26 marzo 2009

GLI ANNI “EDISON” DI ERMANNO OLMI


Una volta la formazione di un ragazzo ed anche la sua “iniziazione” alla vita cominciava dal primo lavoro.

E’ stato così anche per Ermanno Olmi (classe 1931) che spiega “La mia formazione in una vera azienda è stata alla base del mio rapporto con il cinema, perché il cinema è anche tutto questo: il lavoro, la famiglia, è un atto religioso dell’uomo, l’affermazione della sua fiducia nella vita.”

Il primo impiego di Olmi è stato alla Edison-Volta , prima impiegato e poi a girare cortometraggi aziendali, documentari che proiettavano nelle scuole o tra un film e l’altro nelle sale cinematografiche (quando c’erano le attese e l’intervallo…).

La Feltrinelli (nella collana “Realcinema”, dvd+ libro) ha fatto opera meritoria pubblicando “Gli anni Edison” a cura di Benedetta Tobagi , filmati dal 1954-58 del “ragazzo” Olmi e scritti di Olmi stesso e Kezich, Aprà, Tuffetti,.. e anche “Racconti della Bovisa” di Testori e altri, rendendo così accessibili a tutti alcune “chicche” finora viste solo in rassegne cinefile specializzate e rare.

Sono storie in cui protagonisti sono gli uomini che lavorano in gruppo.

Uomini che costruiscono “il progresso” in mezzo a condizioni durissime, passando a fianco a un mondo contadino e montanaro di cui sono figli (come il bergamasco Olmi…).

Non c’è la solita apologia aziendale.

Non c’è retorica.

C’è la vita degli uomini in mezzo ad una natura imponente (la val Formazza di “La pattuglia di passo San Giacomo”,per esempio).

C’è la centralità del lavoro, con il suo spessore di fatica, di rischio, di pane e vino da condividere per tirare avanti.

C’è anche l’avviamento al lavoro della scuola aziendale post-elementare di “Michelino I B” (sceneggiatura scritta insieme a Goffredo Parise),il ragazzo che viene dal mare e a cui viene indicata con chiarezza la strada per diventare “operaio elettricista” studiando in convitto a Milano ,lontano dalle sue barche,ma vicino a tanti ragazzi come lui.

E c’è “il pensionato” del gasometro della Bovisa che non resiste all’idea di aiutare altri giovani operai che provano a metter su la loro “fabbrichetta” (in questo caso una tipografia…),vero paradigma della piccola impresa lombarda.

E ci sono gli uomini di “Finestra Manon 2“che vanno nelle gallerie a scavare i corridoi per le condotte per l’acqua delle dighe che alimenteranno le centrali idroelettriche, che ricordano quelle parole di Kafka “Nessuno canta in modo più puro di quelli che si trovano nell’inferno più profondo: è il loro canto che scambiamo per i cori degli angeli”.

Non a caso il primo lungometraggio che lanciò Olmi come una delle frecce dell’emergente cinema italiano degli anni 60 (premiato da Rossellini e da De Sica…) si intitolava “Il posto” ed era la storia di un’assunzione in una grande fabbrica milanese di un lui ed una lei che (tanto era grande la fabbrica e Milano…) faticavano ad incontrarsi e a dichiarare il loro timido amore.

Guardare oggi questi “piccoli film” del giovane Olmi in un’epoca di crisi e di trasformazione, in un’epoca di lavoro parcellizzato ed individualizzato, ci fa pensare che una “ripresa” può partire solo da qui.

Dall’amore per le persone e dal loro riconoscimento, dalla scoperta e ricerca di una qualità di vivere più fraterna e sobria, conviviale.

Dal ritrovare legami di comunità sul territorio, non gelosi e chiusi nell’inimicizia verso chiunque non sia consanguineo,ma piuttosto aperti alla costruzione di un mondo più caldo e colorato anche nelle nostre grigie metropoli.

Pier Vito Antoniazzi



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