26 settembre 2012

CALCHI TAEGGI: COSTRUIRE SUI RIFIUTI


È quasi automatico nei terreni di Milano e dintorni trovarsi di fronte a problemi di contaminazione dei suoli e delle acque causati da sostanze inquinanti prodotte dallo sviluppo industriale. Per quanto riguarda inquinamenti e bonifiche non è chiaro “chi fa cosa” e “chi controlla chi” tra responsabili politici delle amministrazioni locali e tra funzionari. La Procura, alla fine delle indagini sull’area Calchi Taeggi, ha notificato a diciotto indagati l’avviso con le ipotesi di reato di concorso in «avvelenamento colposo delle acque» nell’area posta sotto sequestro giudiziario dal novembre 2010, «gestione di discarica non autorizzata» e «abuso d’ufficio».

I legali della società di De Albertis, sostengono che «ha operato correttamente». Nel 2005 acquistò l’area per la quale era già stata eseguita la “caratterizzazione”, ed erano stati emessi pareri dei competenti organi amministrativi sulla modalità di bonifica con “messa in sicurezza permanente”», era stato avviato il progetto di bonifica approvato nel maggio 2009 da parte di tutti gli enti interessati, lavori non completati «per l’intervento dell’autorità giudiziaria», lavori che erano «quotidianamente monitorati da Arpa e Asl, con la convocazione mensile di un Osservatorio aperto a rappresentanti di zona, comitati e associazioni ambientaliste».

Spetta alla Magistratura rilevare e sanzionale eventuali violazioni delle leggi ma può essere lasciata alla sua giurisprudenza la razionalizzazione e la chiarificazione delle funzioni interne alla relazione inquinamento – controlli – bonifiche? Se si volge lo sguardo sui terreni compromessi e su chi se ne deve occupare si delinea un circuito amministrativo, economico, normativo che produce e che prospera su questi pasticci e gli attori in gioco sono vari. Prendiamo il caso Calchi Taeggi con la bonifica di una discarica incontrollata di rifiuti pericolosi e l’adiacente, autorizzato, intervento edilizio di riqualificazione.

È possibile la bonifica di un’area industriale senza portare via un chilogrammo di rifiuto e/o terreno contaminato? Sì per il D.lgs 152/06 Testo Unico ambientale Berlusconi/Matteoli e il nuovo metodo di valutazione dell’inquinamento (negli ultimi sei anni, sono state apportate oltre quaranta modifiche normative!): l’analisi di rischio – AdR – che determina le concentrazioni accettabili per l’uso previsto dell’area, Concentrazioni di Soglia di Rischio – C.S.R. (non più di 1 morto di cancro ogni 100.000 abitanti e non causare l’eritema a tutti gli altri). La “Ditta” che vuole effettuare un intervento in un’area presenta l’AdR, l’ARPA esegue campionamenti – analisi – misurazioni, le valida e le elabora con strumenti, risorse economiche e umane, non proporzionate alla rilevanza delle bonifiche da valutare.

Una virgola di una delle proprietà chimico/fisiche dei dati in ingresso cambia i risultati finali di una AdR di diversi ordini di grandezza con conseguenze per i singoli funzionari: dall’incubo di procedimenti giudiziari perché le “Ditte” potrebbero portare in tribunale i funzionari pubblici che hanno dato un diniego preventivo, con richieste milionarie di danni; alle pressioni sulle posizioni apicali direttamente di nomina della politica regionale. Pensiamo poi alla possibile corruzione e alle varie ‘ndrine che, a fronte di un rifiuto, non si fermano alle minacce di trasferimento e penalizzazioni di carriera. Le modifiche in vigore hanno eliminato ogni riferimento al pericolo d’inquinamento, che rimane estraneo alla sanzione penale e l’elemento costitutivo del fatto illecito è il fatto d’inquinamento determinato secondo l’innovativo sistema di superamento delle “concentrazioni soglia di rischio”, più elevate delle concentrazioni di soglia della vecchia disciplina.

Ora la procedura di bonifica attuata tempestivamente costituisce una clausola di esonero dalla pena, di più: se il ripristino dell’ambiente è ottenuto dal responsabile attraverso una procedura di pari efficacia di quella prescritta, non potrà essergli ascritta alcuna responsabilità penale per il mancato rispetto della procedura amministrativa. Ora la norma consente di evitare ogni implicazione penale a fronte della bonifica a prescindere dal tipo d’illecito ambientale che ha dato origine alla contaminazione. Ora in un’area contaminata da veleni i valori di concentrazione soglia di contaminazione – CSC – sono quasi sempre superiori ai valori soglia di contaminazione, ma un’analisi AdR può dare come risultato finale una contaminazione inferiore ai valori di concentrazione della soglia di rischio – CSR. Quindi, avremo ai sensi dell’Art. 240, un sito non contaminato! L’Art. 242 nel progetto operativo degli interventi di bonifica consente, in alternativa, la messa in sicurezza, operativa o permanente che prevede di non allontanare dal sito i rifiuti e/o i terreni contaminati.

Con le modifiche vigenti per condannare un inquinatore di terreni occorre avere entrambi i presupposti: un AdR che dimostri che l’inquinamento causato è maggiore delle CSR; che ci sia un progetto di bonifica approvato dall’autorità competente; che la bonifica non sia fatta. La bonifica si può, quindi, approvare senza dover allontanare i rifiuti, ma almeno sarà vietato costruirci sopra una casa? No non è espressamente vietato, la “Ditta” può chiedere di edificare in aree contaminate o nelle immediate vicinanze e chi di competenza nella Pubblica Amministrazione deve valutare la richiesta. In questo caso, non esistendo un indirizzo univoco, valido per tutta la Regione, tutto dipende da un funzionario e l’ultimo che firma appartiene ad ARPA Lombardia. Così ARPA è diventata controllato e controllore e si carica anche di buona parte dell’iter amministrativo e delle relative responsabilità. “Abbiamo autorizzato la costruzione di un quartiere sulla discarica? L’ARPA ci ha detto che era possibile …”.

Le evidenze emerse anche in altre inchieste danno l’idea di un sistema gelatinoso, borderline tra legalità, incompetenza e comportamenti dolosi. Un circuito folle nel quale le competenze tecniche vengono mortificate e intimidite, assolutamente permeabile all’azione della malavita organizzata. Ora è più chiaro il perché di una edificazione su un sito contaminato non bonificato. Mancano indirizzi chiari e univoci, innanzitutto urbanistici e di valutazione dei territori in relazione alle funzioni che devono ospitare così la questione diventa di ordine giudiziario e non di politica pubblica.

 

Fiorello Cortiana

 



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