12 giugno 2012

NAVIGLI: AFFOSSATORI INCALLITI


Della riapertura dei Navigli tra San Marco e la conca di Viarenna se n’è parlato molto nel momento di inserire l’argomento nell’art. 4 della relazione generale del Documento di Piano del PGT. Molti recenti convegni hanno messo in luce un’opinione pubblica divisa. Ma tutto ciò è servito, dato che un primo passo verso la riapertura c’è stato.

Infatti mentre le osservazioni presentate sull’argomento erano state respinte senza se e senza ma nella versione del PGT approvata dalla giunta Moratti, nella versione Pisapia, approvata recentemente, la riapertura è stata recepita modificando in modo promettente l’art 4.14 “Il fiume di Milano” precisando che: “il progetto “Il fiume di Milano” intende promuovere azioni volte a restituire “riconoscibilità” della Cerchia interna dei Navigli quale anello di congiunzione del sistema delle acque superficiali storiche della città, mediante una progettualità attenta che sia in grado di verificare sia l’aspetto paesaggistico, sia la fattibilità tecnica e finanziaria relativa alla riapertura, anche solo in parte“.

Dichiarazione intelligente ma prudente che però non lascia dubbi. Nel PGT, se in questa forma verrà pubblicato, finalmente appare tra i programmi della città la riapertura dei Navigli, della quale non c’era cenno nei due PRG precedenti del ’53 e dell’80. E questo grazie al buon lavoro che gli “scoperchiatori facili“, con Empio Malara in testa, hanno prodotto in questi ultimi trenta anni. Ingeneroso poi il termine coniato da Gianni Beltrame per classificare chi ha portato avanti questa idea tra mille difficoltà e incomprensioni (quindi tutt’altro che facilmente) per tanti anni.

I sostenitori della riapertura vogliono migliorare e trasformare Milano in una città più attraente e l’acqua è uno degli elementi naturali che possono migliorare il disegno delle città. Tanto più che Milano era una città d’acqua e Bonvesin della Riva ce lo ricorda, ma il reticolo di fiumi, rogge e canali è stato cancellato provocando le reazioni della natura che tutti ben conosciamo.

Milano è una città d’acqua anche ora che ci accorgiamo che non essendoci più industrie a prelevarla, l’acqua di falda è cresciuta invadendo i piani più bassi dei parcheggi sotterranei e avrebbe provocato altri guai se non si fosse adottata una politica di controllo della falda con stazioni di pompaggio dell’acqua verso le fognature cittadine. Riportare l’acqua in superficie è quindi un forte richiamo territoriale e anche se l’uso non sarà più quello di una volta (e mi sembra ovvio) resta e basta la bellezza che i corsi d’acqua aggiungerebbero al paesaggio urbano e la forte attrazione dell’industria del tempo libero.

Parlare oggi di acque luride e stagnanti o di ostacolo al traffico non ha senso perché le acque della Martesana sono oggi scorrevoli e trasparenti, e il traffico non potrà che essere severamente ridimensionato dalla pedonalizzazione completa del Centro Storico seguendo ciò che è stato fatto da tempo nelle storiche città europee.

Viene tuttora sottovalutato, dai contrari alla riapertura, il concetto secondo il quale le Infrastrutture Storiche debbano avere lo stesso rispetto dato a palazzi, chiese, mercati e strutture edilizie storiche che esistono in città e che vengono invece debitamente protetti. L’esempio eclatante che il problema a Milano non è sentito, è l’utilizzo dei ponti in ferro dei Navigli ma anche quelli in cemento e mattoni sulle radiali nel passaggio della barriera ferroviaria, come meri supporti della pubblicità. Ma per stare sull’argomento acqua / infrastrutture ricordiamoci della cura con cui vengono mantenuti gli acquedotti dismessi e i ponti Romani e Arabi, e anche i vecchi porti delle città del Nord che non vengono asfaltati una volta cessata la loro funzione, ma mantenuti facendoli diventare centri di attrazione. Questo perché sono infrastrutture storiche.

Certo, il paesaggio dei Navigli non potrà tornare quello illustrato dai quadri del Museo dei Navigli, ma negli anni trenta, quando decisero di chiuderli non era comunque molto diverso da oggi. Anche l’originalità del manufatto non potrà essere restituita, ma il centro storico di Rodi, il ponte di Mostar e altre mille infrastrutture dimostrano che si possono e resta accettabile ricostruire manufatti demoliti da terremoti o guerre (o scelte politiche poco lungimiranti come nel nostro caso) e che questi diventino poi poli di attrazione dei turisti interessati a conoscere la vera storia delle città che visitano.

 

Gianni Zenoni

 



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