3 ottobre 2012

IL REGISTRO DELLE CONVIVENZE: FINALMENTE, MA NON ABBASSIAMO LA GUARDIA…


Il 18 settembre 2012 è stato il giorno del debutto per il registro delle unioni civili a Milano: diciotto le coppie che hanno apposto le loro firme, eterosessuali e omosessuali, persone note e gente comune. Le coppie dello stesso sesso sono state messe in condizione, per la prima volta a Milano, di regolarizzare in un qualche modo la loro unione; mentre le coppie eterosessuali hanno avuto modo, ad esempio in pendenza di una decisione di divorzio precedente per uno o entrambi i coniugi, di concretizzare formalmente un’unione che la legge non riconosce ancora come tale.

Lo sportello operativo del Comune, dedicato alle coppie di fatto, nel primo giorno utile ha ricevuto 150 telefonate e 60 e-mail, in gran parte per richieste di informazioni in merito all’iscrizione nel registro. Evidentemente il provvedimento ha toccato da vicino la cittadinanza, dando voce e spazio a un problema molto sentito. Si è trattato certamente di un grande passo avanti in tema di rispetto dei diritti umani, fortemente voluto dalla Giunta Pisapia e da buona parte del Consiglio Comunale, cui va dato il pregio – molto raro in politica, in particolare in ambiti di tale delicatezza – di non aver perso tempo e di aver approvato l’iniziativa in tempi davvero rapidi.

Non nascondiamoci, però, dietro questo provvedimento pionieristico: la strada da fare è ancora molta, soprattutto in punto di “concretezza” e “operatività” del sistema. In Italia, allo stato attuale, nonostante molte proposte di legge, non vi è una normativa regolatrice delle unioni “di fatto”, con particolare riferimento alle persone dello stesso sesso che, per la vigente legge nazionale, non possono intraprendere alcuna forma istituzionalizzata di vita comune.

Le contrapposizioni politiche e ideologiche sono ben note e non si riesce ad uscire da questo bozzolo di pregiudizi e approvare una normativa completa. I partiti ed i gruppi politici si scontrano anche al loro interno tra fazioni e la tematica viene affrontata sempre con un quid di ideologico e di formale, senza toccare il nocciolo delle problematiche, quelle più sentite dalla gente comune. Cosa occorre fare? Come si esce da questo stato di impasse che va avanti ormai da molti anni?

Ad avviso di chi scrive, proprio nella consapevolezza della complessità dell’argomento, occorre procedere con la politica dei “piccoli passi”, introducendo, con legge nazionale, una formale registrazione delle coppie conviventi e alcuni diritti di mera natura amministrativa, si pensi all’accesso agli alloggi di edilizia popolare e alle possibilità di visita come “convivente” in istituzioni quali gli ospedali e gli istituti di pena.

Così facendo, si lascia da parte quell’equiparazione, formale e sostanziale, tra “convivenza” e “matrimonio” che tanto spaventa alcune forze politiche e soprattutto la Chiesa, nella convinzione che il diritto umano si sovrapponga e contraddica il diritto naturale. Occorre, insomma, fare in modo che il tema sia depurato da ogni pregiudizio religioso e giuridico. Proprio per questa ragione l’istituzione del registro a Milano, pur con valore simbolico, rappresenta un passo molto importante per affrontare questa tematica al di là dei dibattiti ideologici.

È, tuttavia, altrettanto vero che il registro è un documento programmatico senza particolare valore concreto e quindi ha e deve avere la precipua funzione di spronare le forze politiche a prendere posizione sull’argomento. Auguriamoci che da Milano, che, fino a qualche anno fa, rappresentava il motore produttivo, ma anche civile del nostro paese, arrivi anche in questo senso un impulso di civiltà.

 

Ilaria Li Vigni

 

 

 

 

 



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