3 ottobre 2012

PROLEGOMENI A OGNI FUTURA DEFINIZIONE DI AREA METROPOLITANA/2


Da tempo mi occupo del fenomeno metropolitano partendo dallo studio del nuovo fenomeno insediativo, della comprensione delle dinamiche sociali (lato sensu) che lo caratterizzano e delle sue tendenze evolutive (la prima parte delle mie riflessioni nel numero scorso di ArcipelagoMilano). Avendo decisamente affermato ormai più di un quarto di secolo addietro che l’identificazione di una “area naturale” (spiegherò più sotto come si debba intendersi questo antico termine) come il nuovo insediamento con un bacino elettorale non avrebbe portato a nulla, penso oggi che le ragioni teoriche su cui si basava questa esatta previsione ne escono rafforzate e possono aver la pretesa di suggerire qualche riflessione a chi invece il compito di disegnare un modello di governo per le nuove forme insediative ce l’ha.

a) La non coincidenza tra definizione di area e la identificazione di un bacino elettorale.

Fin dalle prime vicende PIM (Piano Intercomunale Milanese) questo è stato l’ostacolo insuperabile, e comunque insuperato, per la identificazione di un’area metropolitana. E non deve sorprendere, ogni definizione di un confine, un limite, è al tempo stesso inclusiva ed esclusiva: (Giano) il dio bifronte dei confini è probabilmente la più antica divinità romana, laziale e italica ed è per questo che Ianuarius, Gennaio, è il primo mese dopo il solstizio invernale in un numero elevatissimo di lingue. Si può fare diversamente? Cioè si può scegliere di scindere la definizione di una area di governo (diciamo di competenza amministrativa e istituzionale) dalla individuazione fisica della nuova forma insediativa? Naturalmente sì, è stata la scelta americana, ha funzionato passabilmente bene per più di mezzo secolo e non si vede perché non si debba fare altrettanto.

L’area metropolitana è un’area funzionale, cioè riflette una realtà dinamica, con conseguenze reali, soprattutto in campo ambientale in senso lato, ma ovviamente con tutti i risvolti di finanza pubblica che vi sono connessi. Ma soprattutto un'”area naturale”, non nel senso che può esser definita in base a tratti fisici (mari, laghi, fiumi, rilievi, che pure hanno il loro peso), ma nel senso che si tratta di aree che non necessariamente coincidono con definizioni amministrative, rispetto alle quali hanno minore fissità, anche se tra area amministrativa e area naturale non esiste una contrapposizione assoluta, perché i confini amministrativi producono essi stessi effetti “naturali” ovvero economici, insediativi e sociali di tipo spontaneo.

La dominanza metropolitana, come molti ali fenomeni insediativi è relativamente indipendente dalle gabbie amministrative che disegnano il territorio istituzionale. Il fine da raggiungere non è un più rigido ingabbiamento, ma la possibilità di determinare aree di governo, a ragion veduta delle caratteristiche economiche, funzionali e sociologiche, e delle dinamiche relative. Ciò non è possibile se l’area metropolitana coincide con un bacino elettorale reale o presunto, come il PIM che il Ministro Togni non volle perché avrebbe chiaramente incluso un elettorato a maggioranza di sinistra. Se invece noi avessimo a disposizione uno strumento conoscitivo puntuale, aggiornabile via via senza interferire sui bacini elettorali, poi potremmo molto più liberamente e puntualmente definire delle aree elettorali e di governo con le appropriate (o anche no) negoziazioni ma senza che ci siano ragioni di distorsione delle aree funzionali.

b)
La non identificazione della nuova forma con un modello “central place

Questo aspetto è molto più complesso da risolvere e per questo merita che ci si lavori sopra sia intellettualmente che operativamente: si tratta infatti di una operazione strategica e cruciale, si sbaglia se si continua a ragionare su modelli obsoleti di aggregazione a partire dal comune centrale, anche se il nuovo modello presenta ovvie difficoltà di operazionalizzazione. Detto brutalmente chi governa l’area metropolitana non può essere il Sindaco metropolitano (così come dobbiamo smetterla di blaterare sul Sindaco d’Italia. Il sindaco è un ruolo tipicamente municipale, non regge una scala diversa, come dimostra con assoluta evidenza la lunga storia di sindaci eccellenti falliti alla loro prova in ruoli nazionali): l’autorità metropolitana (i) non può sostituire i sindaci ma deve affiancarsi a essi, per questo l’area metropolitana non può essere una “città più grande” non lo è e non può diventarlo, ma deve avere un ruolo complementare e non aggiuntivo o sostitutivo.

Per dare un esempio concreto, se invece di giocare con il Lego dei comuni, delle provincie ed eventualmente delle regioni, destinato a produrre conflitti veti, che finora sono stati paralizzanti, si puntasse a individuare per ogni area metropolitana un’area di governo delle accessibilità, e quindi non solo trasporti e flussi fisici nello spazio, ma anche funzioni coordinate nel tempo (e nei tempi) si sarebbero risolti i due terzi o i quattro quinti del problema della definizione dell’area, senza toccare ambiti elettorali che possono essere collocati dentro il quadro delle accessibilità. Non è facile, ma anche il modello tradizionale di area metropolitana ha richiesto una lunga gestazione teorica prima da dare i suoi frutti, non possiamo pensare di arrivare a una identificazione della nuova forma insediativa al di là della metropoli con strumenti approssimativi, ma neppure possiamo illuderci di risolvere i problemi dell’oggi con le strutture concettuali dell’ieri. In cui, perdipiù, non hanno funzionato.

 

Guido Martinotti

 

(i) Sulla continuità urbana e la discontinuità metropolitana vedi il mio recente “Città. La vendetta del territorio e la modernità sottratta. L’urbanizzazione e l’unità d’Italia” in Il Politico, Numero speciale su “L’Italia che cambia, 1861-2011“, curato da Silvio Beretta e Carla Ge Rondi, 2011, a. LXXXVI, n.3 pp.129-164.



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