25 luglio 2012

arte


FABIO MAURI. THE END

Milano impazzisce per gli anni ’70. Dopo la mostra dei dipinti di Dario Fo, dopo il piano nobile di Palazzo Reale invaso dalla mostra “Milano anni ’70”, dopo i funerali dell’anarchico Pinelli, ecco chiudere il ciclo con “Fabio Mauri. The end”, retrospettiva importante dedicata all’artista romano scomparso tre anni fa.

Artista emblematico del ‘900, Mauri ha saputo come solo pochi, trattare il tema dell’ideologia e della memoria collettiva e personale, dando vita a un percorso artistico intrecciato a quello autobiografico e personale. Un artista da approfondire, come dimostra anche l’omaggio fattogli da dOCUMENTA, rassegna internazionale d’arte, a Kassel, con la riproposizione della sua performance <<Che cos’è la filosofia. Heidegger e la questione tedesca. Concerto da tavolo>>, video riproposto anche in mostra.

Artista e drammaturgo, fondatore di due riviste di critica d’arte, Fabio Mauri con le sue opere richiede attenzione, senso storico e una empatia forte, l’unica chiave di lettura per un lavoro che mischia insieme storia collettiva e privata. La mostra di Milano, curata da Francesca Alfano Miglietti, si snoda attraverso macro temi che seguono tutta la produzione artistica di Mauri. Ci sono i suoi disegni, i ricami con le scritte The end e La Fine, gli Schermi e tutte le principali installazioni monumentali legate soprattutto al tema dell’Olocausto.

Toccante e dal significato tutt’oggi denso è ad esempio “Ebrea“, installazione del 1971, che ripropone in una stanza una serie di oggetti apparentemente normali e quotidiani e che diventano però parte di una sorta di museo in cui questi oggetti-sculture prendono un altro, drammatico significato: i titoli indicano in realtà una provenienza e una fattura “umana”: pelle, denti, ossa e capelli di ebrei morti nei campi di sterminio. Mauri arriva a spingere al limite la sopportazione dello spettatore, con la presenza di una sedia “in pelle ebrea”, proveniente da un campo di sterminio tedesco.

Anche “Il muro Occidentale o del pianto“, 1993, colpisce profondamente. Una parete enorme, fatta tutta di valigie e bauli di cuoio, ricostruisce idealmente per 4 metri d’altezza il Muro del Pianto di Gerusalemme, qui con evidente riferimento ai beni e alla vita, simboleggiata dalle valigie che le contenevano, sequestrate agli ebrei prigionieri dei campi di concentramento.

Fabio Mauri non era ebreo, come spiega egli stesso nei tanti testi che accompagnano le opere, ma ha vissuto da vicino il dramma storico degli ebrei, con tanti amici “partiti e mai più tornati”. E allora ecco anche “Manipolazionidi cultura“, 1976, immagini della propaganda nazista che mostrano Goebbels alla mostra di Arte Degenerata del ’37, scene di famiglie felici e spensierate, giovani inquadrati nei ranghi militari e una vita quasi perfetta sotto il regime tedesco.

Completano la rassegna i grandi “Schermi“, dipinti monocromi realizzate negli anni ’50 e che contengono già un riferimento al cinema e alla civiltà contemporanea dell’immagine, così come i grandi e piccoli proiettori posti nella sala video. The End diventa quindi un percorso storico e sociale capace di smuovere l’animo e di coinvolgere con molteplici linguaggi espressivi.

Nell’ambito della “Verde estate di Milano” questa mostra, come tutte quelle di Palazzo Reale, è a ingresso gratuito.

Fabio Mauri. The end – Palazzo Reale Orari: Lunedì 14.30 – 19.30 Martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30 – 19.30; Giovedì e sabato 9.30 – 22.30. Ingresso gratuito

 

DA 0 A 100 (DISEGNI DI CARAVAGGIO)

In questi giorni nel mondo accademico non si parla d’altro che della presunta scoperta di alcuni disegni, attribuiti niente meno che a Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. I fogli in questione sono in realtà noti da sempre agli studiosi del settore. Fanno parte infatti dei 1378 fogli del fondo “Simone Peterzano”, maestro degli anni giovanili e milanesi di Caravaggio, conservati nel Gabinetto dei disegni del Castello Sforzesco.

Una scoperta shock, non abbiamo infatti disegni certi di mano del Caravaggio, e che da subito ha sollevato polemiche e impietose critiche. I due scopritori di questi disegni, Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli, hanno infatti non solo dato per certa l’attribuzione alla mano del giovane Merisi, ma hanno anche pubblicato, in tempo record, un ebook di 600 pagine dal titolo Giovane Caravaggio. Le cento opere ritrovate, con disegni e attribuzioni.

Il fatto che tutti gli studiosi del Merisi si siano sollevati a protestare dovrebbe dire qualcosa. Maria Teresa Fiorio, ex direttrice delle Raccolte d’arte del Castello, Giulio Bora, eminente studioso di arte moderna e tanti altri hanno infatti smentito le presunte attribuzioni caravaggesche, spiegando anzi che il fondo era già stato esaminato dai più noti esperti in materia (vedi tra gli altri Mina Gregori e lo stesso Bora), ma che nessuno si era mai permesso di fare una simile esternazione. Questo soprattutto per via della difficoltà di attribuzione di disegni così parcellizzati, come teste, volti, particolari anatomici ecc. Certo la speranza di trovare dei disegni di mano del maestro, nel fondo Peterzano era grande ed è tutt’ora in vita, ma da qui a trovarne 100 (96 per la precisione) in un colpo solo…

Secondo i due studiosi invece questo dimostrerebbe come Caravaggio partì da Milano con un bagaglio di modelli e disegni “pronti” da usare come base per i futuri capolavori.

Mentre le polemiche sono aperte, il Comune di Milano ha deciso di pubblicare on line, sul sito www.comune.milano.it nella sezione News, le foto dei disegni con una piccola scheda tecnica per ciascuno. In questo modo si garantisce massima trasparenza all’operazione – attribuzione – Caravaggio, di modo che ognuno possa fare le proprie considerazioni anche se, ammonisce Boeri, è bene procedere con la massima cautela.

Cautela dovuta anche al fatto che i due scopritori della presunta autografia dei disegni sono in realtà personaggi molto poco noti al mondo accademico, e, addirittura, poco frequentatori del Fondo Peterzano. Cosa che sembrerebbe invece fondamentale per dar conto di una così, potenzialmente enorme scoperta.

Insomma, se i più importanti studiosi caravaggeschi sono sempre andati coi piedi di piombo nel valutare questi disegni, forse è il caso di rivalutare queste attribuzioni, in vista anche del fatto che Bernardelli Curuz e Conconi Fedrigolli avrebbero stimato il valore delle opere fissandole a 700 milioni di euro.

Vedere (il sito del Comune) per credere.

 

 

I FUNERALI DELL’ANARCHICO PINELLI TORNANO A MILANO

A quaranta anni dalla sua realizzazione Palazzo Reale espone un’opera simbolo degli anni ’70, I funerali dell’anarchico Pinelli, 1972, di Enrico Baj. La cornice è delle più importanti, la sala delle Cariatidi, che con i segni ancora evidenti delle ferite di guerra ben si adatta a sottolineare il dolore e la drammaticità della tragica morte di Giuseppe Pinelli. Un’opera dalle dimensioni colossali, 3 metri di altezza e 12 di lunghezza, con 18 figure ritagliate nel legno e coperte di altri materiali, secondo la tecnica del collage.

Ma se il soggetto è drammatico, travagliato è anche il destino di quest’opera. Il lavoro doveva infatti essere presentato in mostra proprio a Palazzo Reale, nella stessa sala delle Cariatidi, il 17 maggio 1972. La sala era già allestita, il catalogo pronto, i manifesti già appesi per la città, ma proprio la mattina dell’inaugurazione della mostra venne ucciso a colpi di pistola il commissario Calabresi, che aveva diretto le indagini sulla strage di piazza Fontana. La mostra venne rinviata per “motivi tecnici” e l’opera non fu più presentata a Palazzo Reale. Da allora è stata presentata in diverse città tra cui Rotterdam, Stoccolma, Düsseldorf, Ginevra, Miami, Locarno e Roma.

Un’opera che ha un precedente diretto, che viene in mente non appena si mette piede all’interno della sala: Guernica di Picasso. Così come quel drammatico dipinto fu esposto in una storica mostra del 1953 nella sala delle Cariatidi, così l’opera di Baj ha lo stesso amaro e spiazzante impatto.

Mentre il Pinelli cade dalla finestra, tutto intorno a lui è il caos. 11 anarchici assistono disperati alla scena, sulla sinistra, piangendo lacrime fatte di sassolini e bottoni. Poco più in là, staccate dal pannello, ci sono le due figlie, Claudia e Silvia Pinelli: una tende le braccia verso il padre, l’altra piange disperata. La moglie Licia invece è collocata sulla destra, ed è il personaggio più guernichesco di tutti. La faccia stravolta dalle urla, il seno fuori, le braccia aperte in segno di disperazione, quasi a carponi, incapace di sostenersi.

Accanto a lei avanzano minacciosi poliziotti e generali, trasformati in mostri grotteschi e deformi, con le medaglie militari ben in vista, i manganelli in mano e l’aria feroce. Tutto intorno al corpo che cade, centro fisico e concettuale dell’opera, mani che brandiscono coltelli, manganelli e molotov e che sembrano spingere per accelerare la caduta.

Toccanti anche i due interventi che introducono all’opera, due brevi testi scritti da Dario Fo e Giorgio Marconi, che prese in custodia l’opera dopo la cancellazione della mostra nel 1972. Giorgio Marconi, il figlio, che ha anche curato l’allestimento della mostra, ha dichiarato di voler donare l’opera alla città. Un dono che non potrà che essere gradito da Milano, vista la potenza di quest’opera, che riesce a descrivere un episodio così triste della storia della città, e che ha coinvolto con sdegno, rabbia ed emozione l’intero Paese.

ENRICO BAJ. I FUNERALI DELL’ANARCHICO PINELLI – Palazzo Reale
fino al 2 settembre 2012, lunedì 14.30 – 19.30, martedì – domenica 9.30 – 19.30, giovedì e sabato 9.30 – 22.30, INGRESSO GRATUITO

 

 

MILANO ANNI 70

Milano negli anni ’70 è stata un grande centro propulsore di arte, idee, movimenti politici e rivoluzioni. “Addio anni 70” celebra proprio questo decennio con una grande retrospettiva a Palazzo Reale, curata da Francesco Bonami e Paola Nicolin. La mostra, a ingresso gratuito, resta nell’ambito delle mostre autoprodotte dal Comune, con il contributo di 24 Ore Cultura.

Una mostra che conta più di 230 opere, 28 stanze (tutto il piano nobile del Palazzo) e moltissimi documenti e testimonianze dell’epoca. Il percorso non è strutturato in modo cronologico o metodico, ma è invece libero e fluente, per dar voce e spazio ai vai protagonisti del periodo e alle loro “grida sovversive”.Il visitatore non deve aspettarsi forti emozioni o sensazioni, piuttosto, in linea con il pensiero di quel decennio, l’opera non ha fini prettamente estetici ma si presenta così com’è, in tutta la sua materialità e fisicità, densa piuttosto di un significato profondo e concettuale.

La scena artistica era dominata da gruppi come FLUXUS e Laboratorio di comunicazione militante, dal gruppo del Nouveau Realisme, con Rotella, Christo che impacchetta il monumento in piazza Duomo e Daniel Spoerri che imbandisce tavole posticce come quadri da parete. Così come era successo per la grande mostra alla Rotonda della Besana, 1970, a cura di Pierre Restany e con allestimento di Gae Aulenti.

Tanti i fotografi importanti italiani, come Carla Cerati, che coglie la vita mondana milanese, Gianni Berengo Gardin che descrive case di ringhiera, cortili e piazze, Cesare Colombo che testimonia i cortei del Movimento Studentesco, Maria Mulas che distorce i corpi e i volti dei protagonisti culturali di quegli anni durante l’inaugurazione di una mostra al PAC, e naturalmente Ugo Mulas che immortala piazza Duomo colma di gente ai funerali delle vittime di Piazza Fontana. Tanti anche i nomi illustri del mondo più artistico, come Castellani, Gianni Colombo, Alik Cavaliere, Luciano Fabro, Pomodoro, Garutti, Melotti, Kaprow e Boetti.

Caratteristiche del periodo furono anche le performance, come quella di John Cage al teatro Lirico, o quella di Lucinda Childs alla importante galleria di Salvatore Ala, tutte testimoniate da foto e video d’epoca. Il clima politico caldo di quegli anni è sempre presente in sottofondo, testimoniato dai video delle proteste di piazza, dalle foto del commissario Calabresi durante il processo, così come dalle “prove di caduta” (con manichino) del corpo dell’anarchico Pinelli di Massimo Vitali. Insomma c’è un po’ di tutto, opere, libri, manifesti e racconti, esposti per la prima volta, che non mancheranno di sollevare interrogativi e riflessioni così come accadde agli intellettuali e agli scrittori che attraversarono Milano in quegli anni, come Umberto Eco, Michel Foucault e Garcia Marquez.

Una mostra esaustiva ma “faticosa”: tanti gli spazi, tante le sale e le opere, si rischia quasi un sovraffollamento mentale, causato anche dalla scelta un po’ infelice delle posizioni delle didascalie, spesso lontane dall’opera e, nel caso delle fotografie, accorpate lontane dalle immagini di riferimento. Una bella iniziativa è il progetto editoriale creato ad hoc. Per aiutare il visitatore nella complessità fisica e concettuale della mostra, è stato stampato un “giornale” free press, una sorta di catalogo gratuito che accompagna l’esposizione, realizzato da Mousse, e che è un’antologia di testi e immagini d’epoca, selezionati e ristampati per l’occasione. Si tratta di documenti introvabili, provenienti da archivi, gallerie, fondazioni e biblioteche, che ne fanno uno strumento prezioso da conservare e utilizzare durante e dopo la visita.

Apre e chiude il percorso una reading room, progettata grazie alla collaborazione di Artek e Domus e realizzata con tavoli e sedie di Enzo Mari, legate all’esperienza dell’Autoprogettazione che egli presentò per la prima volta alla Galleria Milano nel 1974. Nella sala sono visibili anche le interviste a critici e protagonisti del decennio realizzate appositamente per la mostra insieme alla documentazione editoriale d’epoca.

Per restituire la complessità del periodo affiancheranno la mostra una serie di attività e momenti di approfondimento tematico pubblici e gratuiti, ovvero un ciclo di lezioni sugli anni Settanta a cura di Doppiozero, a ingresso libero (ore 19.00). Il 28 giugno si parlerà di Sesso e moda con Luca Scarlini, il 5 luglio di Grafica e poesia visiva con Giovanni Anceschi, il 12 luglio di Letteratura con Marco Belpoliti e il 19 luglio di Cinema con Luca Mosso.

ADDIO ANNI 70 ARTE A MILANO 1969 – 1980, Milano, Palazzo Reale, fino al 2 settembre, Ingresso gratuito Orari: lunedì: 14.30_ 19.30; martedì, mercoledì, venerdì, domenica: 9.30-19.30; giovedì e sabato: 9.30_ 22.30

 

 

BRAMANTINO: UNA MOSTRA AUTOCTONA

Promossa e auto – prodotta dal Comune di Milano, quella di Bramantino potrebbe essere la prima di una serie di mostre rivoluzionarie, non tanto per la novità dei temi quanto per la modalità di produzione. A cura di Giovanni Agosti, Jacopo Stoppa e Marco Tanzi, “Bramantino a Milano” è un’esposizione quasi monografica dei capolavori milanesi di Bartolomeo Suardi, detto il Bramantino (1480 – 1530), da Vasari, che gli diede questo soprannome in qualità della sua ripresa dei modi di Donato Bramante, pittore e architetto al servizio di Ludovico il Moro.

Che cos’ha di speciale questa mostra, nel cortile della Rocchetta, Castello Sforzesco, fino a settembre? Innanzitutto la gratuità dell’ingresso, il fatto che sia munita di due mini guide gratuite, complete di descrizione e dettagli storico – critici sulle opere in esposizione, e infine, il fatto che è una mostra “a chilometro zero”. Tutte le opere presentate al pubblico provengono infatti da musei e collezioni milanesi: l’Ambrosiana, Brera, la pinacoteca del Castello e la raccolta di stampe Bertarelli.

Questa è la grande novità. In un momento di crisi, in cui spesso le mostre sono di poca sostanza e si è soliti attirare il pubblico con nomi di grandi artisti, senza presentarne però i capolavori, ecco che si è preferito rinunciare ai prestiti esteri, impossibili per mancanza di fondi, e si è voluto puntare e valorizzare solo pezzi cittadini di qualità. Compito facile visto che Milano conserva il nucleo più cospicuo esistente al mondo di opere del Bramantino: dipinti su tavola e tela, arazzi, disegni, affreschi e l’unica architettura da lui realizzata, la Cappella Trivulzio nella chiesa di San Nazaro in Brolo.

L’esposizione si articola nelle due grandi Sale del Castello Sforzesco che ospitano già importanti lavori dell’artista. Nella Sala del Tesoro dove domina l’Argo, il grande affresco realizzato intorno al 1490 e destinato a vegliare sul tesoro sforzesco, sono esposte una trentina di opere, dipinti e disegni, che permettono di capire lo svolgersi della carriere dell’artista bergamasco: dalla Stampa Prevedari, un’incisione in rame che il milanese Bernardo Prevedari realizzò su disegno di Bramante e che influenzò per spazi e monumentalità l’opera di Bramantino, all’Adorazione del Bambino della Pinacoteca Ambrosiana, alla Madonna e Bambino tra i santi Ambrogio e Michele Arcangelo, con i due straordinari scorci dei corpi a terra.

La soprastante Sala della Balla, che accoglie gli arazzi della collezione Trivulzio, acquisiti dal Comune nel 1935, presenta un allestimento completamente nuovo, che dispone i dodici grandi arazzi, dedicati ai mesi e creati per Gian Giacomo Trivulzio, in modo che si leghino tra loro nella sequenza dei gesti e delle stagioni. Un filmato documenta ciò che è non è stato possibile trasportare in mostra: dalla Cappella Trivulzio alle Muse del Castello di Voghera, di cui Bramantino fu responsabile dei dipinti.

Una mostra davvero a costo zero, come dichiara lo stesso Agosti. “Gratis è l’allestimento di Michele De Lucchi, Francesco Dondina ha realizzato gratuitamente l’immagine e il fotografo Mauro Magliani ha lavorato con fondi universitari. La promozione è curata gratuitamente; il Fai e gli Amici di Brera hanno dato una mano per gli incontri e la struttura del Comune si è rimessa ad agire in proprio in maniera eccellente”. Una mostra tutto sommato facile, si gioca in casa, ma che proprio per questo ha un merito in più: promuovere quello che è sotto i nostri occhi tutti i giorni, valorizzarlo e dargli nuovo lustro.

Bramantino a Milano – Castello Sforzesco, Cortile della Rocchetta, Sala del Tesoro – Sala della Balla – fino al 25 settembre orari: da martedì a domenica dalle ore 9.00 alle 17.30. La Sala della Balla, al fine di consentire lo svolgimento di iniziative in programma, il 26 maggio e il 9 giugno chiuderà alle ore 14.00, il 15 giugno resterà chiusa tutto il giorno, mentre il 14 settembre chiuderà alle ore 15.00.

 

 

questa rubrica è a cura di Virginia Colombo

rubriche@arcipelagomilano.org


 



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