5 settembre 2012
“A garanzia dell’efficace ed efficiente svolgimento delle funzioni amministrative, in attuazione degli articoli 114 e 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, le Province di Roma, Torino, Milano (ecc.) sono soppresse, con contestuale istituzione delle relative città metropolitane il 1° gennaio 2014″ (art.18 legge n.135 del 7 agosto 2012). Il Governo ha dunque imposto come poteva, con tagli “lineari”, l’obiettivo di razionalizzare e ridurre la spesa, in alternativa a un paventato rovinoso aumento dell’IVA. Ora la palla passa alle realtà locali: province da accorpare, competenze da ridistribuire, città metropolitane da istituire entro termini ravvicinati. Su quest’ultimo punto tuttavia pesa un serio interrogativo, posto che tale disposizione è apparsa vanamente nella legislazione della Repubblica a partire dal 1990 (legge 142) almeno cinque o sei volte – compresa la modifica costituzionale del 2001 – con la cadenza delle grida manzoniane.
L’interrogativo è d’obbligo: chi infatti possiede il know how per fare in poco più di un anno ciò che TUTTA la classe politica milanese e lombarda ha snobbato per ventidue anni, oltre a irriderne ed emarginarne i pochissimi sostenitori? Oltre a assistere passivamente o peggio partecipare attivamente alla frattura dell’area metropolitana mediante la fallimentare secessione monzasco-brianzola? L’esperienza dimostra che le riforme e le innovazioni passano se conquistano le intelligenze e le coscienze, altrimenti restano “sulla carta” – fosse pure quella titolata e bollata della Gazzetta Ufficiale – o peggio si rovesciano in regressioni e controriforme.
Giova intanto recuperare le poche ma forse preziose elaborazioni di chi, fuori dal coro, non ha cessato di riflettere e approfondire la materia: basti per ora citare tra gli altri contributi la proposta di statuto del 2005 su http://arcoresiste.minlab.org/nuovo statuto, l’appello per una citta(dinanza) metropolitana su www.forumcivicometropolitano.it /documenti, nonché richiamare il “controcanto” del direttore di questa testata dall’esplicito titolo “come dare concretezza alla città metropolitana” (La Repubblica, 5/7/2005). La saggezza popolare un tempo suggeriva di “imparare l’arte e metterla da parte”, in questo caso non per sé ma per una elite politica e istituzionale che appare abulica e in affanno, restia a mettere le mani in una pasta finora relegata a giuristi e burocrati.
Infatti non si tratta di “ingegneria istituzionale” bensì di una vera e propria rivoluzione copernicana riguardante il modo di vedere e di pensare la politica e la pubblica amministrazione, nell’orbita dei principi costituzionali di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Esempio a prova contraria: se anche un ottimo ambientalista come Fedrighini invoca (ArcipelagoMilano, 18 luglio) un Piano urbano del traffico, quando qualsiasi Piano del traffico (superata da circa un millennio l’economia curtense) o è interurbano o non è, si dimostra la distanza rispetto a una “coscienza” metropolitana che è preliminare a ogni legge, deliberazione o determinazione in proposito. Guardare dall’alto e nella giusta scala la dimensione dei problemi (cosa possibile dalla prima mongolfiera fino ai fotogrammi satellitari di Google Maps) significa mettersi in condizione di poterli affrontare e forse risolvere. Altrimenti, da terra, è il “buio oltre la siepe”.
Per altro la scure di Monti e dei suoi “tagliatori di teste” agisce inevitabilmente per via “lineare”, e non potrebbe essere diversamente da parte di ogni governo centrale, tecnico o non. È evidente che per ciascuna delle dieci città metropolitane previste occorre una elaborazione e una normativa ad hoc, risultando i problemi dell’area metropolitana milanese ben diversi da quelli di Venezia o di Reggio Calabria. Dunque la possibile Città Metropolitana milanese potrà camminare solo reggendosi su entrambe le gambe. L’una: coincidere il più possibile con l’area, amalgamando il Comune di Milano con la Provincia, compresa ovviamente la ex Monza e Brianza; mettendo in comune strategie e sinergie nonché i patrimoni (risolvendo tra l’altro alla radice la curiosa vicenda dello scambio di figurine tra enti pubblici!). L’altra: operare un deciso decentramento del capoluogo in autonome Municipalità, dotate di organi esecutivi snelli e collegiali, personale e bilancio propri “a somma zero” rispetto all’attuale mastodontica struttura verticale e dicasteriale, accentrata negli Assessorati (*). Naturalmente con una netta ripartizione delle competenze e delle responsabilità per eliminare doppioni e rimpalli, sprechi e giri a vuoto. Si tratta allora di aprire, ridando la parola a una politica rinnovata e riqualificata, una vera e propria FASE COSTITUENTE regionale e metropolitana.
Diversamente assisteremmo all’ennesimo espediente gattopardesco di cavarsela cambiando i nomi a un assetto amministrativo statico e obsoleto. Ma il trucco non inganna più “merkel e mercati” che sprangano con lo spread. Dunque – a sistema economico-finanziario globale invariato – lasciare ai “ragionieri” la manovra sull’euro è necessario ma non sufficiente. Occorre che la politica (a casa nostra dove non siamo più tanto padroni quanto dobbiamo farci i compiti!) recuperi al più presto modelli etici, normativi e organizzativi compatibili con gli standard europei. (Altra cosa sarebbe riconsiderare il “sistema” medesimo, foriero di una crisi epocale, ma allora sarebbe richiesta una politica di livello teorico e ampiezza internazionale degna di ben altra Storia).
Valentino Ballabio
(*)”Talora si ha l’impressione che la città sia troppo grande per sentirsi una” (Carlo Maria Martini, Prolusione agli “stati generali” di Milano, 11 Giugno 1998)