3 ottobre 2012

libri – LIBERI TUTTI


 

LIBERA TUTTI

Lettera a un ragazzo che non vuole morire di mafia

Pietro Grasso

Sperling & Kupfer, 2012

pp.225, Euro 15

 

Mai come in questo momento storico di sfiducia collettiva e di contrasto tra le istituzioni è utile potere leggere un libro pacato e pieno di speranza nel futuro, dedicato ai giovani, come quello di Pietro Grasso procuratore nazionale antimafia, che ci propone uno spaccato personale della storia della lotta alla mafia dagli anni ’60 a oggi. Una testimonianza sincera di un magistrato in prima linea, che è anche un manifesto-ribellione contro l’illegalità diffusa.

Il titolo “Liberi tutti” da un noto gioco a nascondino, dove l’ultimo a uscire allo scoperto può salvare tutti, spiega subito i suoi intenti futuri. Già, salvare, è questo che sin da piccolo Grasso aveva in animo di fare da grande, aiutare i più deboli contro i soprusi. In questa precisa ottica volle”fare il magistrato”. Dalle sue pagine emerge la figura di un uomo dalle grandi responsabilità, affrontate con enormi sacrifici (ventisette anni vissuti sotto scorta) supportato solo dalla coscienza, nonostante le delusioni per i risultati a volte vanificati, superando la paura, non per arroganza, ma per senso del dovere come valore in sé.

Palermo, la sua città, non poteva non pesare sulle sue scelte di vita. Sin dai tempi della scuola, il pianto delle donne di fronte ai cadaveri dei loro cari assassinati anima il suo immaginario, come l’eliminazione in ospedale di un pastorello di 13 anni, colpevole di avere assistito involontariamente al sequestro del sindacalista Placido Rizzotto. Grasso ha 15 anni, quando si scatena la prima guerra di mafia negli anni ’60, con la strage di Ciaculli, ove persero la vita sette agenti di polizia.

Il paradosso del tempo era che tutte le istituzioni di allora, compresa la stampa, minimizzavano o escludevano del tutto l’esistenza del fenomeno mafioso, facendo da sfondo agli insuccessi della magistratura. In questo clima opaco ci furono arresti e processi, ma le indagini condotte dal giudice Terranova (che poi verrà ucciso per vendetta) non si basavano su prove concrete ma su confidenze anonime, e in appello infatti tutti, compresi Badalamenti e Greco, furono assolti per insufficienza di prove. E ci fu poi la resa dei conti, con una guerra intestina a Cosa nostra. Fu allora che comparve sulla scena quel Bernardo Provenzano, futuro capo assoluto di Cosa Nostra.

Grasso nel frattempo consegue la laurea in giurisprudenza ed entra in magistratura a 24 anni. Nel ’71, quando il procuratore della Repubblica Pietro Scaglione venne ucciso, chiese, incurante del pericolo, di essere trasferito a Palermo dalla sua prima sede a Barrafranca. Egli sa bene che la mafia vive di consenso e si sostituisce là ove lo Stato è più assente, fornendo servizi alle comunità più disagiate e lavoro ai giovani. Ma sa anche che quel falso senso di appartenenza che ne deriva, basato sul ricatto e l’intimidazione è un rapporto iniquo, perchè rende schiavi. Di certo nei territori occupati dalle mafie nessuno vuole investire, alimentando così il sottosviluppo, che la mafia ha interesse a mantenere. Tant’è che il 70% dei diplomati del sud emigra altrove. Oggi peraltro la mafia si è evoluta e si annida, oltre che nella politica, là dove c’è il capitale, nella finanza e nell’imprenditoria, nel commercio.

Vero è che la mafia ha origini oscure e antiche e perciò affonda le sue radici nella cultura e nella società. Si parla di una discendenza dai Templari del 1300, da cui il preteso codice cavalleresco, o dai Beati Paoli nel 1600, da cui il rituale di iniziazione. Parole come rispetto, onore, famiglia, vengono distorte a bassi fini di sopraffazione e di potere. Leggende che vedono comunque nel potere statuale un nemico.

Nel 1984 la svolta. La granitica organizzazione mafiosa si sgretola, grazie al lavoro straordinario del giudice Falcone che indusse il mafioso Tommaso Buscetta a una presa di coscienza e a pentirsi, dopo che la mafia gli aveva ucciso tutti i suoi famigliari. Questo evento storico permetterà di scoprire i segreti della mafia, la struttura verticistica dell’organizzazione, il radicamento, lo sfruttamento, le risorse, le sanzioni.

Seguendo un preciso percorso di indagini, a tutto campo, denominato il Teorema Falcone, si arriva nel 1986 al famoso maxiprocesso con 800 indagati e 457 imputati, tra i quali Totò Riina, nell’aula bunker di Palermo. Dopo 35 giorni in camera di consiglio il processo si concluse con 19 ergastoli, 100 assoluzioni, 1000 anni di carcere. Toccò proprio a Grasso, come giudice a latere, stendere la motivazione della sentenza, in 7000 pagine e in 8 mesi di duro lavoro. La Cassazione confermò, con la storica sentenza del 30-1-92 l’impianto accusatorio non senza mille pressioni e intimidazioni, che costarono la vita al giudice di Cassazione Scopelliti.

La mafia non poteva accettare la violazione della sua autorità, e così la vendetta si estese anche ai politici con l’uccisione del democristiano Salvo Lima, reo di non avere saputo addomesticare il maxi processo, e infine colpì i due principali artefici della sua sconfitta, Falcone assassinato il 23 maggio 1992 (Grasso avrebbe dovuto essere in aereo con lui) e Borsellino nel luglio successivo. Nello stesso ’92 era stato programmato l’assassinio di Grasso, come egli venne direttamente a sapere. Ciò non evitò che nel ’93 fosse finalmente catturato Provenzano.

Ma già nel 1988 era iniziato l’esautoramento del pool antimafia e Falcone era stato trasferito a Roma come Direttore generale affari penali, nel più totale isolamento, mentre il giudice Meli occupava l’Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo, al posto suo. Lo stesso Grasso lasciava la Procura di Palermo ed entrava nello staff di Falcone a Roma. Fu in questi anni che venne creata da Falcone tutta la legislazione antimafia futura, che ebbe il suo antefatto nel 1982 in quella legge costitutiva del reato di associazione mafiosa voluta da Pio La Torre, ucciso per questo.

La felice, fondamentale intuizione di Falcone fu quella di approntare una strategia globale antimafia, contro una politica dell’emergenza, come ricorda Grasso. Il successo del metodo del pool antimafia, tutt’oggi seguito, è dovuto al fatto che si ritenne proficuo seguire lo stesso schema delle indagini contro il terrorismo, non più frammentate, ma basate sulla cooperazione internazionale

Falcone diede l’avvio a strutture nuove come la Procura nazionale antimafia, con il compito di coordinamento nazionale delle attività giudiziarie, e come la Direzione distrettuale che coordina le Sezioni specializzate presso i 26 distretti giudiziari. Dettò nuove norme sui collaboratori di giustizia, che come il bisturi vanno maneggiati con cura. Per loro non è ammessa la dissociazione, come per i terroristi, perchè lo Stato non viene a patti con la mafia, afferma con vigore Grasso.

Anche l’uso delle intercettazioni si rivelò, allora come oggi, arma fondamentale delle indagini. Falcone inoltre individuò nel sequestro e la confisca dei beni dei mafiosi, un’arma potente per rallentare i loro profitti, loro unico obiettivo. Il difficile è scovarli, i loro beni! Oggi l’ammontare dei beni sequestrati è di 6 miliardi di euro. A seguito della strage di Capaci, l’introduzione del secondo comma dell’art. 41 bis, che prevede l’isolamento in carcere per i mafiosi più pericolosi, fu un altro duro colpo alla mafia. Per eliminare quell’articolo la mafia cercherà di venire a patti con lo Stato, avviando la presunta, odiosa trattativa Stato mafia.

Molti gli accadimenti successivi, che lasciamo al lettore. L’importante è evidenziare che oggi, nel terzo millennio, viviamo un’altra tipologia di mafia, la mafia transnazionale, che preferisce vivere in immersione, forte comunque del suo ordinamento giuridico parallelo. Perciò tecnologie avanzate sono ancora più indispensabili, anche se la nostra legislazione è tra le più efficaci al mondo, afferma con orgoglio Grasso.

Certo le mafie sono molteplici, c’è quella russa, nigeriana, albanese, colombiana, messicana, che contano su reti criminali internazionali, con connessioni a volte con i terroristi. E spaziano dalla cocaina, al traffico degli immigrati, alle contraffazioni, ai rifiuti, alle armi, alla pirateria informatica, al riciclaggio, alla prostituzione. Per questi motivi Grasso, nella sua alta funzione, ha messo in atto un Protocollo di intesa con alcuni Stati stranieri, per sviluppare il coordinamento delle indagini, ma non sempre con profitto, a causa della legalità variabile di alcuni di essi.

La cultura della legalità è ciò che egli sogna, quella che parte dalle scuole e si alimenta piano piano, con grande pazienza. Riconosce perciò il Procuratore nazionale antimafia che la mafia non è una solo una questione di ordine pubblico, essendo essa radicata nella vita quotidiana, in quella che chiama la borghesia mafiosa, fatta di legami tra imprenditori, finanza, politica. Ma è necessaria una riforma generale che riguarda tutta la nostra società … .

E termina con un appello Grasso, un appello rivolto a tutti noi semplici cittadini, perchè lo aiutiamo a fare luce su quella che lui chiama “zona grigia”, fatta di piccole-grandi connivenze, che minano il tessuto sociale. Don Puglisi l’aveva già capito. Insomma, siamo chiamati a una vera crociata.

 

 

questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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