1 aprile 2009

BERLUSCONI E LE CITTA’ SATELLITE


Leggo sul corriere del 26 marzo corso che il nostro presidente del Consiglio suggerisce per la soluzione urgentissima alla mancanza di alloggi per le classi sociali meno fortunate di realizzare, nelle aree adiacenti alle grandi metropoli, delle nuove città satellite.

Berlusconi di città satellite se ne intende certamente più del cittadino medio, anche e soprattutto grazie alla creazione e al successo di Milano Due e Milano Tre: isole “felici” nella desolazione della periferia milanese. Questi sono, per molti versi esperimenti riusciti: i servizi di base funzionano, la criminalità è a livelli molto bassi, non mancano spazi vedi, scuole, negozi, anche di un certo pregio. Tuttavia, va ricordato che, grazie ai prezzi di vendita delle case, gli abitanti di Milano Due e Tre appartengono grossomodo tutti alla medesima classe sociale, una non ben definibile borghesia medio – alta, in cerca di uno stile di vita che la città, già allora, rendeva difficoltoso.

Ignoro cosa passi per la testa del nostro presidente, ma gli suggerirei di fare, ovviamente in elicottero, un giro per altre città satellite, realizzate con i fondi pubblici, che numerose caratterizzano le nostre periferie.

L’idea stessa della “città satellite” nasce lontano, forse addirittura in Inghilterra due secoli fa, quando nelle intenzioni degli urbanisti di allora si tentava in via sperimentale di realizzare nuclei urbani indipendenti dalle città tradizionali, pianificati in modo tale da ottenere i vantaggi della città esistenti eliminandone al contempo “le malattie endemiche”. Inutile dire che ogni tentativo si è rivelato più meno un fallimento.

Nei casi più fortunati le città satellite si sono lentamente trasformate in città tradizionali, per struttura sociale, esigenze, organizzazione. Abbiamo invece altrove grandi fallimenti: città satellite costruite su terreni economici, nel tentativo di trovare sistemazioni decorose per i cittadini economicamente meno fortunati. Le stesse “case popolari”, costruite soprattutto durante il ventennio fascista si sono rivelate spesso delle vere e proprie “trappole urbane” non solo per gli stessi abitanti ma anche per chi si è trovato nella posizione di dover gestire queste strutture urbane divenuti luoghi di degrado sociale e urbanistico.

Così, mentre da un lato il governo si preoccupa del fenomeno crescente della criminalità (micro e macro, urbana e non) e dell’immigrazione clandestina, ecco che Berlusconi fornisce la soluzione ideale all’intero problema: la realizzazione della “Milano Due dei Poveri”, dove senza nessuna ombra di dubbio nel giro i pochi mesi gli inquilini ai quali saranno promessi servizi, che non saranno mai realizzati, tenderanno a ricreare quei “quartieri ghetto” ai quali siamo abituati: totale mancanza di opere di completamento alle abitazioni (negozi, supermercati e scuole e via discorrendo), criminalità diffusa, scarsa o nessuna manutenzione degli edifici e del verde. Vedremmo così nascere dei nuovi luoghi della tanto temuta micro-criminalità: motorini bruciati e abbandonati in mezzo alle strade pubbliche, giardini e parchi lasciati all’abbandono più totale, occupazioni abusive diffuse e via discorrendo, rari nuclei familiari terrorizzati dall’uscire di casa dopo il tramonto. Il tutto mentre nelle grandi città tradizionali un numero sempre crescente di unità immobiliari rimane vuoto.

I nostri amministratori locali, Carlo Masseroli in Comune e Davide Boni in Regione, insistendo sulla necessità di nuovi strumenti urbanistici hanno indicato come modello da non più perseguirsi proprio gli agglomerati monoclasse per censo e per età. Inascoltate voci dal territorio.

Non il nostro premier, che si culla nelle sue fantasie che annuncia dai pulpiti dai quali predica al “popolo”, costringendo i pochi assennati al suo seguito governativo a pronte rettifiche e correzioni rispetto al “verbo” del capo.

Così come Berlusconi dunque raccomanda ai disoccupati di oggi di impegnarsi per trovare un lavoro vincendo la loro naturale inerzia, domani raccomanderà ai senza tetto di trovarsi un bell’appartamento nelle nuove città satellite, create per uscire dalla crisi economica galoppante ma entrando in un futuro ghetto per poveri.

Filippo Beltrami Gadola



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