10 ottobre 2012

arte


 

GLI OMINI EQUILIBRISTI DI DE BRAUD

Alberto de Braud ritorna al Museo Diocesano. Dopo aver fatto volteggiare nel chiostro l’opera Unexpected, due enormi mele sospese nell’aria, estate 2008, de Braud ritorna al Museo per presentare, e forse terminare, un tema che lo ossessiona da anni.

Fine del gioco è infatti il titolo della personale dell’artista, in cui quaranta opere, per lo più sculture, mostrano e ci fanno vivere due decenni costellati di piccoli omini. Sì perché sono proprio degli omini, piccoli, a volte paffuti, a volte piatti e stilizzati, i protagonisti dell’opera artistica di de Braud, che li declina in ogni variazione. Linee, piramidi, grappoli, accumuli precari, totem, che fanno di questi omini i protagonisti assoluti della mostra.

Ci si accorge subito di quali sono i temi affrontati da de Braud in queste opere: la ripetizione, l’accumulazione, l’incertezza e la ripetizione delle forme, il modulo, che ritorna costantemente. L’equilibrio precario di questi omini, veri e propri equilibristi che si sfidano l’un l’altro a raggiungere la cima di una metaforica piramide, che si accalcano in code che sembrano protrarsi all’infinito, mentre altri ancora lottano per cercare di non precipitare nel vuoto sottostante, è metafora dell’uomo moderno.

Stretto, spintonato, fragile come non mai e schiacciato dalla società e dai suoi simili, preso da mille impegni e da obbiettivi sempre più ambiziosi, che siano di vita o di carriera. Questa sensazione di soffocamento nulla porterà di buono, lo spazio sulla Terra, così come le risorse, non sono inesauribili, ci sembra suggerire de Braud, che nella sua opera sembra voler far riflettere, o almeno far suggestionare, su temi come il futuro prossimo e la globalizzazione, con tutti i problemi economici e ambientali che questa comporta.

Perché intitolare tutto questo Fine del gioco? Perché questa mostra dovrebbe liberare l’artista dalla sua ossessione per l’omino-feticcio, portare a conclusione l’argomento uomo e riuscire quindi a sviluppare altri temi di ricerca, che già aveva portato avanti egli anni. Non è detto però che questa ne sia davvero la conclusione. L’uomo, d’altra parte, rimane centrale nell’arte come nella filosofia, ed è motore e fine di (quasi) ogni cosa.

Alberto de Braud Fine del gioco Museo Diocesano, corso di Porta Ticinese, 3 ottobre – 11 novembre 2012, Orari: dal martedì alla domenica, 10-18, lunedì chiuso. Ingresso: intero: 8 Euro; ridotto 5 Euro

 

DAL 1953 A OGGI: PICASSO A MILANO

Picasso torna a Milano. I capolavori del genio spagnolo arrivano in città con una grande ed emozionante retrospettiva. Le opere, più di 200, arrivano dal museo più completo e importante per quanto riguarda la produzione dell’artista: il Museè Picasso di Parigi che, chiuso per restauri fino al 2013, ha deciso di rendere itineranti le sue collezioni e di presentarle in tutto il mondo. Prima della tappa milanese infatti le opere sono state esposte in America, in Russia, Giappone, Australia e Cina.

Certo non è la prima volta che Picasso “arriva” a Milano. Oltre alla grande mostra del 2001, ci fu un’altra kermesse, che fece la storia delle esposizioni museali in Italia, la grande mostra del 1953. Una mostra dalla duplice tappa italiana, prima Roma e poi Milano, ma che ha avuto nei suoi sviluppi meneghini una risonanza e un’importanza non paragonabile a quella romana. Voluta fortemente dal senatore Eugenio Reale, la mostra romana si presentava ricca sì di opere, ma parzialmente oscurata per motivi politici. Ad esempio non compariva il Massacro in Corea (presente oggi in mostra).

L’edizione milanese, organizzata dall’instancabile Fernanda Wittgens e dai suoi collaboratori, fu invece ancora più ricca di opere, scelte dallo stesso Picasso, con addirittura l’arrivo, a mostra già iniziata, di Guernica, celeberrimo dipinto del 1937, e manifesto contro la guerra franchista. Dipinto che per la sua importanza fu sistemato, su richiesta di Picasso, nella sala delle Cariatidi, che “per contratto” non doveva essere restaurata dopo le devastazioni della guerra, proprio per creare un connubio e un monito fortissimo a memoria degli orrori e delle devastazioni belliche.

Proprio da questa stessa sala prende avvio oggi la mostra “Picasso. Capolavori dal Museo nazionale di Parigi”, che racconta in un percorso cronologico e tematico la vita e le opere dell’artista. Insieme alle fotografie che ci mostrano attimi di vita, amori, amici e ateliers dell’artista spagnolo, in mostra dipinti, sculture e opere grafiche create durante la sua lunghissima vita. La mostra, curata da Anne Baldassari, presidente del museo parigino, illustra le varie fasi e gli stili che Picasso usò, spesso in contemporanea, durante la sua carriera.

Si inizia con l’apparente classicismo e malinconia dei periodi blu e rosa, di cui sono memorabili opere come La morte di Casagemas, dipinto dedicato all’amico morto suicida, la misteriosa Celestina e I due fratelli. Ma già dal 1906 si intuisce l’influenza che l’arte primitiva, africana e iberica, avranno su Picasso. Sono questi gli anni che vedono la nascita dei tanti disegni preparatori per il capolavoro assoluto, Les Demoiselles d’Avignon, 1907 (conservate al MoMA di New York). L’autoritratto nudo, gli studi di donna, sono tutti dipinti in cui il Cubismo inizia a prender forma, semplificando e rendendo impersonali volti e sessi.

Ma la rivoluzione vera arriva intorno al 1912, quando Braque e Picasso inventano i collage, e la forza dirompente delle loro sperimentazioni porta alla nascita del Cubismo, analitico e poi sintetico, in cui la figura viene prima scomposta, resa irriconoscibile, come nel Suonatore di chitarra e Il suonatore di mandolino, per poi tornare a inserire elementi di realtà, come lettere, numeri, scritte o veri e propri elementi oggettuali.

Ma Picasso non è solo Cubismo. Negli anni ’20 segue, a suo modo, il Ritorno all’ordine dell’arte, con le sue Bagnanti e le sue donne enormi, deformate, possenti e monumentali, omaggi agli amici impressionisti come Renoir. Sono gli anni in cui conosce anche Breton e i Surrealisti, e in cui crea figure “disumane” e contorte, mostri onirici che ci mostrano le pulsioni sessuali e le ossessioni del pittore.

La guerra però, sconvolge tutto. Oppositore della dittatura franchista, Picasso non può far altro che denunciare gli orrori e la violenza della guerra con sculture e dipinti dai toni lividi, come Guernica, o nature morte popolate di crani di tori, capre e candele dalla fiamma scura. Non mancano i ritratti dei figli e delle donne amate: Fernande, Dora Maar, Marie Therese, Francoise, Jacqueline e la bellissima Olga in poltrona, dipinto che Picasso conserverà fino alla propria morte, appeso sopra il letto. Ritratti ma anche autoritratti dell’artista, dipintosi davanti al cavalletto, o con una modella nello studio, tema prediletto per dipingere la Pittura, il vero amore della sua vita.

Picasso dipinse fino a poco prima di morire. Degli ultimi anni sono i dipinti che riprendono i maestri a lui più cari, Matisse, Velazquez, Delacroix, ma anche un lucido autoritratto in cui l’artista si rappresenta sempre pittore ma con un volto che sembra già un cranio dalle orbite vuote (Il giovane pittore, 1972). Morirà l’anno seguente.

Una mostra completa, che prende origine dall’incredibile collezione del Museo Picasso di Parigi, forte di più di 5.000 opere, donate in vari nuclei da Picasso stesso e in seguito, direttamente dagli eredi. Ieri come oggi le opere di Picasso potranno ancora insegnarci qualcosa, monito e delizia dei tempi moderni.

Picasso. capolavori dal Museo Picasso di Parigi Palazzo Reale, fino al 6 gennaio 2013, orari: lunedì, martedì e mercoledì: 8.30-19.30 giovedì, venerdì, sabato e domenica: 9.30-23.30; biglietti: € 9,00 intero, € 7,50 ridotto

 

 

PETER LINDBERGH. TRA MODA E CINEMA FANTASCIENTIFICO

Durante la Vogue Fashion’s night out ha inaugurato la personale del fotografo tedesco Peter Lindbergh, presso la galleria Carla Sozzani in Corso Como 10. Non c’era location migliore per proporre questa mostra fotografica se non proprio una galleria d’arte legata a doppio filo col mondo della moda e del glamour, vuoi per la parentela tra Carla e Franca Sozzani, direttrice di Vogue Italia, o vuoi per il grande store di lusso al piano terra, 10 Corso Como, appunto.

Ma soprattutto Lindbergh nasce come fotografo di moda, come autore di alcune fotografie che hanno fatto un po’ la storia di giornali internazionali come Vanity Fair, Rolling Stone, Harper’s Bazaar e naturalmente, Vogue America. Una carriera lunga, che nasce in Germania, si sposta in Svizzera, in Spagna, a Parigi e sbarca poi in America, dove, nel 1988, Anna Wintour, super direttrice di Vogue, mette Lindbergh sotto contratto. Da lì al successo mondiale il passo è breve.

La mostra è divisa in due sezioni. La prima, intitolata “Known-Images of women“, è una selezione di quaranta immagini tra le più significative della carriera di Lindbergh, e che sono comparse sui più importanti giornali di moda internazionali. Grandi fotografie in bianco e nero che ci restituiscono immagini di donne bellissime come Kate Moss, Naomi Campbell e Linda Evangelista, e che evidenziano quella ricerca formale e quell’allure glamour che solo le foto di alta moda, e di grandi fotografi, sanno offrire.

La seconda parte, intitolata “The Unknown“, è più innovativa, e mostra un taglio creativo inaspettato. The Unknown fa parte di un progetto di ricerca personale dell’artista, che dopo averlo presentato nel 2011 a Pechino, prosegue e aggiunge immagini a questo percorso “a sé”, senza ordine temporale o logico, e che richiama da vicino il mondo del cinema, altra passione di Lindbergh. Queste fotografie mostrano modelle e attrici famose, Kate Winslet, Amber Valletta ma soprattutto Milla Jovovich, che non sono più solo modelle inarrivabili ma donne che devono vedersela addirittura con catastrofi planetarie.

Lo scenario è fantascientifico, con richiami ai film del compatriota Fritz Lang, in cui incendi, disastri e caos sono disseminati nelle grandi metropoli americane, e davanti alle quali le affascinanti protagoniste di Lindbergh restano sconvolte e confuse, alcune catatoniche, ma sempre armate di rossetto rosso, in questo improbabile Armageddon. Gli elementi per creare suspance ci sono tutti: pericoli e minacce ambientati nei deserti californiani, alieni che rapiscono l’attore Fred Ward e la sua compagna, ma anche spiragli di set hollywoodiani non troppo nascosti all’obiettivo della macchina fotografica. Immagini che sembrano davvero fotogrammi di un film, in un continuum sempre più indissolubile tra queste due arti predilette da Lindbergh.

Peter Lindbergh. Known and “The Unknown” – Galleria Carla Sozzani. Fino al 4 novembre Orari: Lunedì ore 15.30 – 19.30 Martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato ore 10.30- 23 Domenica ore 10.30 – 19.30 Ingresso libero

 

BRAMANTINO: UNA MOSTRA AUTOCTONA

Promossa e auto – prodotta dal Comune di Milano, quella di Bramantino potrebbe essere la prima di una serie di mostre rivoluzionarie, non tanto per la novità dei temi quanto per la modalità di produzione. A cura di Giovanni Agosti, Jacopo Stoppa e Marco Tanzi, “Bramantino a Milano” è un’esposizione quasi monografica dei capolavori milanesi di Bartolomeo Suardi, detto il Bramantino (1480 – 1530), da Vasari, che gli diede questo soprannome in qualità della sua ripresa dei modi di Donato Bramante, pittore e architetto al servizio di Ludovico il Moro.

Che cos’ha di speciale questa mostra, nel cortile della Rocchetta, Castello Sforzesco, fino a settembre? Innanzitutto la gratuità dell’ingresso, il fatto che sia munita di due mini guide gratuite, complete di descrizione e dettagli storico – critici sulle opere in esposizione, e infine, il fatto che è una mostra “a chilometro zero”. Tutte le opere presentate al pubblico provengono infatti da musei e collezioni milanesi: l’Ambrosiana, Brera, la pinacoteca del Castello e la raccolta di stampe Bertarelli.

Questa è la grande novità. In un momento di crisi, in cui spesso le mostre sono di poca sostanza e si è soliti attirare il pubblico con nomi di grandi artisti, senza presentarne però i capolavori, ecco che si è preferito rinunciare ai prestiti esteri, impossibili per mancanza di fondi, e si è voluto puntare e valorizzare solo pezzi cittadini di qualità. Compito facile visto che Milano conserva il nucleo più cospicuo esistente al mondo di opere del Bramantino: dipinti su tavola e tela, arazzi, disegni, affreschi e l’unica architettura da lui realizzata, la Cappella Trivulzio nella chiesa di San Nazaro in Brolo.

L’esposizione si articola nelle due grandi Sale del Castello Sforzesco che ospitano già importanti lavori dell’artista. Nella Sala del Tesoro dove domina l’Argo, il grande affresco realizzato intorno al 1490 e destinato a vegliare sul tesoro sforzesco, sono esposte una trentina di opere, dipinti e disegni, che permettono di capire lo svolgersi della carriere dell’artista bergamasco: dalla Stampa Prevedari, un’incisione in rame che il milanese Bernardo Prevedari realizzò su disegno di Bramante e che influenzò per spazi e monumentalità l’opera di Bramantino, all’Adorazione del Bambino della Pinacoteca Ambrosiana, alla Madonna e Bambino tra i santi Ambrogio e Michele Arcangelo, con i due straordinari scorci dei corpi a terra.

La soprastante Sala della Balla, che accoglie gli arazzi della collezione Trivulzio, acquisiti dal Comune nel 1935, presenta un allestimento completamente nuovo, che dispone i dodici grandi arazzi, dedicati ai mesi e creati per Gian Giacomo Trivulzio, in modo che si leghino tra loro nella sequenza dei gesti e delle stagioni. Un filmato documenta ciò che è non è stato possibile trasportare in mostra: dalla Cappella Trivulzio alle Muse del Castello di Voghera, di cui Bramantino fu responsabile dei dipinti.

Una mostra davvero a costo zero, come dichiara lo stesso Agosti. “Gratis è l’allestimento di Michele De Lucchi, Francesco Dondina ha realizzato gratuitamente l’immagine e il fotografo Mauro Magliani ha lavorato con fondi universitari. La promozione è curata gratuitamente; il Fai e gli Amici di Brera hanno dato una mano per gli incontri e la struttura del Comune si è rimessa ad agire in proprio in maniera eccellente”. Una mostra tutto sommato facile, si gioca in casa, ma che proprio per questo ha un merito in più: promuovere quello che è sotto i nostri occhi tutti i giorni, valorizzarlo e dargli nuovo lustro.

Bramantino a Milano – Castello Sforzesco, Cortile della Rocchetta, Sala del Tesoro – Sala della Balla – PROROGATA AL 14 OTTOBRE orari: da martedì a domenica dalle ore 9.00 alle 17.30. La Sala della Balla, al fine di consentire lo svolgimento di iniziative in programma, il 26 maggio e il 9 giugno chiuderà alle ore 14.00, il 15 giugno resterà chiusa tutto il giorno, mentre il 14 settembre chiuderà alle ore 15.00.

 

 

questa rubrica è a cura di Virginia Colombo

rubriche@arcipelagomilano.org


 



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