C’ERA UNA VOLTA IN ANATOLIA

di Nuri Bilge Ceylan [Bir zamanlar Anadolu’da, Turchia, 2011, 150′]

con Yilmaz Erdogan, Taner Birsel, Ahmet Muntaz Taylan, Muhammet Uzumer, Firat Tanis

 

Sullo sfondo di un tramonto fiammeggiante, tre automobili stanno percorrendo lentamente una strada tortuosa, unico intervento dell’uomo in un paesaggio arido e desolante. Nuri Bilge Ceylan, regista di C’era una volta in Anatolia, ci chiede di salire su una delle auto, quella in cui il presunto assassino, dal volto imperscrutabile e cinereo, è guardato a vista dal procuratore, dal comandante della polizia e dal medico legale dall’aria spaesata e confusa.

Il colpevole del delitto ha confessato da parecchie ore ma, nell’oscurità che rende questi luoghi così difficili da riconoscere, gli inquirenti sono costretti a compiere un viaggio estenuante al termine della notte per risolvere il caso. In un’opera divisa invisibilmente in tre atti, le crepe nell’animo dei tre compagni di viaggio dell’assassino si rivelano singolarmente.

La loquacità ridondante del commissario e la sua aggressività nascondono il dolore di un figlio malato e di una situazione familiare dolorosa e destabilizzante. Il procuratore nasconde i sospetti sul suicidio della moglie dietro uno sguardo frivolo che guarda fisso di fronte alla macchina da presa. Si aggiusta la folta chioma, non ancora canuta, compiacendosi di essere stato paragonato a Clark Gable. La donna, tuttavia, con quest’atto tragico e irreversibile ha scelto di colpevolizzare il marito fedifrago e assente evidenziando tutta l’ambiguità di un personaggio che dovrebbe rappresentare giustizia e rettitudine.

Chiude questa trilogia di indagine esistenziale sul gruppo di inquirenti il medico che fino all’ultimo appare come un alter ego dello spettatore nel racconto. L’uomo assiste all’apertura del corpo della vittima durante l’autopsia e, in una lunga metafora, sembra vedere sviscerate, nello stesso momento, tutte le sue inquietudini e i suoi contrasti interiori.

In questo poliziesco atipico, non è la scoperta del corpo del delitto ad attirare la nostra attenzione ma l’insicurezza della polizia, della legge e della scienza che sembrano ancora perse nella notte senza luci dell’Anatolia.

Marco Santarpia

In sala a Milano: Eliseo, Anteo.

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Schipani e Marco Santarpia

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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