25 luglio 2012

BILANCIO DI GENERE IN TEMPO DI CRISI


I numeri sono neutri. Una voce di spesa di un ente pubblico o una linea di bilancio di un’azienda non può significare qualcosa di diverso per uomini e donne. È una cifra, con qualche zero. Punto. Le tasse hanno lo stesso effetto sui portafogli di cittadini e cittadine. Un servizio pubblico è per tutti, indipendentemente dal fatto che l’utente sia un bambino, una bambina, un anziano, un’anziana. Il bilancio di genere (in inglese gender budget) è lo strumento che mette in discussione queste affermazioni e tutte quelle ad esse affini che sostengono la neutralità rispetto alla vita di uomini e donne delle scelte di finanza e amministrazione, pubblica e privata.

Correva l’anno 1984 e l’Australia fu il primo Paese a redigere un bilancio di genere a livello nazionale: questa sperimentazione si nutriva delle analisi e delle proposte che dagli anni ’70 diverse studiose e attiviste della società civile avevano avanzato per perseguire le pari opportunità e promuovere i diritti delle donne (attraverso il “gender mainstreaming” ossia l’approccio che facilita l’inserimento trasversale del concetto di genere in progetti, leggi, programmi). La IV Conferenza mondiale delle donne di Pechino del 1995 riconobbe l’importanza del bilancio di genere e presto seguirono l’esempio australiano altri Paesi tra cui Sudafrica, Canada, Gran Bretagna, Francia, Svezia, Svizzera, Danimarca, Paesi Baschi. L’Unione Europea tra il 2001 e il 2006 elaborava i primi posizionamenti ufficiali in tema di gender budget in diverse occasioni e provvedimenti. A questo proposito va ricordato l’impegno dell’eurodeputata italiana Fiorella Ghilardotti, promotrice di varie iniziative di approfondimento sul bilancio di genere e per questo nominata dalla Commissione diritti delle donne e uguaglianza di genere del Parlamento Europeo relatrice di una proposta di Risoluzione sul gender budget, approvata nel 2003.

Un bilancio di genere di un ente pubblico, di un’impresa, di un’associazione consiste nel riclassificare le voci di un bilancio per aree “sensibili” al concetto di genere, ossia analizza entrate e uscite con riferimento ai diversi effetti che possono avere per la vita di uomini e donne. Potenziare un servizio pubblico (ad esempio una linea di trasporto urbano) che a un’amministrazione costa X e di cui beneficiano soprattutto le donne o introdurre una tassa abbinata ad un bene di consumo Y (ad esempio automobile di grossa cilindrata) prevalentemente acquistato da uomini produrrà distorsioni positive o negative sul reddito o sull’agire quotidiano degli uni o delle altre. Così come aggiustamenti di bilancio di un’azienda, manovre finanziarie di uno stato o incentivi al personale di un ente locale possono aumentare, diminuire o lasciare intatte differenze di genere a livello occupazionale, sociale e famigliare. Se crescono ad esempio gli investimenti di un Comune per i servizi alla persona (agli anziani, all’infanzia, alle attività educative), chi ne beneficerà maggiormente saranno le donne, più tradizionalmente impegnate nel lavoro di cura (retribuito e non) e ne deriverà presumibilmente un vantaggio in termini di maggiore occupabilità femminile, in funzione del “tempo liberato” grazie ad un servizio pubblico che sostituisce o integra una “prestazione” privata. Allo stesso modo se si deliberano incentivi per un settore produttivo che vede più impiegati gli uomini (tipicamente l’edilizia), si produrranno indirettamente effetti di sostegno all’occupazione maschile.

Non si tratta quindi di chiedere attraverso il bilancio di genere che ci siano servizi necessariamente rivolti alle donne, né ricondurre forzatamente la destinazione di una spesa all’universo maschile o femminile di una collettività, ma considerare nella propria analisi le diverse condizioni di vita e lavoro tra uomini e donne e saper valutare se questi differenti comportamenti, preferenze, esigenze determinano un impatto disuguale nell’esperienza di una politica o di una allocazione di spesa. Il bilancio di genere è quindi uno strumento di controllo e valutazione di una politica economica di un ente, ma è anche uno strumento di trasparenza e responsabilità per misurare la coerenza tra impegni assunti per le pari opportunità e scelte concrete con conseguenti allocazioni di bilancio. Un bilancio di genere comunale permette di “leggere” attraverso lenti nuove la città, i suoi spazi, l’uso che ne fanno cittadini e cittadine, le esigenze, le paure, i desideri di uomini e donne, considerando differenze anagrafiche, retributive, di organizzazione di vita. Indubbiamente infine il bilancio di genere è una pratica che evidenzia differenze nella rappresentanza e nella distribuzione del potere in tutti i luoghi dove si decide (consigli comunali, direzioni di assessorati, consigli di amministrazione) e per questo necessita di donne (e uomini) disponibili a mettere in discussione processi di gestione e allocazioni di risorse.

In Italia a partire dal 2001 si registrano esperienze di bilanci di genere, ma solo a livello locale (province, regioni e comuni): tra le circa 60 amministrazioni che si sono dotate di questo strumento, si possono nominare le province di Genova, Siena e Modena che hanno promosso un Protocollo di Intesa nel 2003 per la promozione del bilancio di genere e lo scambio di buone prassi in materia. Al Protocollo ha aderito nel 2005 anche la Provincia di Milano che ha sperimentato il gender budget a Castano Primo, Cinisello Balsamo, Peschiera Borromeo, San Donato Milanese, San Giuliano Milanese, Trezzo sull’Adda.

A conclusione dell’esercizio di un bilancio di genere gli orientamenti di spesa di un’amministrazione possono cambiare: Fortunata Dini – Assessora a San Giuliano Terme in provincia di Pisa – testimonia in proposito in un’intervista pubblicata dalla rivista online InGenere nel febbraio 2011: “Il bilancio di genere, oltre all’analisi di contesto […] ha prodotto l’analisi dei servizi erogati che ha evidenziato molto chiaramente il fenomeno delle nuove povertà. […] Analizzando i fruitori dei servizi o progetti finanziati dal comune, come quello per affrontare l’emergenza abitativa, è emerso che le donne sole con figli, con scolarità medio – bassa, sono a rischio di povertà. […] Perciò nel bilancio preventivo 2009-2011 abbiamo mantenuto gli stessi impegni di spesa per le politiche sociali, della casa e per l’istruzione a fronte di tagli del 15-20% in tutti gli altri settori. […] Con il bilancio di genere gli amministratori hanno capito con maggior chiarezza chi dovessero essere i destinatari di tali azioni.

Nella maggioranza dei casi che a livello locale hanno dato esiti positivi sull’esercizio del bilancio di genere, il guadagno complessivo ha superato il mero efficientamento delle politiche pubbliche e ha creato spazi di negoziazione tra istituzioni e cittadini, nelle diverse articolazioni dell’amministrazione pubblica (come ad esempio ASL, servizi di trasporto, polizia municipale, servizi per l’infanzia etc.) e ha facilitato la costruzione di esperienze partecipate di governance locale (spesso utili per completare i dati e le analisi a disposizione dell’amministrazione stessa).

Oggi, in tempi di tagli di risorse pubbliche e di crisi aziendali, il bilancio di genere appare quanto mai attuale per rendere più efficaci le politiche di un ente locale, per rispondere alle crescenti esigenze di welfare, per rilanciare l’occupazione femminile senza trascurare la necessaria condivisione del lavoro di cura tra uomini e donne, famiglie e servizio pubblico e nella consapevolezza della complessità di incontrare necessità crescenti con risorse sempre più scarse.

 

Beatrice Costa e Rossana Scaricabarozzi



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