11 settembre 2012

arte


 

PETER LINDBERGH. TRA MODA E CINEMA FANTASCIENTIFICO

Durante la Vogue Fashion’s night out ha inaugurato la personale del fotografo tedesco Peter Lindbergh, presso la galleria Carla Sozzani in Corso Como 10. Non c’era location migliore per proporre questa mostra fotografica se non proprio una galleria d’arte legata a doppio filo col mondo della moda e del glamour, vuoi per la parentela tra Carla e Franca Sozzani, direttrice di Vogue Italia, o vuoi per il grande store di lusso al piano terra, 10 Corso Como, appunto.

Ma soprattutto Lindbergh nasce come fotografo di moda, come autore di alcune fotografie che hanno fatto un po’ la storia di giornali internazionali come Vanity Fair, Rolling Stone, Harper’s Bazaar e naturalmente, Vogue America. Una carriera lunga, che nasce in Germania, si sposta in Svizzera, in Spagna, a Parigi e sbarca poi in America, dove, nel 1988, Anna Wintour, super direttrice di Vogue, mette Lindbergh sotto contratto. Da lì al successo mondiale il passo è breve.

La mostra è divisa in due sezioni. La prima, intitolata “Known-Images of women“, è una selezione di quaranta immagini tra le più significative della carriera di Lindbergh, e che sono comparse sui più importanti giornali di moda internazionali. Grandi fotografie in bianco e nero che ci restituiscono immagini di donne bellissime come Kate Moss, Naomi Campbell e Linda Evangelista, e che evidenziano quella ricerca formale e quell’allure glamour che solo le foto di alta moda, e di grandi fotografi, sanno offrire.

La seconda parte, intitolata “The Unknown“, è più innovativa, e mostra un taglio creativo inaspettato. The Unknown fa parte di un progetto di ricerca personale dell’artista, che dopo averlo presentato nel 2011 a Pechino, prosegue e aggiunge immagini a questo percorso “a sé”, senza ordine temporale o logico, e che richiama da vicino il mondo del cinema, altra passione di Lindbergh. Queste fotografie mostrano modelle e attrici famose, Kate Winslet, Amber Valletta ma soprattutto Milla Jovovich, che non sono più solo modelle inarrivabili ma donne che devono vedersela addirittura con catastrofi planetarie.

Lo scenario è fantascientifico, con richiami ai film del compatriota Fritz Lang, in cui incendi, disastri e caos sono disseminati nelle grandi metropoli americane, e davanti alle quali le affascinanti protagoniste di Lindbergh restano sconvolte e confuse, alcune catatoniche, ma sempre armate di rossetto rosso, in questo improbabile Armageddon. Gli elementi per creare suspance ci sono tutti: pericoli e minacce ambientati nei deserti californiani, alieni che rapiscono l’attore Fred Ward e la sua compagna, ma anche spiragli di set hollywoodiani non troppo nascosti all’obiettivo della macchina fotografica. Immagini che sembrano davvero fotogrammi di un film, in un continuum sempre più indissolubile tra queste due arti predilette da Lindbergh.

Peter Lindbergh. Known and “The Unknown” – Galleria Carla Sozzani. Fino al 4 novembre Orari: Lunedì ore 15.30 – 19.30 Martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato ore 10.30- 23 Domenica ore 10.30 – 19.30 Ingresso libero

 

 

L’INQUIETANTE NORMALITA’ DELLE IMMAGINI DI LASSRY

Elad Lassry è un giovane artista israeliano che si è fatto conoscere in Italia durante l’ultima Biennale di Venezia. Il PAC di Milano gli ha dedicato questa estate una prima grande retrospettiva, visitabile fino al 16 settembre, curata da Alessandro Rabottini. Il mondo di Lassry è fatto di immagini, fotografie e video, dove niente è così facile come sembra. Le sue fotografie, spesso unite a creare collage e composizioni, sono più finte delle immagini pubblicitarie. Niente qui è lasciato al caso, tutto è studiato, costruito e pensato. Perfino le cornici sono dipinte tono su tono rispetto ai colori delle immagini.

Il concetto su cui bisogna insistere nello spiegare il lavoro di Lassry è quello di riappropriazione dell’immagine. È facile vedere come i suoi lavori siano composti da fotografie fatte dall’artista stesso ma anche di immagini “vintage”, recuperate da vecchie riviste o vecchie cartoline. A Lassry interessa lavorare e far lavorare lo spettatore sui tanti significati che un’immagine può avere, sulla multiformità di un’immagine, che non è mai univoca ma ogni volta può essere investita, da chi la guarda, di nuovi, diversi e contrastanti significati. Un’immagine potrà avere tante forme e sensi nuovi, quanti saranno i suoi spettatori. Ecco perché queste immagini sono riprese indiscriminatamente da diverse fonti, tagliate e adattate alle nuove necessità formali senza fornire alcuna indicazione sul loro passato.

Il lavoro di Lassry è una riflessione sull’atto del vedere, su come noi guardiamo le immagini e su come le immagini stesse sono costruite. Rappresentazioni a prima vista familiari, come uomini, donne, animali e nature morte dicono molto di più, guardando sotto la loro superficie patinata. Da qui nasce il sottile senso ambiguo e straniante che proviamo nel vedere i lavori di Lassry.

Un lavoro studiato e meditato, con tanti riferimenti alla storia dell’arte, dalla Pop Art, al Minimalismo alle composizioni di Moholy-Nagy. Con anche, perché no, un riferimento ai pittori rinascimentali, nell’opera Woman (Green Bow), in cui un mezzo busto femminile risalta su un fondale verde. Unici oggetti presenti una bottiglia, un tavolo e uno strano copricapo in testa alla donna nuda, che con quel viso aperto e delicato ricorda le antiche madonne cinquecentesche.

Se tutto si basa sulla visione, non può mancare il cinema tra gli interessi di Lassry, di cui in mostra ci sono quattro pellicole. Film in 16 mm, proiettati in un formato simile a quello delle fotografie, proiezioni che sono un’analisi lenta e inesorabile dei soggetti ripresi, che sono coreografati e quasi a disagio davanti alla cinepresa, che li fissa imperterrita.

In mostra anche un’opera site specific, Untitled (Wall, Milan Blue), 2012, che unisce architettura, oggetti in ceramica e fotografie, in un succedersi spaziale che rende tutto uguale, ma che in realtà così non è. Piccole, ma significative, le variazioni tra l’uno e l’altro.

Un percorso tra immagini perfette e patinate, in una narrazione che unisce pubblicità, glamour e ritratto, ma che non fa mai dimenticare allo spettatore l’ambiguità e la falsità di tutte le immagini, anche di quelle all’apparenza più naturali.

Elad Lassry. Verso una nuova immagine PAC, ingresso gratuito. Fino al 16 settembre ORARI lunedì 14.30 – 19.30, da martedì a domenica 09.30 – 19.30, giovedì 09.30 – 22.30

 

 

BRAMANTINO: UNA MOSTRA AUTOCTONA

Promossa e auto – prodotta dal Comune di Milano, quella di Bramantino potrebbe essere la prima di una serie di mostre rivoluzionarie, non tanto per la novità dei temi quanto per la modalità di produzione. A cura di Giovanni Agosti, Jacopo Stoppa e Marco Tanzi, “Bramantino a Milano” è un’esposizione quasi monografica dei capolavori milanesi di Bartolomeo Suardi, detto il Bramantino (1480 – 1530), da Vasari, che gli diede questo soprannome in qualità della sua ripresa dei modi di Donato Bramante, pittore e architetto al servizio di Ludovico il Moro.

Che cos’ha di speciale questa mostra, nel cortile della Rocchetta, Castello Sforzesco, fino a settembre? Innanzitutto la gratuità dell’ingresso, il fatto che sia munita di due mini guide gratuite, complete di descrizione e dettagli storico – critici sulle opere in esposizione, e infine, il fatto che è una mostra “a chilometro zero”. Tutte le opere presentate al pubblico provengono infatti da musei e collezioni milanesi: l’Ambrosiana, Brera, la pinacoteca del Castello e la raccolta di stampe Bertarelli.

Questa è la grande novità. In un momento di crisi, in cui spesso le mostre sono di poca sostanza e si è soliti attirare il pubblico con nomi di grandi artisti, senza presentarne però i capolavori, ecco che si è preferito rinunciare ai prestiti esteri, impossibili per mancanza di fondi, e si è voluto puntare e valorizzare solo pezzi cittadini di qualità. Compito facile visto che Milano conserva il nucleo più cospicuo esistente al mondo di opere del Bramantino: dipinti su tavola e tela, arazzi, disegni, affreschi e l’unica architettura da lui realizzata, la Cappella Trivulzio nella chiesa di San Nazaro in Brolo.

L’esposizione si articola nelle due grandi Sale del Castello Sforzesco che ospitano già importanti lavori dell’artista. Nella Sala del Tesoro dove domina l’Argo, il grande affresco realizzato intorno al 1490 e destinato a vegliare sul tesoro sforzesco, sono esposte una trentina di opere, dipinti e disegni, che permettono di capire lo svolgersi della carriere dell’artista bergamasco: dalla Stampa Prevedari, un’incisione in rame che il milanese Bernardo Prevedari realizzò su disegno di Bramante e che influenzò per spazi e monumentalità l’opera di Bramantino, all’Adorazione del Bambino della Pinacoteca Ambrosiana, alla Madonna e Bambino tra i santi Ambrogio e Michele Arcangelo, con i due straordinari scorci dei corpi a terra.

La soprastante Sala della Balla, che accoglie gli arazzi della collezione Trivulzio, acquisiti dal Comune nel 1935, presenta un allestimento completamente nuovo, che dispone i dodici grandi arazzi, dedicati ai mesi e creati per Gian Giacomo Trivulzio, in modo che si leghino tra loro nella sequenza dei gesti e delle stagioni. Un filmato documenta ciò che è non è stato possibile trasportare in mostra: dalla Cappella Trivulzio alle Muse del Castello di Voghera, di cui Bramantino fu responsabile dei dipinti.

Una mostra davvero a costo zero, come dichiara lo stesso Agosti. “Gratis è l’allestimento di Michele De Lucchi, Francesco Dondina ha realizzato gratuitamente l’immagine e il fotografo Mauro Magliani ha lavorato con fondi universitari. La promozione è curata gratuitamente; il Fai e gli Amici di Brera hanno dato una mano per gli incontri e la struttura del Comune si è rimessa ad agire in proprio in maniera eccellente”. Una mostra tutto sommato facile, si gioca in casa, ma che proprio per questo ha un merito in più: promuovere quello che è sotto i nostri occhi tutti i giorni, valorizzarlo e dargli nuovo lustro.

Bramantino a Milano – Castello Sforzesco, Cortile della Rocchetta, Sala del Tesoro – Sala della Balla – fino al 25 settembre orari: da martedì a domenica dalle ore 9.00 alle 17.30. La Sala della Balla, al fine di consentire lo svolgimento di iniziative in programma, il 26 maggio e il 9 giugno chiuderà alle ore 14.00, il 15 giugno resterà chiusa tutto il giorno, mentre il 14 settembre chiuderà alle ore 15.00.

 

 

questa rubrica è a cura di Virginia Colombo

rubriche@arcipelagomilano.org


 



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