22 maggio 2012

SALONE, LA SACRE DU PRINTEMPS (OVVERO: IL RITUALE DELLA PRIMAVERA)


È terminata la grande sagra (termine che deriva dal latino “sacrare”, consacrare), la consacrazione del made in Italy per quanto riguarda l’arredamento: il Salone del mobile, il Salone Satellite, il Fuori Salone (che si è esteso a macchia di leopardo in molte zone della città), le costruzioni nel cortile della Statale, gli eventi delle case editrici e delle riviste, alla Triennale, negli showroom, gli incontri con i giornalisti e le interviste ai designer, i pranzi e le cene ufficiali.

La grande kermesse metropolitana è terminata anche quest’anno e sono in corso i primi bilanci. C’è un clima di soddisfazione generale. Sembra che i dati registrino un ottimo afflusso di visitatori, con aumentata presenza di stranieri in particolare dai paesi del Bric(s) come il Brasile.

L’immagine generale delle esposizioni, dentro e fuori il Salone, trasmetteva euforia: a volte un po’ sopra le righe come avviene quando si cerca di esorcizzare un pericolo incombente. Il tema generale sembrava essere: ci sarà pure la crisi ma il made in Italy tiene e anzi rilancia, e a Milano si dimostra. In realtà, a evento concluso, i commenti degli addetti ai lavori sono più prudenti. L’afflusso c’è stato ma a questo cosa seguirà in concreto, in termini di rapporti commerciali, di sviluppo delle vendite e così via?

Veniamo ora ai caratteri di questo Salone del 2012. La grande kermesse propone da tempo un’enorme quantità di oggetti, un’autentica grande bouffe: difficile per chiunque rendersi conto di tutto. Ma in generale i commenti tendono a mettere in luce l’assenza di fenomeni nuovi emergenti, di proposte particolarmente significative. Con un filo conduttore prevalente, la “neo-etica del XX secolo” che, secondo una ricerca di università americane, sembra riassumersi nelle tre parole dominanti nel marketing a livello mondiale: eco, green e sustainability.

Probabilmente si deve tener conto che è finita l’epoca dei trend: dopo gli storici dibattiti tra le diverse tendenze, fino agli scontri degli anni settanta / ottanta tra minimalismo ed esagitazione formale, oggi prevalgono i linguaggi individuali. Molti designer inseguono un sogno, mettere a punto una cifra formale che diventi un logo se non un brand, che li renda riconoscibili e appetibili sul mercato.

Il problema delle mostre e delle esposizioni sembra risolto con una nuova formula: gli “allestimenti al potere”. Gli stand al Salone e gli allestimenti Fuori Salone hanno il compito di produrre l’attenuato shock estetico oggi necessario, con nuovi materiali, nuove tecniche di illuminazione, nuova concitazione formale e così via. È la cura e l’originalità degli allestimenti (per dir così) che legittima gli oggetti esposti.

Si registra una gran quantità di “rivisitazioni” o riedizioni. Si va dalla riproposta di Joe Colombo a Starck che reinterpreta elegantemente un progetto meno noto di Breuer, a un interessante designer ceco, Jan Plechac, che ripropone in tondini di ferro (saldati a mano!) la mitica “red and blue” di Rietveld: si potrebbe continuare a lungo.

Tema molto presente è l’autoproduzione: non è chiaro quanto sia effetto della crisi, per cui le aziende non chiamano più i designer, e quanto delle scuole di design che riversano sul mercato folle di giovani designer (ma in un futuro ipotetico, di fuoruscita dalla crisi, i giovani designer sui territori potrebbero essere una risorsa per aiutare le piccole/medie aziende ad affrontare i problemi non solo di progettazione, ma di comunicazione e costruzione dell’immagine coordinata, di organizzazione della distribuzione, temi sui quali è grande la loro debolezza). Tra tutte le esposizioni sull’autoproduzione si ricordi Milanosiautoproduce promossa da un gruppo con Alessandro Mendini il quale ha motivato il carattere particolare della mostra, dove si è esposto senza filtri o selezioni, con un richiamo al Mao degli anni ’50, quando invocava per il rinnovamento culturale della Cina “che cento fiori fioriscano, che cento scuole gareggino”. È tema molto presente, si diceva, ma è anche tema ricorrente, che ha percorso in modi diversi l’intera storia del design negli ultimi duecento anni.

Infine un motivo di riflessione: a distanza di qualche anno, IKEA ripropone con ampiezza la sua collezione PS, quella più orientata al design, ci si dice. Come ha detto Ellen Lupton, curatrice per il design contemporaneo del Cooper-Hewitt National Design Museum di New York, IKEA ha arredato le case della fascia economica dei consumatori dall’Europa alla Corea al Brasile, contribuendo «a far accettare la modernità nella casa… più che il resto del mondo del design nel suo insieme»: non solo della fascia economica ma, in particolare in Italia, con penetrazione progressivamente trasversale. E i produttori italiani sono al terzo posto nel mondo tra i fornitori di IKEA (dopo Cina e Polonia). Lo slogan era: “design belongs in real home“: tema, forse, su cui riflettere.

 

Vanni Pasca

 



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