26 settembre 2012

MILANO SMART CITY, TUTTO DA DIMOSTRARE


L’interesse intorno al tema delle smart cities è in continua crescita, molti, in giro per il mondo, se stanno occupando. Tante le iniziative che fioriscono sia in sede comunitaria europea sia in singole amministrazioni locali. A breve verranno erogati anche i primi fondi governativi italiani: tra pochi giorni il MIUR, il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, renderà noti i risultati di ammissione, per i primi diciassette progetti esecutivi delle regioni con obiettivo convergenza (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia), al finanziamento della linea Smart Cities & Communities (200,7 milioni di euro). Ma sulle smart cities si continua a fare ricerca. Ultima in ordine di tempo “Smart Cities in Italia: un’opportunità nello spirito del Rinascimento per una nuova qualità della vita” presentata qualche giorno fa nella prestigiosa cornice di Villa d’Este a Cernobbio nell’ambito della 38° edizione del Forum Ambrosetti svolta per conto di ABB da Ambrosetti – The European House.

Il lavoro è ampio e imperniato su due argomentazioni cardinali. La prima sul concetto di smart city che non sarebbe ancora univoco, tanta da lasciare ampi margini per interpretazioni e significati diversi da quelli già codificati finora. La seconda – dichiarata anche nell’introduzione dall’amministratore delegato di ABB Italia, Barbara Frei – è che appare necessario dare «un’impronta tutta Italiana a questo cammino che tenga conto delle identità culturali, delle dimensioni, delle vocazioni e delle caratteristiche peculiari delle nostre città». Il modello predominante che viene prospettato – anche secondo gli orientamenti più recenti – in letteratura e nelle istituzioni per arrivare alla Smart City vede la tecnologia e l’innovazione come fattori abilitanti e necessari per costruire l’infrastruttura, ma punta l’attenzione sui servizi che poggiano su questa articolata rete infrastrutturale materiale.

Nella ricerca tuttavia ci si spinge parecchio oltre: Smart City diventa «un modello urbano che minimizza lo sforzo per i bisogni “bassi” e soddisfa efficacemente i bisogni più “alti”» e, ancora, una «occasione per “reinventare” il territorio italiano recuperando un’idea forte di futuro, pur senza dimenticare il passato». In sostanza, nel report si allarga oltremodo il campo di azione del contenitore “Smart City”, caricandolo di significati più filosofici – magari anche condivisibili – che operativi. Il dibattito sulla impostazione filosofica delle Smart City non è di per se sbagliato, ma lo schema, nel nostro Paese, ha in modo più o meno cosciente, compromesso più di un’iniziativa; è questa una impostazione culturale che spinge a ragionare di massimi sistemi, passando in secondo piano o dimenticando gli aspetti concreti e tecnici delle questioni, che vengono così rimossi dagli obiettivi finali: va in questa direzione già il titolo della ricerca, con un riferimento al Rinascimento che rimanda a suggestioni e “connubio di bellezza, organizzazione sociale, governo illuminato”.

Gli aspetti pratici e tecnici vengono quasi relegati a un punto delle sette proposte utili a impostare un piano di sviluppo delle smart cities, che pure vengono presentate nella ricerca. Alcune di queste però sono ben lungi dall’essere concrete e tendono comunque a un’astrazione e generalizzazione dei temi trattati. Ad esempio si fatica a inquadrare correttamente la necessità di «definire una visione del Paese e una strategia per realizzarla, riaffermando il ruolo di indirizzo del Governo»: anche limitandone il significato al tema in oggetto – ma non si capisce allora il riferimento alla visione di altri paesi, come per esempio la Cina (“Diventare la prima economia mondiale entro il 2030 costruendo una società moderna, armoniosa, creativa e ad alto reddito”) o gli Stati Uniti (“Sogno americano: per chiunque, attraverso il duro lavoro, il coraggio, la determinazione è possibile”) o la Gran Bretagna (“Essere un Paese imprenditoriale, ambizioso, aperto e tollerante, leader mondiale per innovazione, istruzione e creatività entro il 2020”) – è ampio e profondo il collegamento con la Cabina di Regia per l’Agenda Digitale Italiana, che del tema si sta occupando attivamente e che andrebbe quindi reso più chiaro ed evidente. Oppure, ancora, non si capisce il perché della proposta di una versione italiana del modello europeo di partenariato per l’innovazione – già codificato – quando il contesto internazionale spinge sempre più verso una stretta integrazione europea, politica, economica e fiscale.

Alcuni spunti interessanti sono però presenti, in modo particolare dove si spinge alla promozione di soluzioni smart già esistenti e a basso costo. Va detto però che queste soluzioni non si discostano dalla roadmap del SET Plan e dall’iniziativa “Smart Cities and Communities” già definite dalla Commissione Europea – i cui cardini sono mobilità sostenibile, efficienza energetica e ICT e l’interazione delle tecnologie collegate per indirizzare le necessità delle città – e per la quale l’Europa ha stanziato cospicui fondi, attivando iniziative nazionali già ben avviate, come testimoniano proprio i bandi del MIUR.

Più in generale, viene da pensare che per la crescita delle Smart Cities sia molto più utile puntare su iniziative “collaudate” o ben definite e impostate, seguendo per esempio le indicazioni della Commissione Europea, con il SET Plan e le Smart Cities & Communities Initiatives, e, ancora, del MIUR, piuttosto che continuare a ragionare su nuovi contorni definitori definendo come incomplete alcune esperienze europee di chiaro successo (vedi Amsterdam).

All’interno della ricerca viene poi presentata una classifica delle città più smart d’Italia, che utilizza alcuni indicatori di performance, anzi di smartness, che vengono raggruppati in tre temi principali: gestione della mobilità, gestione delle risorse e qualità della vita cittadina.

Sorprende un po’, francamente, vedere al primo posto la città di Milano, che molto sta facendo in questa direzione ma che è, oggettivamente, agli inizi del percorso e sconta ancora molti dei problemi lasciati dalle precedenti amministrazioni, che troppo smart non erano; e ancor di più sorprende vedere Roma al secondo posto. Forse questo si spiega perché tra gli indicatori di cui sopra si trova il «tempo minimo per raggiungere un hub intercontinentale» o il «numero di destinazioni da aeroporto», che forse hanno contribuito in modo più significativo al punteggio; ma vero è che sono indicate anche di piste ciclabili, politiche energetiche, raccolta differenziata dei rifiuti o indice di velocità negli uffici pubblici, tutti temi dei quali molto si parla ma raramente come casi di successo.

Se poi pensiamo all’esondazione del Seveso (ma la responsabilità qui pare essere della Provincia) o al disastro romano legato alla neve del passato inverno, si fatica a trovare un collegamento con una realtà davvero smart.

 

Giacomo Selmi e Antonio Sileo

 



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