19 giugno 2012

POLITICHE URBANISTICHE PER I NAVIGLI MILANESI


In questa nota, vorrei riprendere alcune suggestioni alimentate dalla Lettera di Gianni Beltrame ai cosiddetti “scoperchiatori facili dei Navigli milanesi”. La finalità non è quella di partecipare alla discussione fra “favorevoli” e “contrari” ma piuttosto di riprendere il filo di alcune questioni generali più o meno implicitamente sollevate nella stessa “Lettera”.

La prima considerazione di carattere generale che mi sento di avanzare è che la successione dei fatti raccontati nel testo di Beltrame ribadisce la natura del territorio come “palinsesto”, come lo definiva Corboz. Esito e contestualmente elemento di propulsione di processi stratificati e intrecciati di cancellazioni, sostituzioni, sovrapposizione di interventi e nuovi reificazioni. Tale dimensione complessa, documentata nella Lettera in modo rigoroso e analitico, suggerisce quindi un approccio agli elementi della dimensione storica del territorio e del paesaggio urbano che deve accompagnare i suoi nuovi interpreti in modo consapevole e non superficiale. Approcci di tipo “creativo” fondati sulla estemporaneità e sulla superficialità nel rapporto con l’evoluzione e la storia del nostro territorio confluiscono nel “fashion”; nell’appiattimento della lettura e della creazione di senso del paesaggio, nella definizione di scelte e interventi che alimentano l’archivio degli “stupidari” di cui è disseminato il campo della contemporaneità. Si pensi ad esempio all’insensato (e oltremodo costoso) collegamento delle “vie d’acqua” al sito Expo2015.

Questa considerazione generale rinvia all’ultimo punto della lettera di Beltrame, nel quale, dopo aver documentato le criticità di ordine urbanistico – edilizio e tecnico – ingegneristico, ci si interroga sulla effettiva efficacia della portata di una operazione come quella di riaprire la cosiddetta Fossa interna dei Navigli.

Qui il tema si fa ancora più interessante perché tra le righe emerge la necessità di dare un senso all’approccio della cultura urbanistica e delle politiche per la città storica, per la rigenerazione e attualizzazione dei suoi luoghi e dei suoi beni oltre il mero obiettivo della testimonianza. Emerge ancora il fatto che “il dibattito” sull’uso e la conservazione dei navigli non costituisce un tema marginale, “di nicchia”, per aficionados e appassionati dei bei tempi andati ma, al contrario, pone questioni importanti in ordine alle politiche, al governo e al rapporto con gli elementi e l’armatura storica di molte delle nostre città.

Nello specifico, perché riaprire i navigli interni? Per farci cosa? Quali funzioni e aspettative attribuire a un simile intervento? Quale valore aggiunto ricercare per la qualità sociale dei cittadini e della comunità milanese? In generale, quali interventi mettere in campo, come rendere vivi e attuali i luoghi e i beni della città e del territorio storico, quali sono le direttrici di lavoro per una conservazione attiva in un’ottica di politiche di lungo respiro e senza cadere nella retorica della tutela “cartacea” o del maquillage estemporaneo? Queste alcune delle domande che implicitamente sono poste dalle considerazioni di Beltrame e rispetto alle quali rilanciare una discussione che, guardando al campo della politica, sembra essersi appiattita sulle urgenze e le mode del contingente.

Come ampiamente documentato, anche recentemente sulle pagine di ArcipelagoMilano in un appassionato ma anche scanzonato dialogo fra un urbanista e un architetto (Jacopo Gardella), il sistema dei navigli ha rappresentato nella sua vita pluri-secolare una dorsale rispetto alla quale si sono evoluti e sostenuti, legami commerciali ed economici, cultura materiale e cultura del lavoro, processi di generazione e ordinamento dello sviluppo urbano ed edilizio. Questo sistema ha innervato e costituito il filo conduttore di un milieu socio-economico e di una rete di luoghi e polarità la cui vita è stata regolata dalla capacità e dalla potenza dell’esercizio della navigabilità. Decaduta la principale funzione del trasporto, il sistema e le logiche a esso collegate si sono evolute per strade e modalità diverse.

La presenza dei navigli non è e non può essere ridotta a uno “scenario”, o a un elemento dell’arredo urbano (nel caso specifico con costi esageratamente elevati) se non si costruiscono contemporaneamente le condizioni economiche e sociali per farli vivere, tenerli in esercizio funzionanti e con livelli di manutenzione adeguati. Questi obiettivi, se da una parte appaiono obbligati, con enormi potenzialità e alla portata dell’intervento pubblico nella parte del sistema ancora oggi in uso, risultano difficilmente interpretabili nella cerchia interna ormai coperta. A coloro che attribuiscono a questa posizione la mancanza di “coraggio” viene da rispondere che non si tratta di un problema di mancanza di “visioni”, piuttosto di ancorare le visioni a un progetto sociale stabile e robusto in grado di evolversi in una determinata direzione.

Recentemente nel corso di un seminario dedicato appunto al sistema delle acque milanesi ai tempi del Piano Beruto (Italia Nostra – Triennale di Milano) ho avuto modo di assistere alla illustrazione dei progetti nati nell’ambito di quello stimolante laboratorio sociale promosso da Emilio Battisti, il quale insieme a un gruppo di colleghi ha messo “a disposizione” della comunità alcune idee, esperienze e proposte.

I progetti presentati, seppur animati da un grande senso e passione civica, denunciano i limiti di una cultura progettuale che propone visioni fortemente orientate e limitate dall’amore per il disegno urbano; slegato però da strategie connaturate alle condizioni in grado di generare mutamento, la riqualificazione e le condizioni di vita. Questi assegnano al disegno della morfologia, ai temi della composizione architettonica e della progettazione urbana obiettivi alquanto velleitari, con un approccio che ha già dimostrato, anche nelle esperienze più ricche del secolo scorso, i propri limiti e inefficacia. (Discorso a parte merita la proposta di Umberto Vascelli Vallara che però necessiterebbe di una forte integrazione e coerenza nell’ambito delle strategie per le politiche culturali dell’Amministrazione comunale).

Pur senza sminuire questo tipo di contributo e senza voler prescindere dalla necessità di promuovere la qualità del tessuto urbano anche attraverso la qualità delle scelte architettoniche, ritengo che l’orizzonte a cui guardare sia diverso, sia dal punto di vista dell’approccio che dei luoghi.

Solo declinando e approfondendo alcune delle questioni richiamate prima si aprirebbe l’opportunità di “vedere” e valutare correttamente l’enorme “giacimento” e patrimonio di risorse costituito dai Navigli Grande, Pavese e Martesana.

Una nuova interpretazione della “navigabilità” (premessa inderogabile per qualsiasi progetto di sviluppo e rigenerazione) finalizzata a un utilizzo per fini turistico – culturali, potrebbe rappresentare il filo conduttore per ricomporre e valorizzare il milieu dei navigli; integrando con progetti mirati e integrati un territorio caratterizzato da un tessuto edilizio straordinario nel quale trovano spazio episodi di eccellenza (ville e complessi religiosi) e un tessuto minuto (cascine e luoghi del lavoro), agricoltura e storia del paesaggio agricolo (si pensi al parco Sud), rete irrigua, manufatti idraulici e luoghi di eccezionale interesse dal punto di vista del valore naturalistico. Mettere in rete queste caratteristiche consentirebbe agli utenti/visitatori di questo sistema di comprendere le ragioni dell’identità storica e della formazione della forza e dell’economia urbana milanese. Ed è facilmente intuibile la forza che un tale programma potrebbe avere nello stimolare processi economici in grado di sostenere la qualità dello sviluppo locale (e non solo in un’ottica legata a Expo2015).

Alcuni di questi obiettivi sono in qualche modo presenti nella programmazione, ad esempio regionale, che però stenta a decollare e a farsi strumento di trasformazione.

Cambiare approccio e strategie significa mobilitare le energie e il civismo al quale questa stagione di Milano sta restituendo nuove forme di protagonismo nella ricerca di strade in grado di sostenere un rilancio complessivo del sistema dei navigli anche alla luce degli orientamenti delle politiche urbanistiche della nuova amministrazione comunale (… ancora vaghi rispetto allo specifico tema….) e non, invece, nell’inseguimento di velleitarie operazioni di re-styling urbano.

 

Michele M. Monte



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