11 settembre 2012

COM’È DIFFICILE FARE FILM A MILANO/2


A seguito di un mio articolo, comparso su ArcipelagoMilano a luglio scorso, nel quale descrivevo le difficoltà che un produttore cinematografico milanese incontra nel girare film nella nostra città, ho letto su questo stesso periodico un commento su quanto scrivevo del direttore generale della Lombardia Film Commission, Alberto Contri. Nel mio articolo me la prendevo in effetti anche con la Film Commission, che giudicavo non all’altezza dei compiti e delle funzioni che un’istituzione come questa dovrebbe giocare nella principale regione d’Italia e in una città come Milano. Contri concorda sulla valutazione generale che facevo sulla refrattarietà che sembra continuare ad avere la nostra città nei confronti del cinema ma fa una comprensibile ‘difesa d’ufficio’ dell’operato della Film Commission, almeno da quando la guida di questa istituzione è passata nelle sue mani.

Certamente la Film Commission lombarda ha cambiato decisamente passo con la nuova direzione e nel mio articolo non intendevo certo farne il bersaglio principale delle mie osservazioni critiche. Parlare però di Romanzo di una strage come di un film che Milano ‘ha strappato a Torino’ per qualche scena (e a che prezzo, ci sarebbe da chiedersi) è quasi un’ammissione di debolezza, per un film sulla strage di piazza Fontana, ambientato quindi quasi interamente a Milano ma, da quanto mi risulta, girato quasi completamente a Torino.

Resta comunque che Contri sembra concordare sul fatto che manca da noi un contesto istituzionale disposto a riconoscere l’importanza del cinema per la nostra città/metropoli. Ma se è vero, come credo, che la Film Commission dovrebbe essere un riferimento centrale per il riconoscimento e il sostegno pubblico del cinema a livello locale, allora non basta fare un elenco delle buone pratiche avviate (peraltro ancora piuttosto timide, a mio avviso) per dire che se le cose non vanno la Film Commission non c’entra, o che i problemi si riducono a una questione burocratica, pure importantissima, relativa alla concessione dei permessi per girare nelle location cittadine.

Se siamo d’accordo sul fatto che Milano fa troppo poco per il cinema ci dovremmo aspettare che la Film Commission lombarda, nella sua posizione di ente che dovrebbe rappresentare per il cinema le istituzioni locali, si batta, insieme ai produttori, alle società che offrono servizi per il cinema, alle categorie interessate e alle loro associazioni, perché la situazione cambi e il cinema trovi un’adeguata valorizzazione nella nostra Regione, che sia all’altezza delle potenzialità che la città potrebbe offrire in questo ambito, se riuscisse a considerarlo una delle priorità per il suo sviluppo futuro. Oggi, in una realtà come la nostra, è davvero difficile pensare che il mandato di una Film Commission possa essere limitato solo ad attrarre le produzioni cinematografiche per ‘promuovere il territorio’.

Ma perché mai il cinema dovrebbe avere una considerazione particolare per la città, ci si potrebbe chiedere. Io credo che il cinema meriti una speciale attenzione in un territorio culturalmente, economicamente e demograficamente ‘forte’ come il nostro anzitutto perché può depositare, meglio di altre forme espressive, una traccia della sua storia nella coscienza collettiva della città. Attraverso i film che nascono dove viviamo ci si rivede e ci si capisce meglio, nei momenti di crisi e di cambiamento come in quelli di crescita ed espansione. Non solo nelle storie che il cinema racconta ma anche nei modi in cui queste vicende vengono raccontate. Ci si capisce e si può provare a entrare in relazione con altre realtà, con pubblici più ampi, in Italia e all’estero, per farsi conoscere e per dare voce alle ‘sintonie’ che esistono con gli altri. Questa natura del cinema vale di per sé, secondo me.

Ma al di là di questa valenza diciamo culturale bisogna riconoscere che Milano è, contrariamente a quanto si crede (e non a caso, direi) una città di cinema. Ci sono tante realtà produttive che operano nell’audiovisivo e che guardano al cinema come un punto d’arrivo della loro attività. Esistono le competenze professionali, le infrastrutture tecniche, scuole di formazione professionale di buon livello (la ‘Civica’ per prima), un sistema di festival di specializzati unico in Italia o realtà come Filmmaker, che da anni orienta e sostiene il lavoro dei giovani registi, e come il Milano Film Festival che ha grande seguito ed è assolutamente originale nel panorama festivaliero italiano. Ci sono nuove società di distribuzione che propongono film molto selezionati e di qualità e, più che altrove, esiste un pubblico che ama e apprezza questi film e che riesce a trovarli in un sistema di sale che resiste ai terremoti del mercato. Chi fa o cerca di fare film è sempre sollecitato qui dalla spinta a volere capire dove sta andando il cinema e perché non potrà morire mai, c’è una tensione ad andare al di là dell’esistente per battere strade nuove, per riaprire la ricerca e la sperimentazione, per cercare di capire e interpretare i mutamenti nel gusto e nelle aspettative del pubblico. Insomma, gli elementi ci sono ma vagano dispersi e stentano a connettersi fra loro, per produrre un clima più propizio e stimolante.

Io credo che di questa situazione gli amministratori locali dovrebbero essere più consapevoli e che, con l’aiuto della Film Commission che hanno contribuito a far nascere, dovrebbero incominciare a chiedersi davvero cosa possono fare in modo coordinato per favorire queste connessioni e per giocare insieme un ruolo strategico che aiuti a valorizzare le potenzialità culturali, economiche e anche occupazionali che il cinema offre per la città e il suo territorio. Più delle risorse finanziarie serve una volontà politica comune degli enti locali da una parte, la conoscenza del settore, la condivisione di un linguaggio e una visione dall’altra, elementi questi su cui la Film Commission potrebbe giocare un ruolo decisivo.

 

Gianfilippo Pedote

 

 



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