22 maggio 2012

L’ITALIA NON È ANCORA UN PAESE PER DONNE


C’è uno scandalo in Italia di cui si ha scarsa percezione: i numeri molto bassi delle donne nelle stanze decisionali della politica. Le donne farebbero la differenza? Pare proprio di sì. Cominciando dalle decisioni relative a come destinare le risorse pubbliche: le donne privilegiano sanità, ambiente, welfare; sono più attente ai beni comuni; aborrono la guerra e la violenza. Non ci sarebbe stato un Vietnam, se le donne avessero potuto decidere …

Il rigore dei numeri di Francesca Sarlo e la chiarezza espositiva di Francesca Zajczyk si fondono in questo agile volume, Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia (Laterza 2012), che intende promuovere una riflessione costruttiva su un indilazionabile cambiamento del ruolo delle donne nella vita politica italiana.

Il cuore del problema è il concetto di cittadinanza costruito in assenza delle donne: un’anomalìa determinata dal fatto che la donna è relegata “alla salvaguardia della funzione della famiglia, vuoi come ambito di riproduzione della società, vuoi come spazio delle libertà e degli interessi privati” (Chiara Saraceno). Il monopolio maschile sulla politica italiana è segnale di una democrazia ancora “di parte”: la rappresentanza nel nostro parlamento, per cominciare, ci colloca agli ultimi posti in Europa, seguiti solo da repubblica Ceca e Malta. La presenza femminile nelle istituzioni va in decrescendo dai Comuni, alle Provincie, alle Regioni: il 90% delle donne è impegnato in politica nei Comuni sino a 20.000 abitanti, e solo lo 0,4 ricopre incarichi in città oltre i 250.000 abitanti.

Con queste premesse, le autrici prendono in esame l’atteggiamento delle donne italiane nei confronti della politica a partire dal primo voto, che vede una straordinaria partecipazione femminile. Nei vent’anni seguenti sono la Chiesa e gli uomini di famiglia, a determinarne l’orientamento; poi, negli anni Settanta, “davanti alla nascita di nuove modelli del femminile, meno legati alla tradizione, si incrina la fedeltà (…) alla Democrazia cristiana”. Si consolida, al tempo stesso, la consapevolezza che la politica è il luogo in cui le donne non contano: così esse se ne allontanano, in un atteggiamento di “autoesclusione” che si accentua negli anni Ottanta e cresce sino a toccare, nelle politiche del 2008, il 19,5%.

Proprio in questo ventennio si rafforza e diffonde una nuova consapevolezza di sé nella popolazione femminile, che rifiuta la donna dello schermo “piacevole, positiva e collaborativa”, definendo la rappresentazione del suo corpo in Tv “svilente, fastidiosa o frustrante”. E mentre il berlusconismo rappresenta un’etica intrisa di gallismo e omofobia, nasce su tutto il territorio e in Rete un numero impressionante di organizzazioni femminili. Le donne si muovono con più velocità degli uomini verso un maggior interesse e una più attiva partecipazione alla politica: un esempio per tutti Se non ora quando, che riempie le piazze con le sue battaglie contro l’iniquità di genere che caratterizza la società italiana.

Ma, archiviata la stagione berlusconiana, è rimasta una questione irrisolta: manca una riflessione collettiva che provenga soprattutto dagli uomini, senza la quale la nostra società non riuscirà a liberarsi dalle incrostazioni valoriali più arretrate. Le donne sono ancora le “centrocampiste del welfare” (Di Vico) che faticano sempre di più a conciliare lavoro e famiglia: il carico di lavoro casalingo è ancora per il 77% sulle loro spalle e siamo lontani dalle pari opportunità fra i due sessi. L’assenza di potere nelle stanze istituzionali spinge, inoltre, molte giovani donne a volgere lo sguardo verso il luogo dove il potere l’hanno sempre avuto: la casa e la famiglia.

In politica aumentano i numeri delle candidate, ma, non in modo significativo, il numero delle elette: le giunte monogenere, ad esempio, sono in Italia ancora 1.600. L’Italia non è, a oggi, un paese per donne; e codici e regole di funzionamento della politica sono ancora saldamente ancorati al modello unico maschile. Ma la gravità della crisi mondiale ha reso evidente “la necessità di riformulare l’agenda delle scelte con riforme strutturali e opzioni di tipo strategico”. Le donne sono più orientate alla cura del bene comune e, più degli uomini, spostate sul versante progressista: è la comparsa di un political gender gap che si è confermata in modo esplicito negli ultimi vent’anni. Le donne sono aliene dalle categorizzazioni e utilizzano a fatica i contenitori: gli individui sono entità da valutare in se stesse, non elementi di un insieme, sia esso razza, religione, etnìa, partito.

Eppure il loro contributo è ancora ignorato, come è risultato evidente, ad esempio, nella tavola rotonda organizzata il 17 maggio dal “Sole 24 Ore”, Nuovi modelli di lavoro nella famiglia oggi. Con una sola eccezione femminile, erano tutti uomini, e non mancava un cardinale: questo mentre la Rete, le piazze, le sale erano occupate con forza, vivacità, intelligenza e passione dal popolo di quelle donne che hanno smesso di diffidare del potere, e che imparano a esercitarlo non per sostituirsi agli uomini, ma per farne un uso diverso e costruttivo.

 

Giuliana Nuvoli

 



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