorato.

È del tutto evidente poi che l’esperienza milanese, intesa come ben sintetizzato qualche settimana fa dall’assessore del Pd Majorino con l’espressione “l’arancione appartiene a tutti coloro i quali vogliono indossarlo”, deve spendersi in prima persona per rendere credibile la riscossa civica che sola potrà permetterci di uscire con pochi danni dalla rovinosa caduta di un sistema politico cui è stato fatale l’insopportabile ombra della peggiore criminalità ma che in questi venti anni ha pervaso in profondità le istituzioni, soprattutto attraverso l’incredibile grado di occupazione quasi militare del sistema sanitario più grande del mondo alimentato da 17,5 miliardi di euro pubblici e 6,5 miliardi di pagamenti privati governati da una ferrea struttura di potere in mano a pochissime persone, fatto che anche solo dal punto di vista organizzativo non ha riscontro da nessuna parte del mondo.

Una lista “arancione” in grado di raccogliere le energie civiche e politiche di persone, associazioni, iniziative che non si riconoscono o non rientrano nell’alveo inesorabilmente sempre più ristretto dell’iniziativa dei partiti è una condizione indispensabile per sperare nella vittoria, certamente in Lombardia e probabilmente anche oltre: sarà bene che dirigenti grandi e piccoli di partiti e partitini della galassia del centrosinistra se ne facciano una ragione senza abbandonarsi a pericolose illusioni, per esempio, sull’asse risolutore Bersani-Vendola. Solo ripetendo l’alleanza civica in grado di valorizzare l’apporto plurale del mondo del centro sinistra, riconoscendola da subito come qualcosa che non va contro ma va oltre lo schieramento partitico, sarà possibile provare con qualche possibilità di successo a strappare la Lombardia a un centrodestra che ne ha fatte ormai di ogni, ma che sarebbe grave considerare morto.

C’è infine “last but not least” la scelta della o del candidato che, seppure a mio parere in misura inferiore rispetto al Comune, resta l’aspetto fondamentale e più evidente della campagna elettorale che dovremo affrontare. Le candidature avanzate o ventilate fino a oggi, al netto della ricerca dei cinque minuti di notorietà di qualcuno, sono legittimamente soprattutto concentrate nel mondo dei partiti delle opposizioni regionali di questi ultimi anni. Candidature legittime non per questo vogliono dire convincenti (non “vincenti”, categoria inseguita a lungo e del tutto priva di significato: ricordate quanti definivano Pisapia uno che “non poteva vincere”… ), almeno fino a questo momento.

Io credo che manchi ancora una candidatura “arancione” intesa non certo come appartenenza a un movimento che, proprio perché tale, ha confini difficili da individuare, bensì come espressione di quel vasto movimento civico composto da gente che non ha paura di mettere la faccia in politica, che si affaccia all’impegno dando e non chiedendo. La sfida sarà tale, già a partire dalle primarie, da richiedere l’ingresso in campo di qualcuna o qualcuno che abbia incarnato, in questi ultimi due anni, in maniera visibile l’esperienza milanese, che sia disponibile a rimettersi ancora e sempre in gioco, moltiplicando ancora il proprio impegno.

Io penso, sono convinto, che dovremo chiedere a qualcuna o qualcuno che molto ha dato in questi ultimi mesi di dare ancora qualcosa in più.

 

Franco D’Alfonso

 



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