29 maggio 2012

EQUITALIA: ALLA RICERCA DI UN EQUILIBRIO


Tre frasi significative. Prima, “su Equitalia le parole sono pietre”, poi “rispetto per Equitalia, applica la legge”, infine “il fisco, più efficace e meno intrusivo”. Le ha pronunziate il Presidente del Consiglio – afflitto dalle burocrazie ministeriali – confermando la propensione politica ad affrontare i serissimi problemi della riscossione pubblica con generici auspici e correttivi fumosi.

La prima frase manifesta solidarietà alle strutture di Equitalia sottoposte a una grandinata di giudizi negativi, talvolta al limite dell’aggressione fisica. Fin qui la cosa è condivisibile (magari sarebbe bene aggiungere che resta impregiudicato il diritto del cittadino di criticare e di avere la certezza che dopo si attivino le opportune valutazioni nel merito della critica). La seconda è una considerazione esatta. Che però implica una sottolineatura decisiva. Se norme e strumenti esattivi escludono margini discrezionali da parte di Equitalia (“applica la legge”), allora è evidente che i (tanti) difetti riscontrabili derivano da leggi sbagliate (e molto) perché non coerenti con la finalità democratica dell’imposizione fiscale.

Per chi è liberale, questa è cosa ovvia. Non lo è per tutti. Il disagio sociale non lo genera la protervia della struttura Equitalia bensì leggi burocraticamente furbe ma incoerenti. L’Equitalia ne è un condensato fin dall’origine. Varata a fine 2005 dal Ministro Tremonti nel decreto legge sul contrasto all’evasione e sulle disposizioni tributarie, apparve subito un legno storto. Venne scelta la società di capitali per consentire, si disse, una snellezza superiore a quella delle strutture di diritto pubblico; tuttavia la proprietà era pubblica al 100% (51% Agenzia delle Entrate e 49% INPS) e quindi la società, anche se non era di diritto pubblico, doveva tenere comportamenti esclusivamente pubblici (del resto solo questo giustifica il suo monopolio delle riscossioni di tutte le imposte erariali, Inps, tributi doganali, salvo quelle dei comuni che potranno decidere autonomamente dopo il 2012). Si è però visto progressivamente che la formula Equitalia era una furbesca foglia di fico. L’obiettivo era dare più mano libera al potere delle burocrazie nelle modalità di riscossione senza dover rispettare i vincoli di un organismo pubblico. Anche quelli costituzionali.

Due esempi, gli aggi e i privilegi nell’esazione. Visto che il richiedente è sempre lo Stato seppure in abiti differenti, esigere una percentuale su quanto richiesto significa far passare il principio (senza dirlo) che dichiarare di essere in debito di una somma verso lo Stato e non versarla, implica il veder crescere il debito oltre gli interessi e le sanzioni di ritardato pagamento. Ciò contrasta con il principio – costituzionalmente evidente e comunque sentenziato più volte dalla Corte – secondo cui, nel procedimento tributario, lo Stato è su un piano di parità con il cittadino. L’aggio cambia le carte in tavola e maggiora di fatto le imposte, mettendo il corrispettivo esattivo a carico del contribuente. Solo che la funzione esattiva rientra nella fiscalità generale ma la macchina dello Stato non la svolge più. Questo stratagemma non consente al cittadino una valutazione davvero complessiva dei servizi resi dallo Stato. insomma, le tasse non sono un obbligo etico, ma il corrispettivo dei servizi civili contrattuali erogati dallo Stato (tra cui rientra la fisiologica riscossione). E se si nascondono i costi, si ostacola una valutazione del funzionamento.

La distorsione degli aggi è poi aggravata dai privilegi riservati a Equitalia nell’esazione. La legge consente a Equitalia di adottare procedure che nessun altro privato – e neppure lo Stato in quanto tale – può adottare al fine di assicurarsi garanzie materiali per le somme di cui asserisce di essere creditrice. La possibilità di compiere sequestri di conti correnti o iscrizioni di ipoteche senza alcun preventivo filtro giudiziario, costituisce un oggettivo ritorno alla pratica medioevale della tortura come mezzo di pressione del potere per soggiogare la volontà di un cittadino. Impostazione che è un pericolo da non sottovalutare. Non a caso questa tendenza trova riscontri in altri settori extra tributari, pure nella recente reintroduzione in campo tributario del dover pagare prima di poter ricorrere e anche della forte crescita dei diritti legali fissi. Sono concezioni che sottopongono il cittadino allo Stato capovolgendo il principio liberale del concepire lo Stato come strumento per la convivenza tra cittadini. Non vanno prese sottogamba e ci vorrebbe una decisa inversione di tendenza.

Ecco il motivo per cui è fumoso limitarsi a parlare di fisco meno intrusivo. Appunto perché se la colpa dell’esserlo non sta nei comportamenti di Equitalia ma nelle regole che la legge attribuisce a Equitalia, allora per togliere (o almeno diminuire parecchio) la propensione intrusiva del fisco occorre una rinnovata impostazione di legge. Per mettervi al centro la libertà del cittadino e le regole della convivenza modellate su questo stesso criterio. Invece, i correttivi latitano. Non si riducono le radici burocratiche diffuse nel tessuto sociale e si eccede nel legare il cittadino. Non si tagliano mai quelle radici, al più si cerca di razionalizzarle un po’, continuando a battere la strada del più tasse. Sembra impossibile diminuire le spese pubbliche e si vuole ignorare che la crescita dipende non da più sussidi assistenziali ad attività private, quanto da investimenti pubblici propulsivi e soprattutto da una consistente riduzione delle aliquote fiscali per attivare la voglia autonoma di intraprendere (cosa che funziona anche da deterrente all’evasione fiscale). Per stabilire l’indispensabile clima di reciproco rispetto tra gli operatori e di valutazione comparativa dei meriti, occorrono leggi coerenti al rendere centrali i controlli dei cittadini e non auspici fumosi senza leggi conseguenti. Altrimenti si asseconda la concertazione su tutto, confondendo le funzioni di ogni soggetto sociale, struttura pubblica inclusa. Una confusione che è il sogno delle corporazioni burocratiche ma che intrappola la convivenza.

 

Raffaello Morelli

 



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