16 ottobre 2012

musica


LA TERZA SINFONIA DI BRAHMS

 

Nella storia della musica la Sinfonia occupa un posto del tutto particolare: è una sorta di monumento che i grandi musicisti erigono più per i posteri che per il loro pubblico (il pubblico “contemporaneo” è spesso poco considerato dagli autori) ma soprattutto lo erigono a loro stessi, consapevoli che si tratti della polizza più affidabile per puntare all’eternità.

La moderna Sinfonia nasce verso la metà del settecento – come sviluppo dell’ouverture (detta appunto “sinfonia”) dell’opera italiana – fra Milano (Giovan Battista Sammartini, 1700-1775) e Mannheim (Johann Stamitz, 1717-1757), e anche grazie all’opera dei due (fra i venti) più dotati figli di Johann Sebastian Bach: il quarto (Carl Philipp Emanuel, 1714-1788) e l’undicesimo (Johann Christian, 1735-1782) vissuti rispettivamente in Germania e in Inghilterra. La Sinfonia nasce allora ma si consolida nella sua definitiva forma classica soltanto con l’immane lavoro di Franz Joseph Haydn (1732-1809), che ne scrive ben 104, e di Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) che si limita a scriverne 41 oltre a due concertanti.

Il vero grande salto verso la monumentalità, per l’importanza che assumerà nell’opera complessiva e nella stessa vita dei musicisti, la Sinfonia lo farà, come è noto, con Ludwig Van Beethoven (1770-1827) che ne scriverà solo nove ma concepite come pilastri della sua intera produzione musicale. Dopo di lui tutti i musicisti ebbero l’incubo del confronto con le nove celeberrime Sinfonie beethoveniane e divennero molto parchi e non vollero superare il fatidico numero nove: Franz Schubert (1797-1828) ne completò otto e altre ne lasciò incompiute, Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809-1847) ne scrisse cinque, Robert Schumann (1810-1856) quattro e una incompiuta, Johannes Brahms (1833-1897) quattro, Anton Bruckner (1824-1896) arriverà a nove ma l’ultima non riuscirà a finirla, Gustav Mahler (1860-1911) ne lascerà nove e una decima incompiuta fino a quando Dmitrij Šostakovič (1906-1975) ne scriverà ben quindici! (Le date di nascita e di morte degli autori aiutano a farsi un’idea dello sviluppo nel tempo di questa fondamentale forma musicale).

Tutto questo abbiamo raccontato per introdurre qualche riflessione sulla terza Sinfonia di Brahms che nei giorni scorsi è stata eseguita all’Auditorium da una smagliante Orchestra Verdi diretta da Gaetano d’Espinosa cui avevamo dedicato l’ultima nostra nota. Questa grandiosa opera, composta durante l’estate del 1883 nella tonalità solare del fa maggiore, rappresenta una grande svolta nella storia della Sinfonia: prima di essa il modello era sempre e solo quello delle ultime sinfonie beethoveniane (il grande direttore d’orchestra Hans von Bülow definì la prima sinfonia di Brahms “la Decima di Beethoven“!), con essa cambia tutto, nasce la Sinfonia postromantica e moderna e si avvierà un percorso senza ritorno. Nella Terza si stenta a riconoscere la forma sonata, l’organico è relativamente modesto, manca un tempo lento (fra l’Allegro con brio iniziale e l’Allegro finale vi sono un Andante e un Poco allegretto); il tema dolente in do minore del terzo movimento, affidato in apertura ai violoncelli fra gli arpeggi di viole e violini e il pizzicato dei violoncelli, è una delle pagine più commoventi scritte da Brahms, sembra di riconoscervi un muto singhiozzo, quasi una voglia di piangere, mentre il cupo tema in fa minore che introduce l’Allegro finale (che non è affatto allegro ma è al contrario pervaso da profondo pessimismo) non ha alcun risvolto consolatorio. È una sinfonia che chiameremmo “tragica”, come la quarta di Schubert e la sesta di Mahler, e come la famosa Ouverture dello stesso Brahms, se non sapessimo che l’autore non volle che si desse alcun nome di fantasia alle sue opere.

Dobbiamo purtroppo dire che il direttore palermitano non ha dato segno di comprendere a fondo né il contenuto innovativo della Sinfonia né la sua tragicità; eseguita dopo una insignificante breve opera del siracusano Orazio Sciortino (scritta quest’anno e in prima esecuzione) e un bel Concerto n. 2 per violino e orchestra (“I Profeti”, del 1933) di Mario Castelnuovo-Tedesco – in cui non ha brillato il pur bravo Domenico Nordio, con manifesti problemi di intonazione del suo violino – questa Terza brahmsiana ci è apparsa scolorita, un po’ routinière. Peccato, perché dal diligente D’Espinosa che si è appena sobbarcato il non lieve onere di sostituire all’ultimo momento la titolare Zhang Xian in due difficili concerti, che è un direttore giovane e un musicista appassionato – e anche per il fatto che si accinge a debuttare alla Scala con due opere verdiane – avevamo diritto ad aspettarci qualche emozione in più.

 

Da non perdere

Giovedì 25 ottobre, nella Sala Verdi del Conservatorio, alle ore 21, concerto dell’Orchestra Sinfonica del Conservatorio in onore del grande oncologo Gianni Bonadonna; nel ricco menù della serata segnaliamo il Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 in do minore, opera 37, di Beethoven eseguito al pianoforte da Alice Baccalini e diretto da Amedeo Moretti (ingresso libero, informazioni presso Fondazione Michelangelo, tel. 02.2390.3067, e-mail fmichel@istitutotumori.mi.it)

Per i pochi fortunati che hanno trovato posto, martedì 30 ottobre l’Orchestra della Scala rinforzata dall’Orchestra Mozart e finalmente diretta da Claudio Abbado – che torna al “suo” teatro come un eroe da un lungo esilio, acclamato non meno di quanto lo fu Toscanini subito dopo la fine della guerra! – eseguirà il Concerto n. 1 in mi minore opera 11 di Frederyk Chopin (al pianoforte Daniel Barenboim che festeggia il suo imminente settantantesimo compleanno) e la Sinfonia n. 6 in la minore, la “Tragica”, di Gustav Mahler.

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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