26 giugno 2012

LA FINE DEL MASCHILISMO POLITICO. UNA SENTENZA E POI?


Lui, lei, l’altro. Lui, il Presidente della Regione Lombardia. Lei, la democrazia paritaria. L’altro il Consiglio di Stato, supremo organo della giustizia amministrativa. Lui che gioca di espedienti. Lei che attende che arrivi oggi quel che è stato promesso ieri ma rinviato sempre a un domani che non arriva mai. L’altro che fiuta gli espedienti, perde la pazienza e condanna il Presidente & la Regione.

Lui che nel marzo scorso fa i rimpasti di fine stagione e “rivoluziona” la giunta regionale passando dall’originario rapporto di 1 a 15, 1 donna e 15 uomini, al rapporto di ben 2 donne e 14 uomini. Sa che dall’inizio dell’anno il Consiglio di Stato gli ha mandato a dire che questa situazione è illegale poiché viola in un sol colpo norme europee, nazionali e locali, oltre a violare lo Statuto da egli stesso pubblicizzato e unico, tra gli statuti regionali di nuova generazione, a portare la dizione della Democrazia paritaria da raggiungersi attraverso il “riequilibrio di genere negli organi del governo” regionale. Lui sa che, nella causa radicata da più associazioni e da cittadine lombarde, si avvicina l’udienza del 17 aprile al Consiglio di Stato con il conseguente ripristino della legalità mediante decapitazione della giunta regionale.

Ecco allora l’espediente: cambiare le carte in tavola e mutare la situazione. Ovviamente mutarla il minimo indispensabile – passando quindi da una a due donne – giusto per sbarrare il passo al Consiglio di Stato che per ragioni processuali (che sarebbe qui noioso riassumere) non può più decapitare alcunché. Solo che il Consiglio di Stato pur non potendo azzerare la giunta illegittima non chiude, come potrebbe, la partita con due paginette rinviando la questione a una ulteriore causa davanti al Tar Lombardia come la procedura prevede.

No, il Consiglio di Stato affronta comunque il merito della questione e in undici pagine redige una sentenza storica (n. 3670 della Quinta Sezione, rintracciabile su www.ilcorpodelledonne.net). Una sentenza oggettivamente riconosciuta come un punto di svolta destinata a rimanere negli annali del diritto delle pubbliche amministrazioni: a ricordare alla politica i suoi confini, a evidenziare che la discrezionalità degli amministratori va esercitata entro i binari delle leggi. Persino di quelle leggi che sembrano riguardare solo il genere femminile mentre riguardano invece la comunità trattandosi di norme che mirano alla formazione di squadre miste, con pari dignità numero e grado, unanimemente individuate come il migliore mix per più soddisfacenti innovazioni e risultati specie in un ambito pubblico istituzionalmente preposto a occuparsi del bene comune.

E dunque quali limiti il Consiglio di Stato ha ricordato alla politica? In primo luogo il rispetto della legalità polverizzando il tentativo di far passare la scelta della nomina degli assessori sottraendola al controllo di legalità dei cittadini e dei giudici. La discrezionalità ha un limite: i Presidenti delle Regioni, delle Province e i Sindaci hanno naturalmente il diritto di scegliere gli assessori sulla base di un ovvio rapporto di fiducia ma nell’ambito delle leggi vigenti e dunque non possono addurre la discrezionalità o la fiduciarietà per entrare nell’arbitrio ovvero per svicolare dal controllo democratico dei cittadini, singoli o associati, sul proprio operato. Il che è all’evidenza lapalissiano in uno Stato di diritto ma l’ostinazione della Regione Lombardia e del suo Presidente miravano ad attestare la discrezionalità su posizioni di impunità.

Altro aspetto significativo della sentenza che, come componente del pool di avvocate che ha curato la causa sia la Tar Lombardia che al Consiglio di Stato, mi fa piacere ricordare è che per “riequilibrio di genere” si deve intendere “la sostanziale approssimazione alla metà tra donne e uomini” giungendo così alla pressoché totale equiparazione del concetto di equilibrio di genere con quello di democrazia paritaria detto confidenzialmente “50e50 ovunque si decide” dal noto progetto di legge del 2007 dell’UDI Unione Donne in Italia. Il che significa che questa sentenza, ormai definitiva, ha un effetto legalitario destinato a cambiare l’assetto di tutte le giunte fuori-legge della penisola, che da una stima del Sole24 ore del 2009 risultavano essere oltre 1.500, spesso frutto di un tratto ipocrita consistente, per usare le parole del Consiglio di Stato, nel “costume improponibile prima sul piano culturale e civile che su quello giuridico, di affermare grandi e importanti principi di civiltà avanzata per poi disattenderli puntualmente in fase applicativa“.

Ileana Alesso

 



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