26 marzo 2009

L’INUTILE GUERRA TRA ECOLOGIA ED ECONOMIA


La verifica della sostenibilità ecologica e ambientale è ormai un passaggio obbligato per qualsiasi iniziativa d’interesse pubblico. A questa non si può sottrarre il cosiddetto Piano-Casa, ormai fatto proprio da alcune Regioni e di prossima approvazione in Parlamento.
Dimentichiamo spesso che i termini ecologia ed economia hanno la stessa radice, e il loro significato in origine era strettamente correlato: il primo sintetizzava le qualità dell’ambiente che ci siamo costruiti, il secondo ne misurava le quantità. Ma ambedue i concetti erano inscritti in una visione che attribuiva al nostro ambiente un equilibrio complesso, dotato di un proprio ordine (eco-logia) e di una giusta misura (eco-nomia) che era vitale conoscere e rispettare.

Questo legame tra economia ed ecologia si è perso quasi completamente, troppo pochi lo difendono, mentre l’ambiente è visto oggi globalmente come una cornucopia inesauribile (e se non lo è peggio per le generazioni future) di beni da sfruttare, e l’economia è diventata il mezzo per sfruttarli il più intensamente possibile. Per lo meno questa è l’ottica più diffusa, che vede con terrore ogni calo di produzione e con fastidio ogni richiamo a un maggiore rispetto per l’equilibrio della natura e per le generazioni future.
Su questa visione limitata sembra essere stato confezionato con scarsa ponderazione il recente provvedimento dell’attuale Governo sulla casa. Come in tutte le cose fatte in fretta, alcune delle intenzioni magari sono buone (lo è ad esempio il progetto d’investimento nell’edilizia economica) ma alcuni dei suoi contenuti tradiscono la pericolosa mancanza di una visione intelligente e responsabile dell’ambiente in generale, e della gestione degli insediamenti umani in particolare.

Non entro nel merito delle molte valutazioni finanziarie, mi soffermo invece su due punti precisi del provvedimento, quello che consente l’aumento del 20 -30-35% secondo i casi delle volumetrie edilizie esistenti, e quello che per promuovere la ripresa delle attività edilizia sottrae di fatto alle amministrazioni locali il potere di controllo sull’uso del territorio.
Stiamo invitando tutti a ridurre lo spreco di energia, consapevoli finalmente di quante risorse si consumano per produrla. Stiamo faticosamente cercando di riequilibrare un mercato edilizio incapace di autoregolarsi, che ha riempito le città di palazzi per uffici semivuoti e infestato splendidi ambienti naturali di casette per vacanze, vuote per tre quarti dell’anno. Stiamo scoprendo che i consumi inutili danneggiano l’ambiente.
Ed ecco un piano-casa che ignora e contraddice tutto ciò e torna indietro di 50 anni. Questo perché il settore produttivo dell’edilizia è tra quelli che comportano il maggior consumo energetico, ed il patrimonio edilizio esistente ne è la quota più significativa. Un aumento anche solo del 10% delle volumetrie edilizie esistenti comporterà un aumento dei consumi di energia (per costruire, illuminare, riscaldare) tale da azzerare qualsiasi risparmio energetico conseguito negli ultimi anni. A quel punto è addirittura comica l’idea di regalare il 5% di volumetria in più a che fa interventi di bioedilizia, perché il risparmio che ne deriverebbe sarebbe assorbito dal prodotto stesso.

Dunque con l’approvazione di questo provvedimento stiamo affossando dieci anni di politica energetica. Tutto ciò potrebbe avere un senso se così si risolvesse il problema della casa per chi non può oggi permettersi un’abitazione dignitosa. Ma quest’aumento di volumetria, e il consumo di risorse che ne deriva, a cosa e a chi servirà? Com’è ormai chiaro questo regalo di volumetria non è fatto per rispondere a una domanda sociale, giacché lo stesso provvedimento prevede un programma di edilizia sociale separato e specifico.

Ampliare una casa esistente può solo far vivere in modo più confortevole chi la casa ce l’ha già. O può consentire di frazionare e ricavare locali da affittare a prezzi di mercato. Non serve certo a chi la casa non ce l’ha perché non può pagarsi l’affitto o non può comprarla. Non a chi la casa ce l’ha ma non ha i soldi da investire nell’ampliamento.
Qual è allora la priorità che giustifica tutto ciò?La verità è che ancora una volta i beni che sembra sia così vitale produrre (edifici, ma anche elettrodomestici, automobili, arredamento) rispondono a bisogni tutt’altro che vitali, senza soddisfare i quali sembra che il nostro sistema economico-finanziario non stia in piedi.

Una considerazione speciale merita poi l’idea di “snellire” l’iter burocratico di approvazione dei progetti. Già oggi le nostre città soffrono per l’iniqua facoltà concessa di trasformare soffitte e sottotetti in abitazioni, favorendo la speculazione e aumentando la densità di popolazione in aree urbane già sature. Molte sono comunque già ora le opere che per essere realizzate comportano nulla più che una semplice documentazione e un’attesa modesta (la cosiddetta DIA). Cos’altro si vuole “snellire”? Il problema sono i tempi di approvazione? Si lavori per aumentare l’efficienza delle commissioni edilizie, o si aumenti l’organico preposto al controllo. Il problema unico e vero non è costruire, è dare lavoro a chi non ce l’ha.

E’ essenziale che gli enti locali tengano sotto controllo la densità edilizia: ormai dovremmo conoscere bene gli effetti che un’eccessiva densità edilizia ha su inquinamento, traffico, conflittualità urbana, così difficili da contrastare. Aumentare gli insediamenti esistenti del 20% significa aumentare di altrettanto tutti questi parametri negativi.
Il controllo su dimensione e destinazione d’insediamenti permanenti che trasformano definitivamente le modalità d’uso del territorio, villette, condomini, fabbriche o quant’altro, soprattutto in un paese sovraffollato e già devastato dalla speculazione come il nostro, deve restare saldamente e senza falle e cedimenti nelle mani di chi governa l’uso del territorio.

La crisi nella quale ci troviamo dimostra ampiamente quali disastri il capitalismo finanziario è in grado di provocare se privo di argini. Svendere il controllo sull’uso del territorio per un piatto di lenticchie, per fare un favore a categorie sociali già privilegiate, è un atto irresponsabile. Ma non è giusto criticare senza proporre alternative, e di alternative per evitare la povertà ce ne sono, senza restare inchiodati all’idea che per stare meglio bisogna produrre e consumare di più.
Il nostro paese, che pensiamo sia povero di risorse, ne possiede un’immensa, versatile, rinnovabile, di buona qualità e male utilizzata: si chiama forza lavoro. Risorsa che non necessariamente serve solo a trasformare la materia in qualcos’altro. Può servire a garantire e migliorare la qualità, ad accudire chi ne avrebbe bisogno, a controllare gli abusi, a mantenere il patrimonio comune. A che serve produrre più lavatrici quando la gente non ha intenzione di comprarle, trascurando l’immenso patrimonio storico-artistico del nostro paese che per essere restaurato e curato richiede lo stesso tipo di lavoro edile che si vuol stimolare, e che se meglio curato potrebbe produrre più ricchezza di cento industrie?Si vuole invece agire a tutti i costi sul settore edilizio privato? Senza bisogno di scatenare la speculazione sulle volumetrie, basta rendere interamente deducibili dal reddito i costi di manutenzione edilizia, mano d’opera compresa. Si può dimezzare l’Iva sui materiali di bioedilizia o destinati al risparmio energetico, per un periodo
limitato. Si possono incoraggiare gli interventi di recupero di volumetrie esistenti ma inutilizzate da destinare a edilizia sociale. Il minor gettito fiscale sarebbe stracompensato dall’emersione di redditi in nero e dall’incremento produttivo.

Per favore smettiamola di pensare di risolvere la crisi mettendo le due sorelle che garantiscono la qualità del nostro ambiente, economia ed ecologia, l’una contro l’altra.

Giorgio Origlia
membro dell’Istituto nazionale di bioarchitettura



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