2 luglio 2012

IL CENTRO SINISTRA TRA CLAN FAMILISMO E CERCHIO MAGICO


Le vicende familistiche della Lega, che ne hanno iniziato fortunatamente il processo di degrado e dissoluzione, meritano un approfondimento sul ruolo del clan all’interno dei partiti. Questo ci permetterebbe di comprendere il motivo della stagnazione delle classi dirigenti, a prescindere dall’età anagrafica.

Più di mezzo secolo fa fu pubblicato il famoso testo di Edward Banfield, esponente autorevole del pensiero conservatore americano, The Moral Basis of a Backward Society, sui suoi studi compiuti a Chiaromonte, una comunità della Basilicata, nel quale cerca di comprendere alcune delle cause della modernizzazione diseguale della società italiana, grazie al concetto, divenuto famoso, del familismo amorale.

Si tratta di un atteggiamento che è ispirato alla regola del massimizzare i vantaggi materiali e immediati della famiglia d’origine, supponendo che tutti gli altri si comportino allo stesso modo, e che quindi è contrario al senso civico e completamente privo di fiducia nella collettività.

Questo comportamento possiamo dire che è il tratto unificante del nostro paese, i leghisti hanno provato a dire che loro erano diversi, ma alla prova dei fatti, nulla di più falso. Anzi in maniera abnorme il clan si è trasformato in partito, il cosiddetto “cerchio magico”. I dirigenti che non si adeguavano venivano emarginati, i soldi pubblici distribuiti solo a pochi, i figli promossi a posizioni di potere senza alcuna esperienza o titolo di merito.

Forse nel nostro sistema economico e politico sopravvivono dei comportamenti che hanno origine nella nostra storia medievale. Un libro di Jacques Heers, Il Clan Familiare nel Medio Evo, spiegherebbe perché certi comportamenti siano caratteristici di tutto il nostro paese. Infatti nel testo è analizzata la situazione italiana dai cantoni montani della Alpi al Sud. “Lungo tutto il medioevo la carenza dell’autorità centrale del sovrano o del potere dell’amministrazione comunale nella città provoca la formazione di gruppi sociali naturali o artificiali”, sembra la situazione odierna.

Nella storia d’Europa, l’autorità del principe riuscì a limitare questa realtà con la nascita dei grandi regni, in Italia no. La storiografia marxista, che ha sempre visto lo sviluppo umano, come storia di lotta di classi, ha sottovalutato questi aspetti, tant’è vero che li ritroviamo in vari ambiti nazionali, dall’impresa, ai partiti, Grillo incluso. Non sempre si riesce a sfuggire al proprio passato.

Il concetto di clan si è evoluto, quello che una volta era strettamente parentale ora si sviluppa attraverso nuove forme. Ad esempio i compagni di scuola, d’oratorio, ecc.. nella politica, le lobby in senso negativo nella società: notai, tassisti, farmacisti. Quello che gli conferisce una caratteristica riprovevole è la totale assenza del concetto di merito e competenza, sostituito da fedeltà e affidabilità (in funzione non positiva).

Attualmente nel centrosinistra non è molto diverso, in assenza di congressi, e con solo le primarie, quando non sono plebiscitarie ma con una reale competizione, come elemento di partecipazione, la selezione delle classi dirigenti avviene per cooptazione, le correnti si trasformano in clan e il ricambio, anche quando è anagrafico, è sempre all’interno di questa logica. Visto che comportamenti di questo tipo è impossibile limitarli, almeno li si potrebbero regolamentare, ad esempio rendendo pubblico chi è lo sponsor di un giovane dirigente, oppure facendo in modo che figli, famigli, mogli e/o mariti di leader si cerchino i voti almeno in un’altra provincia, come si fa tra i Carabinieri, o come si praticava forse nel vecchio PCI.

Quest’ultima battuta può sembrare provocatoria, ma nascondere la realtà di certe dinamiche umane, come si è fatto nel secolo scorso nei partiti fortemente ideologizzati, può solo nuocere alla trasparenza e alla credibilità.

 

Massimo Cingolani

 

 



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