26 settembre 2012

SELEZIONE, COOPTAZIONE, ROTTAMAZIONE


Il meccanismo della promozione per cooptazione è noto. Il Titolare della Carica (politica, professionale, accademica) sceglie come principale collaboratore e potenziale successore una figura di statura inferiore nella convinzione che questi non possa fargli ombra vita natural durante. Così di seguito finché il livello scende al punto tale che il Titolare pro-tempore risulti talmente incapace da cooptare per sbaglio il Genio. Dopodiché la sequenza ricomincia da capo.

Qualcosa di simile è purtroppo avvenuto anche nel PD lombardo (*) il cui gruppo dirigente regionale, nonché gruppo consiliare, è stato cooptato per la quasi sua interezza da Filippo Penati, a sua volta designato dal Pierluigi Bersani quale “emissario nel Nord Italia prima di sceglierlo come braccio destro a Roma” (Gad Lerner, La Repubblica, 13/6/12). Infatti questi, appena persa la impari battagli col Celeste in carica, opta per la vice presidenza del consiglio (auto blu, segreteria particolare, benefit, ecc.) e designa a sua volta un oscuro capo-gruppo che presenta la mozione di sfiducia senza però riuscire a perorarla in aula perché “chiuso per ferie”. Dunque per un nuovo genio, tipo il Massimo dell’intelligenza, si deve ancora aspettare.

Tuttavia nel tragitto del dominus del PD lombardo e settentrionale è inopinatamente intervenuto l’incidente giudiziario, frutto velenoso di vendicativi “pentiti”, laddove ancora una volta la procedura penale ha precorso la responsabilità politica. (In proposito e per inciso mi permetto un’annotazione personale: allo stesso sostituto procuratore di Monza dottor Mapelli rivolsi nel 1990, ante “mani pulite”, la denuncia verso un funzionario-capo infedele che si concluse con una pesante condanna per concussione passata in giudicato. Fui allora l’unico Sindaco della provincia, in una città attigua a Sesto S. Giovanni, che concluse intera la legislatura ’90-’95 ma la mia carriera politica finì lì: il Partito decise di mandare avanti il collega e compagno confinante).

Pertanto rispetto al declino del “partito azienda” di Berlusconi il “partito ditta” di Bersani stenta a fare una sana concorrenza, malgrado il “partito bottega” di Bossi sia nel frattempo fallito seguendo un modulo brianzolo consolidato: il padre ha “messo su” con sacrifici l’industria ma poi il figlio degenere l’ha “mangiata fuori”. Allorché ogni responsabile del personale di qualsiasi aziendina sa bene che selezione e formazione sono processi interconnessi, dal cui intreccio virtuoso dipende il successo dell’impresa. Quanto gli attuali partiti hanno invece disimparato, rendendo per altro pressoché impraticabile la comunicazione con capacità e competenze esterne, presenti nella società in misura ben superiore alle “risorse” interne, riluttanti e inadeguate al confronto.

Ma come cambiare, nella sostanza, e non tanto nei simboli e nelle sigle, una stagione politica stagnante se non addirittura degenerata e perduta? Forse il modello storico da recuperare è quello della Resistenza, nella quale furono principali protagonisti i nipoti e i nonni. I primi, tanti, furono i giovanissimi renitenti alla leva di Salò, colpiti e disgustati dalla guerra. I secondi, pochi, erano i vecchi antifascisti, già esuli e confinati nel ventennio ma educati nella “università del carcere” e provati da intense esperienze politiche e culturali spesso internazionali. Dal connubio tra queste due generazioni, senza escludere le significative eccezioni di quella di mezzo, allevata e custodita dal regime fino al tragico epilogo, trovò seguito la Liberazione, la Repubblica e la Costituzione.

Simile tragitto deve forse trovare sbocco nella fase finale della cosiddetta “seconda repubblica” (la storia quando si ripete la prima volta è tragedia, la seconda è farsa). Un’intera generazione politica ha irrimediabilmente fallito. Non tanto una generazione anagrafica quanto politica, comprendendosi in essa i numerosi riciclati della prima. Tocca a quella successiva, possibilmente utilizzando la guida e l’esperienza dei pochi – ma forse in Italia sono almeno diecimila – emarginati o auto-esclusi da quest’altro non invidiabile ventennio, provare a rifondare una “terza” repubblica che possibilmente recuperi il buono della prima ed espella il pessimo della seconda. La crisi come la guerra – fortunatamente in forma assai meno violenta ma non di meno energica – è ancora una volta “levatrice della storia”.

 

Valentino Ballabio

 

(*) In questa sede possiamo permetterci di ritenere prevedibili e scontate le malefatte del PdL laziale, lombardo, molisano, ecc. per concentrarci un po’ di più sulle esperienze e prospettive di casa nostra.

 



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