12 giugno 2012

arte


 

UN TINTORETTO ERRANTE

Prima della consueta apertura serale estiva, il Museo Diocesano propone un ultimo appuntamento d’arte. Ospite d’eccezione sarà Jacopo Robusti detto il Tintoretto, con una Ultima cena tra le più interessanti, realizzata tra il 1574 e il 1575, recentemente oggetto di un accurato restauro che ha permesso di trasportare la tela fuori da Venezia per la prima volta da quando è stata dipinta.

L’opera, da sempre nella chiesa di San Polo, ha lasciato la città lagunare per essere parte della mostra monografica dedicata all’artista, in corso fino al 10 giugno alle Scuderie del Quirinale di Roma. Ecco dunque che durante il viaggio di ritorno verso casa, il dipinto dalla dimensioni imponenti, 228×535 cm, verrà esposto gratuitamente nella sala dell’Arciconfraternita del Museo Diocesano, dal 14 al 19 giugno.

Commissionata dalla Scuola del Sacramento di San Polo, l’Ultima Cena raffigura l’episodio del Vangelo in un’ambientazione che suggerisce l’intimità di un interno domestico e, per la prima volta rispetto a precedenti tele di uguale soggetto, rappresenta il momento dell’Eucarestia e non l’annuncio del tradimento.

Cristo offre il pane a due apostoli, con le braccia aperte che prefigurano la croce, mentre un altro apostolo sfama un mendicante e, raro particolare, compare anche una bimba seduta a terra nell’estremità destra del dipinto. Queste due aggiunte sottolineano ulteriormente la vena caritatevole e assistenziale della Scuola veneziana, i cui membri erano tenuti ad assistere gli ammalati e gli indigenti.

Una novità iconografica, quella apportata da Tintoretto, già sottolineata nel 1648 da Carlo Ridolfi, che nelle Vite degli Illustri Pittori Veneti e dello Stato, la descriveva, meravigliandosi della scelta del soggetto, attraverso il quale il Robusti scelse di rappresentare non l’annuncio del tradimento ma l’istituzione dell’Eucarestia sub specie panis. In questo modo Tintoretto tradusse in immagine la disposizione del concilio di Trento nella quale si affermava che sotto la sola specie del pane è contenuto interamente il corpo di Cristo, dando così ulteriore significato alla tela.

Un’iniziativa promossa e sponsorizzata da Cariparma Crédit Agricole, che ne ha permesso il restauro in occasione della mostra romana.

TINTORETTO. L’ULTIMA CENA, 14 – 19 giugno Museo Diocesano corso di Porta Ticinese, 95 – Orari: da giovedì 14 a martedì 19 giugno, dalle 10.00 alle 24.00; lunedì 18 giugno, dalle 10.00 alle 18.00. Ingresso gratuito

 

 

BRAMANTINO: UNA MOSTRA AUTOCTONA

Promossa e auto – prodotta dal Comune di Milano, quella di Bramantino potrebbe essere la prima di una serie di mostre rivoluzionarie, non tanto per la novità dei temi quanto per la modalità di produzione. A cura di Giovanni Agosti, Jacopo Stoppa e Marco Tanzi, “Bramantino a Milano” è un’esposizione quasi monografica dei capolavori milanesi di Bartolomeo Suardi, detto il Bramantino (1480 – 1530), da Vasari, che gli diede questo soprannome in qualità della sua ripresa dei modi di Donato Bramante, pittore e architetto al servizio di Ludovico il Moro.

Che cos’ha di speciale questa mostra, nel cortile della Rocchetta, Castello Sforzesco, fino a settembre? Innanzitutto la gratuità dell’ingresso, il fatto che sia munita di due mini guide gratuite, complete di descrizione e dettagli storico – critici sulle opere in esposizione, e infine, il fatto che è una mostra “a chilometro zero”. Tutte le opere presentate al pubblico provengono infatti da musei e collezioni milanesi: l’Ambrosiana, Brera, la pinacoteca del Castello e la raccolta di stampe Bertarelli.

Questa è la grande novità. In un momento di crisi, in cui spesso le mostre sono di poca sostanza e si è soliti attirare il pubblico con nomi di grandi artisti, senza presentarne però i capolavori, ecco che si è preferito rinunciare ai prestiti esteri, impossibili per mancanza di fondi, e si è voluto puntare e valorizzare solo pezzi cittadini di qualità. Compito facile visto che Milano conserva il nucleo più cospicuo esistente al mondo di opere del Bramantino: dipinti su tavola e tela, arazzi, disegni, affreschi e l’unica architettura da lui realizzata, la Cappella Trivulzio nella chiesa di San Nazaro in Brolo.

L’esposizione si articola nelle due grandi Sale del Castello Sforzesco che ospitano già importanti lavori dell’artista. Nella Sala del Tesoro dove domina l’Argo, il grande affresco realizzato intorno al 1490 e destinato a vegliare sul tesoro sforzesco, sono esposte una trentina di opere, dipinti e disegni, che permettono di capire lo svolgersi della carriere dell’artista bergamasco: dalla Stampa Prevedari, un’incisione in rame che il milanese Bernardo Prevedari realizzò su disegno di Bramante e che influenzò per spazi e monumentalità l’opera di Bramantino, all’Adorazione del Bambino della Pinacoteca Ambrosiana, alla Madonna e Bambino tra i santi Ambrogio e Michele Arcangelo, con i due straordinari scorci dei corpi a terra.

La soprastante Sala della Balla, che accoglie gli arazzi della collezione Trivulzio, acquisiti dal Comune nel 1935, presenta un allestimento completamente nuovo, che dispone i dodici grandi arazzi, dedicati ai mesi e creati per Gian Giacomo Trivulzio, in modo che si leghino tra loro nella sequenza dei gesti e delle stagioni. Un filmato documenta ciò che è non è stato possibile trasportare in mostra: dalla Cappella Trivulzio alle Muse del Castello di Voghera, di cui Bramantino fu responsabile dei dipinti.

Una mostra davvero a costo zero, come dichiara lo stesso Agosti. “Gratis è l’allestimento di Michele De Lucchi, Francesco Dondina ha realizzato gratuitamente l’immagine e il fotografo Mauro Magliani ha lavorato con fondi universitari. La promozione è curata gratuitamente; il Fai e gli Amici di Brera hanno dato una mano per gli incontri e la struttura del Comune si è rimessa ad agire in proprio in maniera eccellente”. Una mostra tutto sommato facile, si gioca in casa, ma che proprio per questo ha un merito in più: promuovere quello che è sotto i nostri occhi tutti i giorni, valorizzarlo e dargli nuovo lustro.

Bramantino a Milano – Castello Sforzesco, Cortile della Rocchetta, Sala del Tesoro – Sala della Balla – fino al 25 settembre orari: da martedì a domenica dalle ore 9.00 alle 17.30. La Sala della Balla, al fine di consentire lo svolgimento di iniziative in programma, il 26 maggio e il 9 giugno chiuderà alle ore 14.00, il 15 giugno resterà chiusa tutto il giorno, mentre il 14 settembre chiuderà alle ore 15.00.

 

 

GLI ELEMENTI DI BRUEGHEL IL VECCHIO

Rizómata è la parola greca che significa “radici”. La usò il filosofo Empedocle, vissuto a metà del V secolo a.C., per indicare i quattro elementi fondamentali da cui sarebbe costituito l’universo intero: il fuoco, l’aria, l’acqua e la terra. Rizómata è anche il titolo della mostra presso la Pinacoteca Ambrosiana, che, dopo più di 200 anni, riunisce quattro capolavori di Brueghel il Vecchio.

I quattro elementi sono dipinti su rame creati tra il 1608 e il 1621, appositamente per il cardinale Federico Borromeo, già fondatore della Biblioteca e della Pinacoteca Ambrosiana. Una amicizia di lunga data, iniziata nel 1592 a Roma, legava questi due grandi personaggi, che si rincontrarono a Milano tre anni dopo, prima che Brueghel tornasse definitivamente ad Anversa.

Questa amicizia ci è nota grazie al carteggio epistolare rimastoci, esposto in mostra, che illustra anche la genesi dei quattro dipinti. Il cardinale Federico, parlando di queste opere, le definiva di gran pregio e fonte di grande stupore, ricolme di dettagli e di meraviglie naturalistiche.

I quattro elementi rimasero in Pinacoteca fino al 1796, quando Napoleone li requisì insieme al Codice Atlantico di Leonardo e al manoscritto appartenuto a Petrarca, con le opere di Virgilio. Non è un caso dunque che, insieme a questi due capolavori assoluti, i francesi si fossero presi anche i quattro preziosi dipinti. Con la caduta di Napoleone si affrontò anche il destino delle opere d’arte trafugate. Canova, emissario italiano, ottenne la restituzione di solamente due dei quattro dipinti: l’allegoria del Fuoco e dell’Acqua, mentre l’Aria e la Terra rimasero a Parigi.

È ancor più di interesse dunque vederli oggi tutti riuniti, uno accanto all’altro, così come si presentarono agli occhi del cardinal Borromeo, in un succedersi organico di suggestioni e dettagli. Nell’allegoria del Fuoco, elemento indomabile, un incendio si sviluppa su un monte, mentre una fucina di fabbri forgia armi e armature lucenti, in una sorta di caotico museo, mentre tutto intorno creature demoniache si librano nell’aria.

L’allegoria della Terra sembra invece una sorta di Paradiso terrestre in cui animali di ogni specie e taglia, predatori e vittime, stanno l’uno accanto all’altro, in una vegetazione rigogliosa e fiorita. E in effetti questa opera dialoga anche con gli altri due dipinti fioriti di Brueghel, esposti sempre in Pinacoteca: i Fiori in un bicchiere e il Vaso di fiori, esposti nella sala VII.

L’allegoria dell’Acqua ci mostra invece un paesaggio quasi lacustre, con pesci, crostacei e molluschi, in cui una vecchia divinità è seduta accanto ad un giovane, con conchiglie che sgorgano acque fresche. L’arcobaleno richiama un mondo primordiale, quasi l’alba della Creazione. L’Aria è l’allegoria che ha in sé il più forte elemento mitologico, con al centro una dea vestita solo da un drappo rosso, circondata da una miriade di volatili e da puttini che giocano con strumenti astronomici. Questo fu l’ultimo dei quattro elementi ad essere dipinto ed anche quello che più, disse il cardinal Federico, lo aveva perfuso tutto di gioia.

Piccole enciclopedie del tempo, quasi “miniate” con la precisione e l’amore per i dettagli tipici dei pittori fiamminghi. “Quando il cardinal Federico Borromeo commissionò a Jan Brueghel i dipinti pensava alla Natura come luogo dove era possibile leggere l’impronta del Creatore – spiega il curatore Marco Navoni – Anzi, dalla Creazione era possibile e doveroso risalire al Creatore stesso, secondo quanto afferma san Paolo, all’inizio della lettera ai Romani, dove si legge: «Dalla creazione del mondo in poi, le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinit໓.

Ecco perché queste allegorie, di sapore un po’ profano ma commissionate da un uomo di Chiesa, risultano così dense di significato ed erano così amate dal cardinale stesso. Un’occasione per vederle riunite, fino al 1 luglio, prima che vengano separate di nuovo, così come già le vicende napoleoniche imposero.

Rizómata Terra, Aria, Acqua, Fuoco – Il Ritorno di Brueghel all’Ambrosiana Pinacoteca Ambrosiana. Fino al 1 luglio 2012 Orari: Da Martedì a Domenica dalle 10.00 alle 19.00 Prezzi: Solo mostra RIZÓMATA: Intero: 5 €, Under 14: 0 € (accompagnati da adulto) Mostra RIZÓMATA + Pinacoteca + Mostra Leonardo Codice Atlantico: Intero: 15 €, Ridotto: 10 €

 

 

MARLENE DUMAS TRA STELLINE E PASOLINI

Sorte è una parola triste. Destino è un po’ meglio. La Libertà è incastrata tra le due. Più invecchi, più ti muovi verso le ultime possibilità“. Così Marlene Dumas racconta la sua ultima fatica, “Sorte“, la mostra creata per la Fondazione Stelline di Milano. Quindici le opere nuove e inedite che l’artista sudafricana, olandese di adozione, ha creato o scelto appositamente per adattarle al luogo dell’esposizione. Pasolini, Cristo in croce, Amy Winehouse e le piccole ospiti dell’antico orfanotrofio sono alcuni dei soggetti scelti dalla Dumas per raccontare le vite e i destini interrotti, ma non dimenticati, dei suoi protagonisti. Un intreccio indissolubile tra l’antico ex convento, diventato ricovero per bambine abbandonate, e i dipinti dell’artista.

Invitata dalla Fondazione Stelline, Marlene Dumas ha consultato il vasto archivio fotografico della Fondazione e ha scelto tre immagini risalenti agli inizi del Novecento per trarne altrettanti dipinti. Nel primo una classe di ragazzine riunita intorno alla loro insegnante: vestite coi grembiuli chiari, sedute o in piedi, attorniano la maestra in abito scuro e guardano verso di noi, i volti quasi cancellati dal tempo ed evanescenti. Le altre due immagini, intitolate “Stellina” e “Destino“, ritraggono invece due bambine, le “stelline” appunto, come erano chiamate le ospiti dell’orfanotrofio, con la divisa usata nelle uscite ufficiali. “Stellina e Destino mi ricordano una fotografia di mia madre da bambina. Vecchie immagini di giovani ragazze, che oggi non fanno più parte di questo mondo, ma che allora avevano ancora il futuro e la fortuna intatti davanti a loro“, spiega la Dumas stessa. Il passato non si può distruggere, è sempre presente, come sempre sarà, in questi luoghi, lo spirito di tutte le stelline che ci hanno abitato.

Altro filone tematico dell’esposizione è Pier Paolo Pasolini, al quale la Dumas aveva già dedicato fra il 1989 e il 1990 la Pasolini Series. Un confronto/scontro tra i crocifissi della serie “Forsaken” (con riferimento alle parole che Cristo in croce rivolge al Dio padre: “Perchè mi hai abbandonato?”) e i ritratti del grande regista – scrittore: come il crocifisso mostra l’abbandono del Figlio da parte del Padre e quindi il senso di solitudine e vuoto, Pasolini, figura tragica a causa della sua morte violenta, è tuttavia ritratto accanto alla madre Susanna, in una contrapposizione tra il rapporto paterno, legato alla morte, e quello materno legato alla vita.

Ma c’è anche un’opera che combina e riunisce insieme questi rapporti: la Pietà Rondanini di Michelangelo, con una madre straziata dal dolore che tenta di sostenere il peso, troppo grande, del corpo morto del figlio, quasi per inglobarlo di nuovo in sé. Nella visione laica di Marlene Dumas però il crocifisso e la Pietà non sono simboli religiosi ma “segni universali in cui la fede si unisce alla tragedia, e l’amore interagisce con il dolore“, spiega il curatore Giorgio Verzotti.

A questi personaggi storici si aggiunge anche la cantante da poco scomparsa Amy Winehouse, morta quando la Dumas stava portando a completamento la serie dei Forsaken. Una ragazza troppo fragile, nonostante gli eccessi, e che diventa simbolo e immagine di un dolore e una sofferenza portati all’esasperazione.

Conclude l’esposizione il film “Miss Interpreted (Marlene Dumas)” (1997), realizzato e diretto da Rudolf Evenhuis e Joost Verhey, in una versione postprodotta in italiano appositamente per la mostra.

MARLENE DUMAS fino al 17 giugno 2012, Fondazione Stelline corso Magenta Milano orari: martedì – domenica, 10 – 20, biglietti: intero € 8; ridotto € 6; scuole € 3.

 

 

ASPETTANDO IL MUSEO: GLI ARTISTI DI ACACIA

ACACIA – Associazione Amici Arte Contemporanea, è un’associazione privata che riunisce al suo interno collezionisti e amanti d’arte, e che, nel suo insieme, incarna una sorta di super collezionista, attivo e attento alle tendenze artistiche. La promozione e il sostegno dell’arte e del lavoro di giovani artisti italiani è tra gli scopi principali dell’associazione, ed è per questo motivo che, fin dalle sue origini, nove anni fa, il nucleo di opere comprate dai singoli collezionisti e messo a disposizione dell’associazione ha un grande e mirabile scopo: la creazione di una collezione di opere d’arte contemporanea da esporre a Milano nel futuro e presto auspicabile museo di arte contemporanea.

Ecco dunque nascere la seconda edizione della mostra, esposta a Palazzo Reale, comprendente circa trenta opere di artisti internazionali e di primissimo piano: Mario Airò (vincitore della prima edizione del Premio ACACIA), Rosa Barba, Vanessa Beecroft, Gianni Caravaggio, Maurizio Cattelan, Roberto Cuoghi, Lara Favaretto, Francesco Gennari, Sabrina Mezzaqui, Marzia Migliora, Adrian Paci, Paola Pivi, Ettore Spalletti, Grazia Toderi, Luca Trevisani, Marcella Vanzo, Nico Vascellari e Francesco Vezzoli. Opere d’arte che esplorano, com’è tipico dell’arte contemporanea, tutti i medium e i supporti possibili: dalla fotografia ai video, dalla pittura alla scultura fino all’installazione.

Aprendo al pubblico la nostra raccolta vogliamo certamente proporre un evento culturale strettamente connesso al tempo che stiamo vivendo ma, nello stesso momento, iniziare un dialogo attivo e propositivo, perché l’arte contemporanea non rimanga appannaggio di pochi, bensì sia promossa, conservata e tutelata“. Questo il proposito di Gemma de Angelis Testa, presidente e fondatrice di ACACIA.

Una sorta di mecenatismo collettivo dunque, tutto a favore della città, che permette da una parte di comprare arte per il futuro museo, e dall’altra la conoscenza e la promozione dell’arte e degli artisti più importanti del panorama contemporaneo, con l’obiettivo di essere “capace di rispecchiare la contemporaneità e le sue dinamiche, un polo divulgativo in grado di trasmettere al suo pubblico formato da vari livelli culturali, la conoscenza dell’arte“, conclude De Angelis Testa.

La mostra presenta anche per la prima volta al pubblico il lavoro di Rosa Barba, vincitrice del Premio ACACIA 2012: “Theory in order to Shed Light“. I suoi lavori, definiti sculture filmiche, sono il mezzo con cui l’artista ama esprimersi, attraverso l’uso del video che viene smembrato nei suoi elementi strutturali: parole, musica, immagini e luce. La parola è la parte che più interessa Rosa Barba: frasi intere o testi vengono proiettati sulle pareti, accompagnati dal commento di voci fuori campo o dalla musica, utilizzando vecchi proiettori cinematografici collegati a strumentazioni di moderna tecnologia.

In attesa dei grandi lavori, anche museali, per l’Expo 2015, accontentiamoci per ora di avere un assaggio d’arte di quello che vedremo in più adeguata sede.

Gli artisti italiani della Collezione ACACIA – Associazione Amici Arte Contemporanea Palazzo Reale fino al 24 giugno. Ingresso gratuito Lunedì: 14.30_19.30 Martedì, Mercoledì, Venerdì e Domenica: 9.30_19.30 Giovedì e Sabato: 9.30_22.30

 

 

 

 

questa rubrica è a cura di Virginia Colombo

rubriche@arcipelagomilano.org


 



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