19 marzo 2009

UN’IMPRESSIONE DI DISAGIO A MILANO


Accade ormai spesso a Milano che gran parte delle mostre temporanee in calendario siano realizzate usando materiali espositivi provenienti da altre manifestazioni. Niente di male se questo criterio di economia fosse guidato anche da altri concetti adatti a non penalizzare le opere esposte e il loro racconto.

L’opera degli studiosi sembra, molte volte, essere scollegata da chi ha il compito di esporre le opere valorizzando i contenuti che sono stati individuati dagli ordinatori.  Al pubblico questa interpretazione dell’opera risulta difficile se non viene aiutata dall’architetto specialista che attraverso lo spazio suggerisce e conquista.

Questo lavoro è molto simile a quello che viene svolto in un giornale al momento in cui vanno impaginati gli articoli secondo criteri concordati con il redattore capo che ha in mano tutto il giornale. Dovranno avere risalto alcune notizie più di altre, alcuni titoli saranno composti con un corpo maggiore rispetto a quelli che compaiono nella stessa pagina e così via. Per molti anni anche nel settore delle mostre temporanee, oltre che nei musei all’avanguardia, si era seguito un principio che dava buoni frutti perché metteva in condizioni il visitatore di sentirsi nello spazio a proprio agio e soprattutto di aver l’impressione di apprendere quello che non sapeva.

Del resto alcune Amministrazioni di città di provincia seguono ancora questa strategia guidate, non solo da grandi studiosi, ma anche dall’interesse a fare bene e di mettersi al passo con l’Europa. La mostra su Antonio Canova al San Domenico di Forlì mette il cuore in pace perché, la qualità delle persone che hanno lavorato, sia come studiosi di Canova e del suo tempo che gli architetti, danno l’impressione di aver dialogato tra loro e di aver concordato anche i raccordi spaziali e cromatici che fanno da raccordo ai messaggi esplicativi chiari.

Anche Lucca non è da meno: la mostra dedicata a Pompeo Batoni, che approda nella città natale del maestro a conclusione di un giro breve in Europa e negli Stati Uniti, non solo rende onore al gran pittore, ma accoglie noi ospiti stupiti con una giornata tiepida e limpida e una veste di civiltà che non è stata contaminata.

Le mostre entrambe non ostentano ma presentano studi nuovi ed una critica che spiega la grandezza di due secoli in cui i nostri artisti eccelsi hanno saputo esprimere idee nuove e conquistare il mondo di allora e quello di oggi.

A Milano da un po’ di tempo non troviamo nulla di simile perché forse bisogna risparmiare e con questa logica, che fa da paravento, si ricuperano espositori improbabili, usati in altri contesti, per esporre superbe armature dei Samurai che nella conclusione del percorso, diventano vetrinette troppo modeste per i confronti che si possono fare.

Gli studiosi non centrano e forse, torto collo, hanno dovuto accettare situazioni che penso possano nuocere al loro stesso lavoro.

Pare strano che la città non si accorga: forse siamo in pochi ad avere questa impressione di disagio anche quando guardiamo la città dal tram e ci accorgiamo che ha perso i suoi monumenti “chiusi per restauro” e trasformati in gabbie pubblicitarie. Ci siamo persi Garibaldi come il monumento a Pertini anche se di quest’ultimo non sentiamo una gran mancanza. Intorno a noi proliferano tendoni dove si vendono libri o dove si espongono foto di scarso interesse e così la città sbiadisce mimando una vivacità che non c’è. Disfattismo? No, tutt’altro: piuttosto la voglia di un dialogo serio.

Ho scritto un paio di volte al Sindaco su alcuni problemi riguardanti la salvaguardia delle stazioni della linea rossa e verde della Metropolitana ma non ho mai ricevuto risposta.

La voglia di gentilezza non mi abbandona perché non costa nulla e, con il costo zero, possiamo ricuperare molte risorse fatte di competenza e del sapere migliore.

Antonio Piva



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