12 giugno 2012

CITTÀ: MILANO E LE LINEE DEL DESIDERIO


Le linee del desiderio sono spontaneamente tracciate dai desideri delle persone. Una linea del desiderio è ad esempio il solco scavato dai passi sul tappeto erboso di un giardino, non previsto dal paesaggista, ma come di comune accordo delineato dai passanti. Oppure può essere il tragitto che i passanti insistono a percorrere per raggiungere i binari dei treni, a dispetto di sistemi mobili elaborati secondo criteri ritenuti più avanzati. Sono scorciatoie, vie dirette più gradevoli e rassicuranti che automaticamente conducono a una meta.

Per quel che riguarda lo spazio pubblico, le linee del desiderio sono una metafora che vuole indicare le esigenze sentite all’unisono da una molteplicità di persone. Suggerite da una serie di impulsi o necessità differenti – necessità di conoscenza o di comodità, di identità o di bellezza – esse possono essere palesi o inconsce. Sono comunque linee da ristabilire nella metropoli se la si vuole rendere più abitabile, in contrapposizione ai densi tracciati che la solcano in modo aggressivo o incontrollato e nocivo, a vari livelli (dalle linee del traffico al piano stradale a quelle, all’altezza dei tetti, generate dalle emissioni delle antenne, dei camini).

Sono linee del desiderio in quanto desiderate e desiderabili, percorsi logici e istintivi, che tendono a innestarsi e inconsapevolmente a perpetuare antiche modalità di fruizione dello spazio collettivo, preesistenti ma non più riconoscibili, incise nel corso del tempo e poi cancellate, da ristabilire o quanto meno riconoscere dietro suggerimento delle aspettative di benessere degli abitanti e dei visitatori.

LINEE DELL’ACQUA – Oggi per Navigli la gente comunemente intende i canali del Ticinese, ormai ignara che tale termine identificava l’anello d’acqua – interrato negli anni Trenta – circuente il centro medievale. Senza entrare in questa sede nel merito del complesso dibattito sulla possibilità / convenienza di riaprire tratti del Naviglio di città, si vuole sottolineare che è necessario almeno informare, ridestare un senso di identità, comunicando la percezione di quella che era la Fossa interna (fovea civitatis). L’incisura circolare, impressa nel XV secolo dal fossato difensivo delle mura medievali, a partire dalla quale ha preso forma nel corso dei secoli l’assetto morfologico di Milano, è anch’essa un monumento, non meno importante delle piazze, delle chiese, dei palazzi. Monumento da segnalare con una serie di pannelli didattici e con immagini che ne illustrino l’antico tracciato, i punti di innesto dei canali, dei ponti, l’ubicazione del laghetto e delle darsene, delle sciostre, delle pusterle che intervallavano il circuito acqueo, così come la specificità delle funzioni, della navigazione e mercantili.

LINEE DELLE ROTAIE – I tram rappresentano da sempre una strategia intelligente di trasporto, non inquinante e apprezzata dai cittadini. Alcuni tratti in particolare coincidono con percorsi scanditi da colonnati di platani e schermati da volte di fronde, piuttosto trascurati, cui corrisponde a terra un’erba che a stento si rigenera tra le rotaie. Poiché è risaputo che il disordine genera disordine, mentre la manutenzione della città crea la gioia di prendersene cura. Percorsi dei tram progettati nel verde sono ad esempio la circonvallazione del 9, da piazza della Repubblica a Porta Romana e altri tratti, quale quello tra il Piccolo Teatro e l’Acquario, fino a porta Volta. Una pulizia continuativa, con regolare sfalcio e irrigazione del tappeto erboso, renderebbero straordinario il viaggio su binari all’interno di gallerie verdi, com’erano concepite originariamente, al punto da farne un suggestivo, caratterizzante elemento paesaggistico.

LINEE DELLA SOSTA ALL’APERTO – Milano è un centro urbano dove – a esclusione dei parchi pubblici – è quasi impossibile sedersi all’aperto. I passanti hanno il diritto di sostare senza essere costretti a pagare la consumazione al tavolo di un bar. Non appena si crea un piano su cui ci si possa sedere – il bordo di una scultura, di una fontana, un gradino – è subito evidente come esso si riempia di persone che vi si accomodano. In tema di abitabilità della città, la possibilità di fermarsi a riposare, a guardare, a leggere, è prioritaria. Naturalmente i percorsi pedonali, le piazze, i sagrati offrono i più logici, elementari spazi per la sosta, cosi come altri luoghi particolari dotati di potenzialità perdute e mal utilizzate.. Movimento di mezzi, di auto, di biciclette, di piedi: più la città è grande e più ogni tipo di circolazione – tra cui il camminare e il sostare – deve avere il suo posto.

LINEE DEL SACRO – I recinti delle chiese si prestano a essere a essere aree di sosta, dislocate con regolarità e frequenza nello spazio urbano, che erano un tempo poli di socializzazione. Tali aree dovrebbero tornare a essere al riparo dall’invasione automobilistica, con un arredo urbano legato alla tradizione, e comunque con possibilità, come in parte già esiste in taluni sagrati del centro, di sostare o di ristorarsi all’aperto. Il sagrato di San Marco, ad esempio, è un’occasione che si offre per il riscatto della cultura urbana: centralissimo e ombreggiato da alberi d’alto fusto, ma non frequentato dai passanti, in quanto ingombro di automobili e privo di sedute.

PIAZZA DUOMO – Definita da uno storico di fine Ottocento “la piazza più sgangherata del mondo”, piazza Duomo è stata per un lunghissimo arco temporale spazio a destinazione mercantile. Oggi, pur essendo il cuore della città, sembra in attesa di acquisire un significato, subendo nel frattempo un quasi costante ingombro di allestimenti precari, provinciali e inaccettabili, che ne sviliscono il senso. Le persone si affollano sui gradini del Duomo, il che non favorisce il benessere e l’immagine del luogo. Ripensare al progetto di Bosco di Renzo Piano

TERRAZZI – Incoraggiare i privati che dispongono di terrazzi prospettanti su strada a dotarli di piante (in un rapporto di compatibilità col carico). Se per Bosco verticale si intende in definitiva un grattacielo con terrazzi piantumati, perché non favorire (forse con uno sgravio fiscale?) la diffusione di una moltitudine di boschi verticali? L’aria migliorerebbe, mentre l’aspetto generale delle facciate non trasmetterebbe quel senso di chiusura e spesso di abbandono.

 

Lucia Bisi

 



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