26 marzo 2009

EXPO 2015 CAVALLO DI TROIA DELLA ‘NDRANGHETA?


In occasione del secondo incontro dedicato dall’Ordine degli Architetti alle recenti esperienze di Expo, era sembrato che quella di Hannover del 2000 non offrisse spunti utili a ritornare sull’argomento rispetto a quanto avevo già detto commentando il caso di Lisbona.

Infatti si è avuta la piena conferma dell’assurdità di voler continuare a proporre una formula basata sulla realizzazione di un insediamento destinato a ospitare i padiglioni nazionali. L’autore del piano, lo svizzero Michele Arnaboldi, ha messo in evidenza tutte le incongruenze di una manifestazione che poteva avere ancora un significato nel secolo scorso ma che nella formula che il BIE pretende di perpetuare non ha più nessun senso. Anche nel caso di Hannover, per quanto interessante fosse il progetto originario e per quante attenzioni i progettisti possano aver posto nel definire l’intervento, il progetto vincitore del concorso, che nella concreta attuazione è poi passato allo studio Speer. – si proprio quello studio Speer! – è stato completamente snaturato. Ma a differenza di quanto si pretende di fare a Milano, l’amministrazione della città tedesca ha avuto almeno il merito di aver recuperato un’area già urbanizzata occupata in precedenza dalla fiera e quindi senza ulteriore spreco di territorio agricolo, oltre ad aver ottenuto dal BIE di poter utilizzare alcuni capannoni esistenti. Anche in questo caso comunque, dopo nove anni ci sono ancora otto padiglioni che furono realizzati appositamente di cui il bel servizio fotografico di Claudio Gobbi ha documentato la patetica e surreale condizione di ruderi in un contesto totalmente privo di qualità urbana. Ciò è quanto resta in eredità dalla faraonica manifestazione che aveva fatto conto su 54 milioni di visitatori e ne ha avuti solo 17, mandando a gambe all’aria il budget dell’evento.

Lo stesso Arnaboldi ha raccomandato a non ripetere la medesima fallimentare esperienza anche tenendo conto delle numerose e consistenti attrezzature e grandi contenitori di cui Milano dispone per ospitare adeguatamente la manifestazione senza dover ricorrere ad un nuovo apposito insediamento.

Ma nel frattempo si è verificato un fatto della massima gravità, che non ritengo possa essere passato sotto silenzio. Sulla Repubblica del 18 marzo è apparso un articolo di Davide Carlucci dal titolo “Milano nel mirino delle mafie dalla ‘ndrangheta ai russi tutti sul business dell’Expo” che rende di dominio pubblico una questione che viene sempre affrontata con grande reticenza come se ritrattasse di un tabù, come se Milano potesse essere esente dal fenomeno della criminalità organizzata. Invece Milano viene definita “capitale della ‘ndrangheta, il luogo dove l’organizzazione criminale calabrese sta realizzando la sua nuova strategia: cooperare con tutte le altre mafie, sia italiane che straniere per mettere le mani su due grandi business, narcotraffico e opere pubbliche. A cominciare dall’Expo 2015, ma senza trascurare le infrastrutture e l’alta velocità”. Anche volendo fare la tara al sensazionalismo giornalistico, ciò è nella sostanza quanto emerge dall’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia dove si segnala come gli appetiti delle ‘ndrine sulla futura esposizione universale scateni “interessi maggiori di quelli ipotizzabili per il ponte sullo stretto di Messina” e quanto sarebbe grave se “si determinasse una sorta di assuefazione… alla convivenza con il fenomeno mafioso…”.

Nel mio precedente intervento a commento dell’incontro del 19 febbraio presso l’Ordine degli Architetti dedicato all’Expo di Lisbona, avevo indicato che una strategia che evitasse la concentrazione degli interventi all’interno di un nuovo insediamento a favore di una loro diffusione avrebbe consentito di “ottenere una grande partecipazione dei privati e una diffusa e diversificata presenza di operatori, ridimensionando gli interessi forti legati ai grandi interventi edilizi”.

Non avevo assolutamente ipotizzato che tra gli interessi forti si potessero annoverare anche quelli della criminalità organizzata. Alludevo semplicemente, e ora devo riconoscerlo anche molto ingenuamente, agli interessi immobiliari rappresentati dai soliti noti – i Cabassi, i Ligresti, Euromilano (vedi Legacoop e Intesa s. Paolo), Fondazione Fiera Milano (vedi CL) per non far nomi- che prima si avvantaggiano attraverso la valorizzazione dei terreni agricoli di loro proprietà con la modifica delle destinazioni d’uso e dopo attraverso l’acquisizione delle opere di urbanizzazione eseguite con denaro pubblico che saranno a loro esclusivo vantaggio nel momento in cui torneranno in possesso dei terreni dati in concessione per la realizzazione dell’Expo.

Nei rischi d’infiltrazione mafiosa, che dalla relazione della Direzione nazionale antimafia sembrano certezze più che rischi, ravviserei l’unica sostanziale, imprescindibile motivazione per rinunciare alla manifestazione. A meno che si metta in atto una concreta ed efficiente azione di contrasto. Infatti non credo che si debba sottostare al ricatto della criminalità organizzata al punto da rinunciare all’Expo. Ciò cui ci si dovrebbe assuefare non è la “coabitazione favorita da una maggiore predisposizione degli ambienti amministrativi, economici, e finanziari ad avvalersi dei rapporti che s’instaureranno con l’ambiente criminale”, ma semmai a rinnovare a ogni livello e in ogni situazione l’azione di contrasto e presidio politico sociale nei confronti dei fenomeni d’infiltrazione della criminalità organizzata nella nostra vita economica. Ciò anche per la consapevolezza che una volta insediata e radicata nei gangli della nostra organizzazione sociale il cancro non potrà essere estirpato e si diffonderà e nutrirà contaminando quei processi di crescita ipotizzati dal nuovo Piano di Governo del Territorio, tanto spavaldamente quanto acriticamente, prefigurati dall’assessore Masseroli.

Possiamo immaginare cosa sia avvenuto nell’anno trascorso invano: mentre le istituzioni di governo locale si combattevano tra loro e con il ministro Tremonti per conquistare il controllo della manifestazione e dei finanziamenti, la camorra ne approfittava per organizzare e coordinare le varie mafie, sia italiane sia straniere, per mettere le mani sul grande business. Il recente articolo di Gianni Barbacetto apparso sul Venerdì di Repubblica del 20 marzo, mentre illustra i molti rischi che minano alla base le prospettive di successo dell’evento, segnala la gravità del fenomeno dedicando almeno un breve cenno ai boss della ‘ndrangheta che secondo l’ultima inchiesta si incontrerebbero con i politici locali. Ma stampa e televisione, a parte la notizia dell’arresto di 22 esponenti dell’organizzazione criminale avvenuta il 17 marzo, mantengono sull’argomento un assordante silenzio. Mentre se non ci sarà un’adeguata sensibilizzazione riguardo alla persistente gravità della situazione non soltanto a livello della magistratura, ma anche a livello più generale come a Napoli con la manifestazione organizzata da don Ciotti, tutte le opportunità e i vantaggi economici e di riorganizzazione territoriale che il grande evento dovrebbe riservarci saranno totalmente vanificati. Altro che trasparenza, sicurezza nei cantieri, lotta al caporalato e al lavoro nero, regolarità delle gare e degli appalti! Ci sarà anche da noi in bagno di sangue e non solo in senso metaforico. Ma quali positive ricadute anche di carattere culturale ci potremo aspettare se Milano non saprà offrire ai visitatori, che verranno a vedere l’Expo anche da quegli stessi paesi da cui provengono molti degli immigrati extracomunitari, la dimostrazione di aver saputo accoglierli in un sistema sociale che, integrandoli, sappia al contempo rispettare e dare adeguato spazio alle loro culture originarie, attuando un esempio di sostenibilità sociale multietnica e multiculturale.

Daremo invece la dimostrazione di aver delegato alla ‘ndrangheta il controllo sociale delle minoranze attraverso il loro inserimento nella criminalità organizzata. Figuriamoci che persino la delibera votata all’unanimità per costituire una Commissione comunale antimafia sull’Expo è stata vanificata per questioni di competenza dalle riserve del prefetto Lombardi.

Paradossalmente mentre le esposizioni universali sono state fondate per promuovere il progresso tecnologico, economico e sociale e hanno anche fatto da occasione storica per promuovere l’organizzazione internazionale dei lavoratori con la costituzione nel 1864 della Prima Internazionale, l’Expo 2015 potrà invece servire a rafforzare ancora di più le complicità a scala planetaria della criminalità organizzata.

Passando a considerare le quantità in gioco, quelle che farebbero soprattutto gola alle organizzazioni criminali, ci sono più di tre miliardi di euro da investire per il nuovo insediamento e per le sole infrastrutture di trasporto e connessione necessarie per renderlo accessibile.

Se queste risorse fossero invece utilizzate per intervenire sul patrimonio esistente e per adeguare i grandi contenitori già disponibili alle necessità dei 120 paesi espositori, essi sarebbero indotti a non proporre e realizzare padiglioni nazionali con assurde fogge architettoniche ma sarebbero invece incoraggiati alla migliore presentazione dei contenuti cercando di trovare soluzioni che non consentano solo di conoscere ma anche di sperimentare concretamente le pratiche della produzione e della preparazione e del consumo del cibo.

Inoltre non si tratterebbe di assegnare poche grandi commesse ma di attivare una miriade d’interventi di piccole e medie dimensioni che per loro stessa natura si sottrarrebbero nella stragrande maggioranza all’infiltrazione delle cosche che, a Milano e in Lombardia non sembra abbiano ancora assunto un controllo generalizzato e capillare del territorio come avviene in alcune regioni del sud.

Non vorrei che il più cospicuo e duraturo risultato dell’Expo 2015 possa essere di aver consegnato Milano alla criminalità organizzata, diventando il cavallo di Troia per sbaragliare le ultime difese democratiche di quella che, già oggi, non si può forse più considerare la capitale morale del paese.

Emilio Battisti



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