2 luglio 2012

Scrivono vari 04.07.2012


 

Scrive Gianluca Bozzia a Ilaria Li Vigni e Barbara Mapelli – La scarsissima percentuale di insegnanti maschi, per limitarsi alla professione educativa nelle scuole, è una tendenza che ha avuto inizio tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta per motivi anche economici che rispecchiavano l’organizzazione familiare ancora prevalente a quell’epoca in Italia: la donna guadagna meno ma ha tempo per la cura della famiglia e svolge una professione in linea con questa identità educativa. Oggi ci sono meno famiglie, c’è meno cura e ci sono diverse aspirazioni professionali, anche da parte delle donne, ma la tendenza rimane per inerzia e per la rigidità del mondo del lavoro. La questione si risolve non appena gli uomini si renderanno conto di cosa si stanno perdendo e reclameranno di avere almeno il 30% di posti riservati nella scuola. Appena gli uomini si accorgono che si possono guadagnare tra i 1.000 e i 2.000 euro, netti, con la relativa certezza di un contratto pubblico da dipendente, pochissimi controlli sulla qualità del servizio erogato, almeno 12 settimane di vacanze effettive (una parte di giugno, luglio, agosto, una settimana a Pasqua e due a Natale), e 40 ore scarse di lavoro a settimana (20 pesantissime ore di aula e 20 per preparare la didattica, valutare le verifiche, approfondire alcuni temi e coordinarsi con i colleghi), torneremo ad avere figure maschili, almeno nell’educazione pubblica.

 

Scrive Giuseppe Spina a Barbara Mapelli – Analisi correttissima che condivido, ma la realtà e che almeno qui in Abruzzo dove vivo io, nonostante il mio curriculum, a detta di tutti molto ricco, la risposta è sempre la stessa: “non abbiamo possibilità di offrirle lavoro”!

 

Scrive Marco Maria a Sergio Violante – Perchè l’aperitivo in piazza Affari solo fino al 4 luglio? Dovrebbe durare tutta l’estate.

 

Scrive Gemma Martignoni a Paolo Viola – Leggo sempre molto volentieri le sue recensioni sui concerti di musica classica e la ringrazio per le sue parole che esprime in merito all’Orchestra Verdi. Domenica sono andata anch’io all’Auditorium apposta per sentire la bellissima musica di quel grande compositore: Čaijkovskij. Concordo con lei sulla bravura del giovanissimo Sergey Dogadin e sui suoi appunti sulla direzione della Direttrice Zhang Xian. Nel sentire la Sinfonia n. 5 ho rivissuto i momenti iniziali della Verdi, quando il Maestro Delman “insegnava” ai nostri ragazzi questa Sinfonia.. Le sue parole, il farli entrare nel pathos della musica. Io ero presente e le assicuro che sono stati momenti che non dimenticherò.. Ha ragione quando dice che é necessario capire ed entrare nell’animo del compositore per riuscire a fare eseguire queste Sinfonie. I maestri Muti e Chailly ci avevano regalato questa emozione! Cosa ne pensa dell’esperimento fatto all’Imperial College di Londra, dove i ricercatori hanno voluto farci credere che basta fare una macedonia di suoni per fare venire fuori della musica?

 

Replica Paolo Viola – Gentile Signora, la ringrazio delle sue cortesi parole. Purtroppo non sono stato un estimatore di Delman e lo sono ancor meno di Muti (anche se credo che con gli anni, poco a poco, nonostante la sua innata noiosità, stia maturando musicalmente). Mentre sono dell’opinione che la Verdi sia stata “formata” prima da Giulini (anche lui un direttore maturato in tarda età) e poi da Riccardo Chailly (che non è bravo in tutto, ma è certamente bravo in tante cose).

Oggi sarebbe bello che venisse valorizzato il giovane Jader Bignamini, che credo abbia un talento straordinario così come lo aveva Noseda (che purtroppo ce lo siamo lasciati scappare).

Per quanto riguarda i ricercatori dell’Imperial College posso solo segnalarle un pensiero di cui purtroppo non ricordo l’autore (Adorno?): “la musica è una accozzaglia di suoni che rimangono tali fino a quando non trovano l’orecchio che sappia ascoltarli”.

 



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