18 luglio 2012

A MILANO CI VUOLE IL PIANO URBANO DELLA MOBILITÀ


Viene prima il servizio bus by night o il bus by day nelle periferie? Prioritario dare la caccia ai contravventori della 90/91 o recuperare i mancati incassi della sosta a pagamento? Per ridurre smog e traffico è sufficiente Area C oppure è necessario sviluppare contestualmente altre misure in tutta l’area urbana? Sono più urgenti cinquanta nuove stazioni BikeMi o cinque grandi Ciclostazioni in corrispondenza dei principali snodi ferroviari urbani? Meglio trenta nuove “Zone 30” o meglio trenta nuovi semafori intelligenti a servizio delle linee di trasporto pubblico?

Potremmo continuare all’infinito senza mai arrivare a una risposta definitiva, perchè a Milano serve tutto questo e molto altro ancora, senza che un provvedimento escluda l’altro. Si tratta semplicemente di indicare una gerarchia di priorità. Per farlo, è necessario disporre di una strategia di medio – lungo periodo con obiettivi precisi, modellati sulla base delle risorse disponibili (che, dopo l’entrata in vigore di Area C, non sono poche).

Tutto questo ha un nome preciso: si chiama Piano Urbano della Mobilità. L’ultimo redatto risale al 2001. Il PUM è, o almeno dovrebbe essere, non solo uno strumento funzionale all’Amministrazione per sviluppare una politica integrata della mobilità urbana. È, o dovrebbe essere, alla pari del Piano di Governo del Territorio una sorta di “patto civico” fra governo locale e cittadinanza, nel quale vengono indicati obiettivi precisi e misurabili per costruire un modello di città sostenibile.

Questo aiuta nella comunicazione dei provvedimenti da adottare e aiuta anche nell’assunzione di misure difficili, ma necessarie per risolvere i problemi reali. È un’alternativa un po’ più faticosa, me ne rendo conto, rispetto alla quick communication via social network, ma ne vale la pena. Perché se indico alla città obiettivi precisi di interesse generale ai quali punto, allora anche misure come l’aumento del biglietto del bus, l’avvio di Area C, i momentanei disagi legati alla necessità di modificare l’assetto delle strade e potenziare la rete e il servizio di trasporto pubblico, vengono accettati dai cittadini come sacrifici necessari per raggiungere il traguardo: cambiare e migliorare la città in cui viviamo. Diversamente ogni iniziativa, pure importante, rischia di essere strumentalizzata da chi in modo pregiudiziale si oppone a qualunque misura di cambiamento.

Prendiamo il caso dell’annunciato piano di creazione di nuove “Zone 30” nella città. Le Zone 30 sono autentici indicatori di qualità e civiltà urbana: eppure si sono subito levate voci di opinionisti che paventano, con le Zone 30, la paralisi del traffico cittadino. Realizzare “Zone 30” non significa piantare pali con nuovi limiti di velocità e mettere un vigile in agguato: significa modificare strutturalmente alcuni assi viabilistici pericolosi (disassamenti); gerarchizzare i canali di traffico; allontanare i flussi di attraversamento da zone residenziali e servizi di quartiere (in modo che anche il traffico privato di attraversamento scorra in modo più fluido); aumentare gli attraversamenti ciclopedonali protetti; estendere spazi e percorsi pedonalizzati; estendere la regolamentazione della sosta. Poi, alla fine, posso pure decidere di installare la nuova segnaletica, ma di fatto sono le modifiche strutturali dello spazio urbano che hanno di fatto “creato” la Zona 30.

Per realizzare Zone 30 come avviene nel resto d’Europa, non ci sono scorciatoie o furbizie: occorre sottrarre spazio fisico urbano alle auto. Se si decide di intraprendere questa strada – che richiede indubbiamente coraggio – è fondamentale avere uno strumento come il Piano urbano della Mobilità.

Un obiettivo del Piano potrebbe essere, ad esempio, programmare una serie di interventi finalizzati a liberare tre milioni di mq di suolo urbano attualmente occupati dalle auto per restituirli, in termini di vivibilità e salute, a pedoni – ciclisti – mobilità pubblica. Milano ha quasi 150.000 auto di troppo (parlo solo dei residenti), con un tasso di motorizzazione che non ha pari in Europa: 55 vetture ogni 100 abitanti (Parigi 25, Amsterdam 25, Berlino 29, Barcellona 38). Chi governa una città non decide i piani delle industrie automobilistiche; ma riorganizzando l’uso e l’accessibilità degli spazi urbani in modo diverso dal modello tradizionale (prima viene l’auto privata, poi – se avanza spazio – tutto il resto), incide concretamente sulle scelte di mobilità urbana da parte dei cittadini.

 

Enrico Fedrighini*

 

*Portavoce Comitato Promotore MilanoSiMuove



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