9 luglio 2012

ARANCIONE SOLO LA TONACA DEL DALAI LAMA


“Rho-Pero val bene una messa?” e “quante divisioni ha il Dalai Lama?”. I grandi interrogativi della storia riaffiorano in salsa meneghina a proposito della mancata cittadinanza onoraria per il sant’uomo, peraltro unanimemente rispettato e riverito. La “ragion di stato” ha dunque prevalso a dispetto del fatto che a doverla subire non è tanto lo Stato quanto una Città che, in una repubblica costituzionale e in un paese di antica tradizione comunale, dovrebbe vantare una prerogativa di autonomia e libera scelta. Oppure è la resa al “dispotismo orientale” centralistico e autoritario, nel caso paradossalmente garante di un turbo-capitalismo senza regole sotto le mentite spoglie di ideologie ugualitarie e rivoluzionarie.

Eppure proprio nel pieno della guerra fredda era stato il sindaco di una città come Firenze, Giorgio La Pira, a rompere la disciplina statale che subordinava nazioni e popoli all’appartenenza ai blocchi, divisi dalla cortina di ferro, per fondare la “federazione mondiale delle città unite” che comprendeva Filadelfia e Kiev, Kyoto e Fez. Rovesciare la logica verticistica delle grandi potenze per ripartire dalle città e dai cittadini segnò una breve ma significativa stagione di conciliazione e di pace, alternativa alla rigidità dei “sistemi” politico-economici contrapposti. Durò poco ma la felice intuizione di far giocare un ruolo attivo e positivo alle città anche sugli ampi lidi della politica internazionale non dovrebbe andare perduta. Neppure in una situazione globale completamente mutata, nella quale le offensive e le occupazioni non avvengono più fortunatamente con i missili e le portaerei ma, con altrettanta potenza e arroganza, con i movimenti finanziari e monetari.

E il nostro Sindaco gentile, che uno spiraglio di novità e promessa di cambiamento aveva pur aperto con l’inopinata vittoria “arancione” del 2011? Intanto pare trascinarsi la vicenda Expo come una palla al piede, ereditata dagli epigoni della “Milano da bere” Letizia e Filippo brindanti a champagne dopo la disfatta di Smirne. Un peso da condividere in scomoda coabitazione col traballante Formigoni, e da trascinarsi a strappi e tentoni tra complicate procedure e incerti finanziamenti da un lato e spericolate scorciatoie emergenziali/commissariali dall’altro. A tardiva dimostrazione che la stagione delle Grandi Opere e dei Grandi Eventi si è esaurita, come sancito saggiamente dal presidente Monti a proposito delle ventilate olimpiadi di Roma. Sempre ammesso che tale stagione abbia portato benefici: a Milano sono stati proprio i campionati di calcio del 1990 a dare la stura alla deregulation urbanistica più spinta nonché alla installazione di orridi e incompiuti ecomostri.

Trascorso un anno dall'”arcobaleno” è peraltro il caso di trarre un primo bilancio della nuova Amministrazione, che non può dirsi nel complesso lusinghiero. I segnali di discontinuità rispetto alla ventennale egemonia del centro destra appaiono deboli e incerti. Sui temi più importanti e scottanti (PGT ed Expo innanzitutto) hanno piuttosto prevalso, sotto la crosta di rituali schermaglie verbali, elementi di sostanziale continuità. Sulle tematiche finanziarie e di bilancio si profila la tendenza a “rimediare” senza aggredire i fondamentali. Ad esempio si è accertato un “buco” milionario ereditato: ma come è possibile che si sia formato all’insaputa di funzionari responsabili, revisori dei conti, controllo dell’opposizione? Non è forse che, in assenza di decentramento dei centri di spesa in autonome Municipalità e di coordinamento metropolitano, il mega-bilancio allargato sia per sua natura incontrollabile e ingestibile a dispetto del pur lodevole zelo dell’Assessore addetto?

Per non parlare della madre di tutte le riforme, riguardante lo stesso fondamento democratico dell’ordinamento istituzionale e amministrativo. Qui il silenzio è assordante. La Città di Milano, anche se priva di poteri normativi diretti, non può astenersi da un forte ruolo politico propositivo su argomenti decisivi: dal superamento del centralismo regionale (segnatamente in materia sanitaria) al destino delle province, dal governo dell’area metropolitana all’effettivo decentramento della megalopoli.

Al riguardo aveva suscitato buone speranze la nomina di un’Assessore dedicata a tali delicate ma essenziali materie, per altro – a differenza di altri colleghi e colleghe – ben navigata in molteplici esperienze politiche e istituzionali. Ma si attende ancora una decisa proposta e iniziativa in materia, al di là dei rituali convegni – passerella estivi (il workshop del 29 giugno in Sala Alessi, comunque utile sotto il profilo conoscitivo, ha evidenziato che riguardo il decentramento amministrativo Milano è in estremo ritardo rispetto alle altre maggiori città italiane!). Non giova allora lamentarsi circa il “patto di stabilità” e l’assegnazione dell’IMU se non si ha il coraggio di sostenere una decisa bonifica dell’assetto istituzionale locale e una coerente razionalizzazione dei centri di decisione e di spesa. Oppure si vogliono lasciare tali decisioni ai tagli, inevitabilmente “lineari”, del governo centrale? L’incombere della crisi non lascia margini per ulteriori rinvii ed inerzie.

 

Valentino Ballabio

 



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