3 ottobre 2012

LA RETE OSPEDALIERA NON SI TAGLIA, SI RIDISEGNA


La riorganizzazione del sistema sanitario lombardo non può attendere. Il Partito Democratico lo sostiene da anni ma la Regione Lombardia si ostina a fingere di non saperlo. La crisi economica e i tragici scandali di San Raffaele e Maugeri hanno portato alla luce criticità tanto note quanto ignorate. Quello che stiamo pagando è la mancata programmazione degli ultimi quindici anni, che ha portato a distorsioni del sistema, dovute a convenienze economiche e non ai bisogni dei pazienti. L’errore, ormai a tutti evidente, è stato quello di aver lasciato eccessivo campo libero alle strutture private.

E i numeri lo dimostrano. Tra il 2000 e il 2010 nei presidi ospedalieri pubblici i posti letti si sono ridotti del 16 per cento, (sono sette mila in meno) e questo a fronte di una crescita del 66 per cento negli IRCCS privati. Lo stesso vale per i ricoveri che sono diminuiti del 15 per cento nelle aziende ospedaliere pubbliche e aumentati dell’86 per cento in quelle private.

È chiaro che Il sistema va rivisto nel suo complesso, ragionando su scala regionale e non solo guardando al capoluogo. A ispirare la revisione non può essere solo il risparmio economico; non si può ridurre tutto alla semplice soppressione di qualche primariato. Da una parte va intensificato il sistema dei controlli sui finanziamenti, che non possono continuare a essere erogati con la discrezionalità usata finora, dall’altra vanno aumentati quelli sulle strutture, che non possono essere solo quantitativi ma devono divenire qualitativi.

Ma Regione Lombardia non pare intenzionata ad andare in questa direzione. Gli annunci di una riorganizzazione lanciati dai rappresentanti politici e dai vertici di alcune aziende ospedaliere si sono nella realtà per ora tradotti in una delibera di giunta dell’agosto scorso fondata su criteri puramente quantitativi. La riorganizzazione prevede, tra l’altro, di ridurre i punti nascita, ridimensionare le reti di emergenza cardiovascolare ed emodinamiche sulla base del numero di interventi e ridurre gli accreditamenti per la neurochirurgia, la chirurgia toracica, vascolare e la cardiochirurgia. Prevede, inoltre, la riorganizzazione dei punti di radioterapia oncologica e il contingentamento della spesa per i progetti di collaborazione tra medici di base e specialisti oltre alla probabile introduzione dei ticket sulle nuove prestazioni ambulatoriali.

Un ridisegno della rete insomma, che si riduce alla cancellazione dei servizi e non a una distribuzione più efficiente. Quello che serve è ben altro. La necessità è quella di una razionalizzazione basata su criteri di qualità, efficacia degli interventi e sicurezza dei pazienti. La revisione deve prevedere non solo una più efficiente e meno dispendiosa concentrazione delle aree specialistiche ma deve ispirarsi a un nuovo modello di rete ospedaliera definito “hub and spoke“.

Si tratta di un sistema basato sulla suddivisione degli ospedali in base alla complessità delle patologie: l’hub è il perno del sistema dove sono concentrate le equipe specializzate per le cure ad alta intensità di tutte le patologie, ossia per gli interventi più complessi quali la cardiochirurgia, la neurochirurgia, i trapianti. Negli spoke si riuniscono invece le strutture che si occupano della media e bassa intensità di cura, degli interventi più semplici e della cura dei pazienti dimessi dall’hub, terminata la fase acuta. In questo modo sarebbe garantita, come ora non accade, la continuità di cura: i pazienti sarebbero seguiti in ospedale dalla fase acuta della malattia fino a quella meno grave.

Tutto questo comporta anche una revisione della governance. L’idea è quella di un sistema ad alta integrazione tra sanità e sociale che porti al superamento dell’attuale dualismo, che genera una duplicazione degli interlocutori per i cittadini e non garantisce la continuità assistenziale. La ricomposizione del sistema socio sanitario porterebbe ad avere un’unica programmazione e valutazione del sistema, un’unica voce di bilancio ragionale, una gestione della cronicità più completa ed efficace e, fatto non certo secondario, un maggior protagonismo degli enti locali. In questo quadro le Asl devono tornare a produrre servizi sul territorio.

Una tale riorganizzazione implica una revisione dei confini delle Asl e di conseguenza un riassetto territoriale e funzionale dei presidi ospedalieri e dei distretti. Riorganizzazione che potrebbero essere realizzata a breve, per esempio in occasione della ridefinizione dei confini delle Province e della costituzione della Città metropolitana milanese. Il Partito democratico chiede la riforma radicale di un sistema che non è più sostenibile. Dovere della Regione è dare a breve risposte chiare. Il tempo dei rinvii è finito

 

Sara Valmaggi*

 

*vicepresidente del Consiglio regionale della Lombardia



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