19 giugno 2012

musica


 

ČAJKOVSKIJ

Programma incantevole la settimana scorsa, ancora una volta all’Auditorium – come abbiamo detto unica istituzione milanese che insieme alla irraggiungibile Scala (per via dei biglietti…) garantirà buona musica per tutta l’estate – con un concerto interamente dedicato a due capolavori di Čajkovskij: il concerto per violino e orchestra in re maggiore opera 35 e la Sinfonia n. 5 in mi minore opera 64.

Già le due tonalità davano il senso delle diverse atmosfere: da una parte la gioia e la leggerezza del re maggiore del Concerto, dall’altra la cupezza e la drammaticità del mi minore della Sinfonia. Le due contrapposte anime di Čajkovskij che si confrontano non solo fra i momenti diversi della sua tormentata esistenza, ma spesso anche all’interno della singola opera.

La serata si è svolta sotto la direzione di Zhang Xian mentre il violino solista era Sergey Dogadin un giovanissimo russo (ventiquattro anni) di San Pietroburgo, vincitore di molti concorsi internazionali fra cui proprio il famoso premio Čajkovskij.

Sono complesse le considerazioni da fare su una serata così pregnante, con musiche ascoltate più volte in queste ultime stagioni milanesi e ogni volta interpretate anche molto diversamente; dobbiamo anche tornare su alcuni giudizi espressi nelle ultime settimane sia a proposito della Xian che di questi mostri tecnologici sfornati a ritmo crescente dai Conservatori di Mosca e di San Pietroburgo.

Innanzitutto il giovane russo: bravissimo, un vero “virtuoso” dello strumento, tecnica perfetta, precisione, brillantezza di suono, tutto ciò che si può desiderare da un giovane talentuoso già pieno di medaglie; gli mancava una sola cosa, la consapevolezza di ciò che stava suonando. Se qualcuno nutrisse dubbi in proposito diciamo subito che ci ha molto colpito la cadenza del primo movimento giocata solo sul virtuosismo – per non dire sull’esibizionismo – che ha inferto un terribile colpo all’unità stilistica e alla compattezza del Concerto. Si sa che la cadenza è un momento di libertà, che il solista può suonare ciò che desidera e come gli piace, che spesso se la scrive addirittura da solo (o gliel’ha scritta l’insegnante), ma proprio per questo il modo in cui la sceglie – o in questo caso la propone – è una importante testimonianza della sensibilità e della cultura musicale dell’interprete.

La stessa (in)sensibilità il Dogadin ha dimostrato di possedere nella scelta del bis, un breve pezzo di Paganini su una bella e celebre aria di Paisiello che – ancorché il suo significato possa essere stato un garbato omaggio al Paese che l’ospita – non entrava in alcuna relazione musicale con il concerto appena eseguito. Sappiamo che esistono gli “enfant prodige”, specialmente nel mondo della musica, ma che senso ha mandare sui palcoscenici di mezzo mondo ragazzi capaci solo di suonare – anche benissimo – uno strumento ma ai quali manca la cultura necessaria per affrontare i grandi capolavori della musica? Per eseguire un’opera come il Concerto di Čajkovskij occorre aver fatto un lungo percorso di apprendistato, anche di sofferenza, occorre tanta umiltà e una grande conoscenza di storia, di luoghi, di persone, anni e anni di lavoro; per arrivare a capire il senso e la portata di un’opera così grande bisognerebbe aver raggiunto l’età che aveva l’autore quando la compose!

Un altro – e totalmente diverso – discorso merita il direttore (la direttrice?) d’orchestra. Ne abbiamo parlato anche la settimana scorsa: la Xian è una bravissima professionista, preparata, studiosa (ha diretto questa Sinfonia, tutt’altro che semplice, a memoria), sicura e rassicurante. Ma, nonostante viva da anni fra Stati Uniti ed Europa, crediamo che non sia diventata abbastanza “occidentale” per interpretare con la necessaria competenza e il dovuto “spessore” la musica europea. Il nostro sentire è che lei non riesca a vivere fino in fondo, ad esempio, le abissali differenze fra il mondo sinfonico di Brahms (qualche settimana fa ne ha diretto la Quarta) e quello di Čajkovskij, ma che per lei esista tout-court il mondo della Sinfonia che per un orientale è già un “altro” mondo, totalmente diverso dal proprio. È un po’ quello che sentiamo nel pianismo patinato di Lang Lang o che, per tutt’altro verso, percepiamo nell’architettura “international style” degli ultimi decenni; senza visione specifica, approfondimento storico, contestualizzazione dell’opera quale che sia. L’altra sera al concerto dell’Auditorium la grande assente era l’anima russa, quell’aura di malinconia e di nostalgia che non è solo della musica ma anche della letteratura russa dell’ottocento e in particolare di quegli anni che furono l’orizzonte finale della dolorosa vita di Pëtr Il’ič Čajkovskij.

 

Musica per una settimana

*sabato 23, martedì 26 e giovedì 28, all’Auditorium si conclude la stagione sinfonica con l’Andrea Chénier di Umberto Giordano in edizione integrale, con l’orchestra e il coro sinfonico della Verdi diretti rispettivamente da Jader Bignamini ed Erina Gambarini

*giovedì 21 e sabato 23 alla Scala, ultime repliche della Luisa Miller di Verdi

*venerdì 22, lunedì 25 e venerdì 29 ancora alla Scala repliche di Manon di Massenet

*sabato 30, sempre alla Scala, prima del Don Pasquale di Donizetti, diretto da Enrique Mazzola, per la regia di Jonathan Miller con le scene e i costumi di Isabella Biwater

Una settimana tutta all’insegna dell’opera lirica.

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti