9 luglio 2012

UNA NUOVA URBANISTICA, E NON SOLO. PARTENDO DAI PARCHI


Si è svolto in Provincia di Milano, nella bella Sala degli Affreschi del Morazzone, la mattina di sabato 16 giugno, un convegno organizzato dall’Associazione Amici Parco Nord e dal Coordinamento SOS Parchi. L’incontro, animato da numerose associazioni parchi, ha dato un’idea della bellezza e varietà dei nostri siti naturali e però nondimeno degli attacchi inesausti che minacciano l’integrità delle nostre aree protette.

Violazioni di confini, sottrazioni di aree non di rado grandi e di pregio, mangiate dall’urbanizzazione che avanza, sconvolgenti attraversamenti di mega infrastrutture stradali, distruzione incosciente e indifferente del paesaggio, sfruttamento commerciale o pseudo turistico di antichi cascinali previe le più banali ricostruzioni degli stessi: il rosario interminabile degli scempi è sotto i nostri occhi e documentato spietatamente giorno dopo giorno dalle gazzette.

Il convegno, però, oltre che al diario di guerra degli attacchi incessanti subiti, ha dato la parola alla difesa, allo straordinario dispositivo di forze presenti sul campo, punto per punto, minaccia per minaccia, degrado per degrado, progetto per progetto: uno straordinario dispiegamento di energie, di uomini cioè che non mollano, che hanno memoria e sanno le storie, che hanno coscienza del valore del territorio, che sanno cosa vuol dire salvare le ultime aree della brughiera ticinese dall’ottuso progetto della “terza pista” della Malpensa. Progetti spesso non solo devastanti ma inutili, pozzi neri dove finiscono montagne di soldi, senza una vera e decente ragione. Cioè, come nel caso di Malpensa, progetti di espansione nati in anni lontani su presupposti che si sono rivelati totalmente sbagliati (Malpensa ha perso milioni di viaggiatori e le strutture esistenti sono esuberanti rispetto al bisogno reale), che però vengono ossessivamente riproposti.

Il mosaico delle denunce composto dalle varie associazioni: quella del Grugnotorto (Plis di oltre 800 ettari a nord di Cinisello), del Parco Sud, del Coordinamento Salviamo il Ticino e di Viva Via Gaggio (la strada di tre chilometri che attraversa la brughiera), del Comitato per il Grande Parco Forlanini, degli Amici del Milanino (la città giardino), del Parco della Brughiera Briantea, della stessa Associazione Amici Parco Nord; questo mosaico di denunce e di lotte, ma anche di proposte positive, di soluzioni alternative, si realizza sempre nel segno della partecipazione e del coinvolgimento delle cittadinanze, di altre associazioni, dei poteri locali: una geografia della democrazia operante che, sabato, vista assieme e ricomposta, ha suscitato davvero impressione. Come dire? C’è speranza, se anche questo accade nel nostro Paese; c’è speranza fino a che tiene questa spina dorsale morale delle collettività radicate sul territorio.

Una spinta ci viene dalla terra (che è matrice, madre e padre, della stessa città) e dal valore che sapremo dare al territorio. Quello lombardo è un territorio fortunato, ancorché cinicamente dissipato. In Lombardia, solo per fare un esempio, il consumo di suolo libero è sette volte quello della media nazionale, che pure non è così poco! In Lombardia ogni giorno l’orco dell’urbanizzazione fagocita circa dodici ettari di terreni liberi: calcolata in un anno, una superficie grande quanto quella dell’intera città di Brescia, sepolta dall’avanzata lavica del cemento e dell’asfalto!

Eppure questa terra di Lombardia è assai bella. E bella è Milano, la città che sta nel mezzo, in mezzo alla campagna, tra i monti a nord, le Alpi, e i monti a sud, gli Appennini, tra i fiumi, a est l’Adda e a ovest il Ticino, e in più in mezzo il Lambro, l’Olona e altri corsi ancora a solcarla e renderla fertile (le terre milanesi, soprattutto quelle della pianura irrigua, sono tra le più produttive al mondo) e accogliente. Le aree verdi e i parchi, conquistati da una comunità che negli anni con lotte e tenace lungimiranza le ha strappate alla speculazione e allo sprawl urbano, sono tante, un grande giacimento di qualità territoriale.

Il convegno è voluto partire, oltre che dalla denuncia, anche da qui, da questo patrimonio da difendere, da interconnettere e unire, preservando passaggi, varchi, corridoi ecologici.

Ma il convegno ha detto di più: ha detto una cosa nuova, spiazzante, capace di generare visioni, prospettive, progetti diversi. Nella programmazione e progettazione del territorio, nello sviluppo della stessa città, si può partire da ciò che finora città non è stata considerata, ma puro spazio di espansione, presente o futura, della città. Invece, si può partire dalle aree verdi, che non sono solo isole felici da salvare o, da un’opposta prospettiva, vuoti in attesa di essere finalmente e diversamente colmati.

Il periodo che abbiamo alle spalle, in cui i parchi sono stati appunto concepiti e difesi come isole felici, è anche il periodo in cui il resto, cioè l’assieme del territorio, è stato dissipato con noncuranza, sfruttato, violato, mutilato. La storia degli ultimi decenni, se da una parte è storia di una grande comunità che strappa come figli ampi spazi alla furia devastatrice e colonizzatrice dell’urbanizzazione spesso speculativa, pure non è riuscita a imporre una cultura complessiva più pensosa ed equilibrata dell’uso del territorio. I parchi insomma sono stati vissuti come eccezioni a una regola ben diversa, che ha portato a processi di degrado e a mutamenti entropici irreversibili.

Occorre quindi che avanzi una nuova cultura, consapevole del rischio che corriamo di segare il ramo su cui siamo seduti. Una svolta è possibile. Forze nuove stanno emergendo, vedi tutto il fermento e il brulichio di iniziative, di gruppi, di culture che girano attorno all’idea (e alla pratica) dell’agricoltura periurbana o ai movimenti territorialisti. La crisi da questo punto di vista può essere un acceleratore di cambiamenti che, pur generandosi nel profondo della coscienza della società, sono maieuticamente messi in luce e sollecitati dai nodi che la crisi rivela.

Bene, questo è il pensiero nuovo emerso: quello che c’è di ecocompatibile, ecosostenibile, di natura che ha resistito, di bellezza e di salute, oppure di storia e di cultura, questa tenace infrastruttura di intelligenza e di sentimento, può reggere ancora ed essere leva di un cambiamento diverso. Questa intelaiatura può sorreggerci in un vero e proprio passaggio di civiltà.

Guardare le cose da questo angolo visuale, ci schiude intanto una dimensione ampia che è naturalmente, oggettivamente, metropolitana; scavalcando confini e campanili ci mostra la nervatura forte della grande metropoli che esiste nonostante tutto, nonostante il territorio sia stato gestito in modo brado, a brandelli, frammentato. I parchi, soprattutto se collegati, i fiumi, nonostante si sia cercato di trasformarli in canali di scolo, parlano i segni della continuità, dell’unità del territorio, impongono i loro caratteri del tempo lungo e degli spazi aperti.

Si può fare nuova urbanistica, una nuova politica del territorio, partendo da questi finora testimoni muti della insensatezza, ma ora, speriamo, di riconquistata misura. Si può.

Si può fare nuova economia, per esempio con una agricoltura sottratta ai mercati globali, alle produzioni standardizzate (sempre e solo riso e mais), per avviare un processo di diversificazione colturale, di produzioni di qualità, di mercati di prossimità, di abitudini alimentari più sani, di commerci più equi per tutti, agricoltori e fruitori. Insomma, si può fare molto e soprattutto impedire che si continui come se le risorse naturali fossero infinite e come se noi non fossimo anche noi natura. Evitiamo che questo malinteso e questa hybris ci condannino a una vita profondamente insoddisfatta, risarcita e riempita da banali consumi.

 

Arturo Calaminici

 



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