3 ottobre 2012

CONSUMO DI SUOLO, CIVATI E CHI UNA CASA NON CE L’HA


Ho incominciato a essere socialista quando quel termine è stato inventato, un paio di secoli fa – è vero, non ero nato, ma è come se ci fossi stato – e il socialismo consisteva in sostanza nel sostenere l’abolizione dei privilegi e l’estensione dei medesimi diritti a tutti i cittadini di una nazione.

Se gli stati dell’Ottocento han fatto molto, spinti dalle rivoluzioni di metà secolo, per venire progressivamente incontro a questo programma, la sua realizzazione ha da allora incontrato le resistenze dei conservatori, che di volta in volta sostenevano ora che gli operai non avessero maturità politica e dunque non meritassero il diritto di voto – e figurarsi le donne, che votano in Italia solo dal 1946 -, ora che loro stessi avrebbero portato avanti un progetto di rigenerazione sociale che forse non avrebbe avuto un effetto immediato sul benessere dei popolani ma che alla lunga ne avrebbero sicuramente beneficiato: non soltanto il liberismo economico ma soprattutto i programmi degli stati totalitari del Novecento, tutti sostenitori del benessere di un “uomo nuovo” conformato secondo un loro progetto e parecchio disattenti al benessere dei loro sudditi hic et nunc.

Così oggi non so se abbia senso la contrapposizione tra destra e sinistra nella sfera politica, ma ho ben radicata la diffidenza per ogni programma che assuma un criterio del benessere dei cittadini stabilito a priori a tavolino – come hanno fatto tutti i pianificatori, degli stati totalitari ma anche dei partiti progressisti nostrani – garantendo che la sua realizzazione avrà come conseguenza, ancora da dimostrare, il futuro benessere dei cittadini, e preferisco umilmente che ogni proposta vada valutata dal punto di vista di John Rawls, mettendomi nei panni di chi potrebbe esserne danneggiato.

Pippo Civati, candidandosi alla guida del PD, dichiara di volere interrompere la colata di cemento sul nostro paese, e dunque mi domando se questo punto di vista sia socialista o conservatore: e siccome ricordo che il programma del partito socialista nel 1892 è stato interamente realizzato – anche, non mettetevi a ridere, una decorosa indennità agli eletti dal popolo – salvo in un punto, di facilitare l’accesso alla casa di tutti i cittadini, che resta ancora in sospeso.

La colata di cemento messa sotto accusa da Civati sono le case che i cittadini non hanno ancora, la casa il cui possesso è da mille anni in Europa la condizione della stessa cittadinanza – se vi iscrivete all’anagrafe di un comune vi verrà chiesto l’indirizzo che un vigile urbano verrà a verificare, e lì vi manderanno il certificato elettorale – e rappresenta materialmente lo status di ciascuno, a Milano l’establishment affollato nella cerchia dei bastioni mentre il 40% delle case europee sono ville unifamiliari circondate da un piccolo giardino, che non vedremmo a che titolo negare ai nuovi arrivati sanzionando il privilegio di chi questa villa la possiede già.

E poi le seconde case, che il 50% degli italiani possiede, al mare o in montagna, e che non vedo come potremmo negare a quell’altro 50% che ancora non l’ha: è una consuetudine antica in Europa da secoli connaturata alla nostra civitas. Lo testimonia Giovanni Villani nei primi decenni del Trecento “non era cittadino, popolano o grande, che non avesse possessione in contado e che non avesse edificato o edificasse riccamente molto maggiori edifici che in città, e si stimava che per VI miglia intorno alla città avea abituri più ricchi e nobili che recandoli insieme due Firenze avrebbono fatte“, e se Petrarca, negli anni del suo soggiorno milanese, la sua seconda casa l’aveva alla Certosa di Garegnano, oggi saranno le case dell’Oltrepò o quelle in Sardegna o a Cortina o i poderi in Toscana, e molti ne possiedono più di una ma non mi risulta siano disposti a cederne qualcuna a chi non ne ha nessuna.

Questo cemento sono anche gli stabilimenti dei nostri orgogliosi imprenditori cui affidiamo le speranze del nostro sviluppo e di quel lavoro sottolineato nel primo articolo della nostra Costituzione, che per fare le scarpe o le automobili, per allevare i maiali e per farli stagionare a Langhirano, sempre occorrono capannoni.

Quanto alla proposta che chi desidera una nuova casa o vuole avviare una nuova azienda dovrebbe comperare un appartamento al momento vuoto o un capannone in disuso, non è chiaro con quali strumenti Civati propone che i loro proprietari siano costretti a vendere a prezzi calmierati, l’incontro della domanda e dell’offerta allo stato della cose non lo decide nessun governo.

A questa crociata contro la colata del cemento vengono addotti nella tradizione dei conservatori e di ogni pianificazione totalitaria, motivi di principio, ma il punto di vista dei socialisti e di chi crede nella libertà di cittadini che non ritengono soltanto sudditi resta da sempre quello di quanti una casa all’altezza dei loro desideri non l’hanno ancora – come integreremo gli studenti e gli immigrati e persino i nostri figli, visto che per via della nostra nuova longevità non lasceremo loro la nostra casa se non quando saranno ormai grandi anche i nostri nipoti? – cui non sarebbe sempre indispensabile ricorrere alla sovvenzione del social housing ma cui basterebbe spesso quel lotto di terreno fabbricabile dove costruirsela, quel lotto che chi una casa la possiede già gli vorrebbe negare.

 

Marco Romano

 



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