6 giugno 2012

MA NON È L’EXPO


Domenica sera, quando Benedetto XVI ha preso il volo per Roma, sul viso del primo cittadino e forse anche dell’ultimo, si sono spianate le rughe: la “grande preoccupazione” era finita. Tutto liscio come l’olio e poche le proteste: quelle dei soliti scontenti. È inevitabile da parte di molti cercar di vedere in questa tre giorni una specie di piccola prova generale per Expo 2015, quasi un minitest. Un test positivo? Forse ma con tanti “ma”.

Un evento religioso di massa ha caratteristiche del tutto particolari, una prima di tutte: ogni partecipante fa personalmente il possibile perché la manifestazione riesca, perché nel felice esito della “sua” manifestazione vede rafforzato il legame che lo unisce ai suoi confratelli e vuole lanciare un messaggio a chi non è con lui perché si unisca. La fede cattolica è fatta anche di “evangelizzazione”: si genera un insostituibile spirito di collaborazione. Questo rende un evento come il VII Incontro delle Famiglie qualcosa di difficilmente confrontabile con altri pacifici eventi di massa quale dovrà essere l’Expo.

Certo in questi tre giorni i trasporti pubblici hanno dato un esempio di efficienza tutta milanese come pure l’AMSA e in genere tutta l’organizzazione di supporto, dalla vigilanza al coordinamento dei corpi militari dello Stato: 15.000 uomini. L’Expo non sarà così. Non tre giorni, anche se mai con punte di un milione di persone, ma 183 giorni filati durante i quali la media giornaliera dei visitatori si spera superi i 100.000 e con punte di tre volte tanto. Una gara di resistenza non uno sprint, la maratona non i 100 metri. Fa la differenza.

Ma, come dicevo, la differenza sostanziale sta nella psicologia dei visitatori: passiamo dai testimoni di una religione agli spettatori di uno show perché questo alla fine è quello che si sta preparando per il 2015. Uno spettatore che va attratto, lusingato, conquistato, non dunque particolarmente incline alla collaborazione. Impresa ardua in un mondo nel quale già tutto è spettacolo tra realtà vere e virtuali, tra effetti speciali e sensazioni irripetibili dove il massimo della sofisticatezza in materia di information technology mostrerà le meraviglie di se stessa più che essere strumento di conoscenza di altro e così via.

Pochi illusi, come me, pensavano che avremmo potuto far rinascere attorno al problema della fame nel mondo l’atmosfera di attesa caratteristica delle prime esposizioni universali: allora, una certa fede nel progresso che avrebbe soddisfatto i bisogni dell’umanità, dietro la quale s’intravvedeva una speranza di pace universale, oggi, la strada per vincere la fame, la principale causa di ineguaglianza e di conflitti. Non sarà così, non solo non ce ne sono più le premesse, se mai realmente ci sono state, ma non si cerca nemmeno di andare in quella direzione seppure vagamente e con passi incerti. Dunque chi verrà a Milano non condividerà nulla con i partecipanti all’incontro delle famiglie, meno che mai lo spirito.

Ma non basta. Questa mancanza di un’idea forte è ormai calata come nebbia sulla città, sulla sua classe dirigente, sui giovani: tutti frustrati da un rosario di pessime notizie, dal ritardo nei lavori della MM, dall’incertezza dei finanziamenti e per finire dal sospetto se non dalla certezza che affari immobiliari, appalti e mafia saranno un contorno inevitabile. Buio in fondo al tunnel? Pessimismo assoluto? Per venirne fuori la ricetta sembra essere la stessa di tutti i problemi del Paese: facce nuove, coraggio di cambiare, onestà e dignità. E intelligenza. Ma questa per fortuna non ci è mai mancata. Almeno si dice.

 

Luca Beltrami Gadola


 



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